* Rete dei Comunisti
Tanti attivisti stanno – finalmente – prendendo atto che la vicenda di cui è interprete Maria Elena non è, come è già accaduto alle volte, un mero atto antidemocratico o di repressione del dissenso interno ma rappresenta, probabilmente, una sorta di prima e dopo nella storia delle relazioni sindacali afferenti la blindatura autoritaria della forma sindacale neo/corporativa dentro un particolare tornante dell’attuale crisi del capitalismo tricolore nell’ambito della più generale competizione globale.
Infatti l’inspiegabile repentinità con cui i vertici della Cgil campana hanno istruito il dossier contro Maria Elena, la evidente volgarità politica delle motivazioni adottate per l’espulsione e il rifiuto, ostentato, di una qualsivoglia mediazione con la compagna sono la sintomatologia di una linea di condotta della Cgil che ha, deliberatamente, scelto di azzerare ogni forma di dissenso interno.
Questa attitudine è la risultante delle prime concrete forme di applicazione – ben oltre i dati formali – del famigerato Accordo sulla Rappresentanza del 31 maggio scorso.
Con buona pace dei tanti che ancora offrono una lettura rassicurante di questo atto, auspicando, magari, una sua inapplicabilità sostanziale, vogliamo ricordare che l’essenza vera di questo Accordo è la certificazione legislativa e normativa della Cgil verso Cisl e Uil della propria compiuta integrazione nei dispositivi della governance capitalistica e della gestione collaborazionista dei processi di crisi dell’Azienda/Italia.
Si converrà, quindi, che in questa nuova ed inedita collocazione della Cgil (pensiamo, solo per un attimo, alla funzione che sta svolgendo l’ex segretario Epifani alla guida nel Partito Democratico) non c’è spazio per qualsivoglia forma di dissenso interno che abbia un minimo di coerenza politica e pratica tra quello che si dichiara nei convegni e nei volantini e l’attività, quotidianamente, si svolge nei posti di lavoro e nei territori.
Infatti la storia recente e quella passata della Cgil è zeppa di tentativi di operare correttivi di linea, modificazioni del corso politico dell’organizzazione e condizionamenti dell’azione politica.
Spesso componenti, aree programmatiche, mozioni congressuali di vario titolo hanno provato ad imporre una cesura verso una crescente linea di cedimento politico e di subalternità che da tanti decenni ha preso il completo sopravvento teorico, politico e programmatico nella Cgil.
Tutti questi tentativi – anche quelli più coerentemente incardinati verso una sollecitazione del protagonismo dei lavoratori sulle proprie questioni – sono falliti perché hanno impattato con la strutturale irriformabilità di questa organizzazione la quale è oggettivamente, per l’azione che svolge e per gli interessi che dichiara di voler garantire, uno strumento importante del sistema/paese e degli assetti del capitalismo italiano.
Certo questa caratteristica della forma sindacale, incarnata dalla Cgil, va intesa dialetticamente sapendo che nel rapporto tra questa organizzazione e i lavoratori, anche in considerazione della lunga storia di questa sigla, agiscono meccanismi ideologici e materiali che favoriscono il terreno della mistificazione politica, delle illusioni e del ricatto materiale.
Attardarsi, però, in funamboliche, quanto impossibili, battaglie politiche interne è un esercizio suicida sul terreno delle possibilità di affermazione vera e duratura di un punto di vista di classe.
Inoltre, questa vocazione, è ancora più sbagliata dal punto di vista dei risultati che si sono raggiunti, fino ad ora, sul terreno delle scelte politiche e delle mobilitazioni di consistenti settori di lavoratori.
Da decenni, oramai, nessuna opposizione interna è mai riuscita ad imporre una scelta di coerente difesa delle condizioni di vita e di lavoro o, anche, il solo ribaltamento di un accordo o di un contratto bidone tra i tantissimi imposti dalle politiche di concertazione e di collaborazione.
Sicuramente, e non saremo noi a negarlo, ci sono state battaglie esemplari (da Melfi a Pomigliano, tanto per citare due questioni care alle varie opposizioni interne) ma queste mobilitazioni, proprio perché nascevano e si sviluppavano nell’ambito di una progettualità politica che tiene conto, necessariamente, della compatibilità delle aziende e del capitale sono state sconfitte dall’avversario.
La stessa anomalia della Fiom – prima di Gianni Rinaldini e poi di Maurizio Landini – si è normalizzata, adeguata e disciplinata ai diktat della confederazione nell’arco di una breve, quanto ambigua, stagione politica i cui risultati sembrano essere un paio di deputati nelle fila di Vendola provenienti dall’apparato Fiom.
Nei giorni scorsi denunciando l’episodio antidemocratico di cui è stata vittima Maria Elena Muffato commentavamo che, anche per i compagni che ancora agiscono nella Cgil, la festa è finita e che, sulla base di un indispensabile bilancio critico ed autocritico, occorre adeguare il proprio agire individuale e collettivo alla nuova fase che si squaderna sotto i nostri occhi.
In questo contesto è utile ed indispensabile condurre fino in fondo i percorsi politici che i compagni, a vario titolo, hanno scelto di dare vita nel prossimo periodo.
La recente decisione della Rete 28 Aprile di utilizzare tutta la fase precongressuale della Cgil per una battaglia tesa all’esplicitazione di alcuni contenuti classisti è, particolarmente, importante specie se avverrà in sintonia con le mobilitazioni già in calendario per il prossimo autunno e con l’auspicabile rottura della tregua sociale nel nostro paese.
Ma, in ogni caso, al di là di quali saranno i risultati di questa scommessa politica, si pone il problema, per quanti agiscono il conflitto, della ricostruzione di un sindacalismo indipendente e di classe – con un profilo identitario meticcio ed internazionalista – che sappia agire nelle pieghe della nuova composizione di classe, nelle modificazioni strutturali avvenute nel lavoro e nella società e, soprattutto, con una azione a scala metropolitana.
Queste – sinteticamente – sono alcune considerazioni, che svilupperemo ulteriormente, e che vogliamo offrire alla riflessione dei compagni, partecipando a tutte le mobilitazioni a difesa di Maria Elena Muffato, a cominciare dal Presidio di protesta indetto sotto la sede della CGIL della Campania il prossimo Lunedì 15 luglio alle ore 9.
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Daniele
Attenti che la CGIL non chiami i suoi compagni di Forza Nuova a difenderla dal presidio……
giuseppe de rinaldi
….è stato triste, stamattina, vedere la CGIL difesa dai carabinieri!…come se noi, i comunisti, fossimo i nemici, gli estranei dai quali non il servizio d’ordine interno ma le forze di questo stato, lo stesso che fu il mandante di Portella della Ginestra, dovesse essere difesa, come se esse dessero più garanzie per difendere l’organizzazione che fu di Di Vittorio e di Gaspare Rizzotti. E’ un brutto giorno, questo, per la CGIL !