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La caporetto del PD, perdono tutti i nostri avversari. Eppure si va a destra

Precipita il consenso del Partito Democratico in Emilia Romagna e le urne restano semivuote , il neo presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, afferma: “Non minimizzo il crollo dell’affluenza, ma la vittoria del Pd è netta”. Gli fa eco il presidente del Consiglio che aggiunge “La non grande affluenza è un elemento secondario”.

La svolta autoritaria in atto nel nostro paese si misura anche da queste dichiarazioni portatrici, con cristallina trasparenza, di un’idea oligarchica del potere, che non ha nessuna remora nel mostrare il proprio disinteresse nei confronti del consenso popolare.

L’Emilia Romagna, una volta regione “rossa”, nel passato ha fatto della partecipazione politica un impegno e un vanto.  Alle prime regionali votò il 96,6% degli aventi diritto.

Essere comunisti non era solo una tessera di partito ma passione politica, partecipazione militanza; così dopo cinque anni si riconfermò il 96,6% e fino allo scioglimento del PCI nel 1990 in Emilia-Romagna votava il 92,9%.

L’abbandono della partecipazione al voto in questa regione non ne è naturale, né tantomeno endemico. E’ la “modernità” politica che porta a votare poco più di un cittadino su tre. Il disprezzo verso le istituzioni di questo gruppo dirigente che governa il nostro paese lo si vede anche dal menefreghismo con cui risponde alla propria bocciatura da parte dell’elettorato.

La riduzione drastica dei votanti corre di pari passo al crollo del consenso degli elettori (dopo quello degli iscritti) del Partito Democratico, crollo che si accentua con la conquista della segreteria PD da parte di Matteo Renzi. I dati sono impietosi. Dal confronto con le regionali di soli quattro anni fa questo partito perde 322 mila voti. E’ con le recenti elezioni europee che il calo si fa ancor più drammatico: meno 677 mila voti. Dalle politiche del 2013 sono invece fuggiti “solo” 454 mila elettori. Una caporetto. Con buona pace dell’”ebetino”, non esiste più uno zoccolo duro nell’elettorato del PD.

Questi dati spiegano meglio di qualsiasi trattato le finalità che reggono tutte le proposte di riforma elettorale. Riempire i seggi in Parlamento e nelle istituzioni dello Stato con urne sempre più vuote.

Si capisce anche perché intorno alla cosiddetta “governabilità” si riunisce tutto il tavolo del governo delle larghe intese, perché se il Pd piange, gli altri partiti non ridono.

L’idiozia di qualche giornalista fa scrivere “il trionfo della Lega”. Indubbiamente la Lega raddoppia i propri voti dalle Europee a oggi: da 116 mila voti agli attuali 233 mila. Ma non è da oggi che la Lega supera il fiume Po. Se guardiamo i voti assoluti presi quattro anni fa da questo partito, registriamo un calo di ben 55 mila voti, poiché nel 2010 i consensi avevano raggiunto quote 288 mila. Certo deve preoccupare che oggi lo zuccolo duro dell’elettorato emiliano sia rappresentato dai sostenitori di Salvini, ma non sono questi i numeri che fanno della Lega il potenziale partito egemone della destra.

Le radici della svolta autoritaria e populista, guidata da una forza dai connotati fascistoidi, ma con un consenso di massa, purtroppo, risiedono proprio in questo trend di rifiuto del voto, che a livello nazionale, si è attestato poco sotto il 50% alle europee scorse, ma che dopo l’esito delle elezioni in Emilia Romagna non è difficile prevedere in crescita esponenziale sino a quando non troverà un nuovo collante politico.

Il movimento 5 stelle paga il prezzo di aver scelto la strada del non voler rappresentare nessun blocco sociale e crolla di quasi 500 mila voti rispetto alle politiche; e sono 284 mila i voti persi nei pochi mesi che ci dividono dalle europee.

Perché è bene chiarire che non esistono voti (o non voti) di protesta. Quelli che la stampa definisce in questo modo, sono solo domande senza risposte di rappresentanza politica. Proprio per questo Il “voto di protesta”, oggi più che mai, coinvolge larghi settori del mondo del lavoro dipendente.

Le elezioni emiliano-romagnole, infatti, segnano anche il definitivo declino di quelli che furono gli spezzoni di Rifondazione Comunista. I voti di Sel in coalizione col PD, sommati a quelli di Tzipras in corsa da sola (quindi tutte le opzioni erano in campo) danno un risultato di 10 mila voti persi.

Eppure un’alternativa è possibile. L’unico argine che possiamo e dobbiamo mettere in campo contro la svolta a destra in atto nel nostro paese (favorita anche dall’apprendista stregone Renzi che, giocando con i valori della destra, ne accresce l’egemonia culturale) è rappresentato dalla creazione di soggetti di massa in grado di dare una rappresentazione politica e sociale al mondo del lavoro. Organizzare la resistenza. Non sommatoria di reduci, per altro sconfitti, ma una nuova generazione di dirigenti sindacali e politici, forgiata nei prossimi anni di non breve opposizione al sistema politico e culturale della destra al potere. Un potere che può apparire un gigante ma se lo osservi attentamente poggia su dei fragili piedi d’argilla.

 

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