Era logico e naturale che l’assalto alla redazione di “Charlie Hebdo” da parte di presunti estremisti islamici scatenasse un gran numero di commenti su tutti i mezzi di comunicazione nel mondo.
Un’attenta riflessione su ciò che è accaduto, sulle motivazioni che hanno portato a un fatto di tale gravità porta però all’individuazione di una carenza nelle diverse espressioni di pensiero che abbiamo avuto occasione di leggere e ascoltare.
Una riflessione che deve essere scevra dalle valutazioni, pur importanti e necessarie, sulle implicazioni che un fatto del genere sicuramente avrà nel quadro delle relazioni internazionali e degli stessi equilibri politici in Francia, e fuori: la speculazione politica, infatti, appare essere la conseguenza più diretta di un episodio di tale gravità facendo passare in secondo piano l’analisi sulle ragioni di fondo dell’esplosione di simili comportamenti sia sul piano generale, sia su quello delle motivazioni soggettive che possono spingere in quella direzione.
In questo quadro sembrano essere due i temi più frequentemente affrontati da commentatori e analisti: quello del fanatismo (più o meno religioso) inteso come molla determinante per lo svolgimento di azioni di questo tipo e quello della difesa della libertà, non tanto –nello specifico- di satira ma complessivamente intesa.
Sotto l’aspetto dell’attacco (e della relativa difesa) alla libertà da molte parti si cerca di tracciare un solco, prendendo anche spunto che l’attentato si è svolto nella terra dell’illuminismo: puntando di conseguenza a sfiorare (ed anche a inoltrarsi) sul terreno dello “scontro di civiltà”.
Ecco, questo appare essere il punto: da una parte e dall’altra ciò che pare interessare maggiormente e proprio “lo scontro di civiltà”.
L’effetto conclusivo di questo tragico passaggio nella storia del mondo non sarebbe alla fine molto dissimile da quello ottenuto dall’11 Settembre delle Torri Gemelle e che proprio gli esponenti più conservatori della filosofia politica statunitense coniò proprio come “scontro di civiltà”.
Non è possibile però fermarsi a questo punto: sulla soglia dove si trovano, proprio in queste ore, autorevoli pensatori esponenti del progressismo occidentale difensori del concetto astratto di “libertà”.
Non c’è in questa occasione lo spazio per declinare concretamente, nell’attualità, questo concetto di “libertà” ma è comunque il caso di tentare di proporre un diverso livello di analisi e di riflessione.
Nella grande crisi del pensiero e dell’azione politica seguita allo smarrimento del dopo’89 si è fatta strada una concezione di “fine della storia” che appare essere ancora (e nonostante le smentite e le dure repliche portate proprio dalla stessa storia) l’asse, il punto di discrimine sul quale si muove il confronto culturale e politico sul piano globale.
La storia, dunque, sarebbe finita e il solco tracciato: pro o contro escludendo la possibilità di espressione di una coscienza collettiva che punti a proseguirne il corso e, di conseguenza, causando lo smarrimento della consapevolezza individuale di poter partecipare direttamente a un processo di cambiamento.
Su queste basi, che hanno cristallizzato nell’immaginario collettivo opposte “verità assolute” è cresciuto enormemente il tasso di facilità di manipolazione delle masse, attraverso l’esposizione di opposti fanatismi, facendo smarrire-soprattutto- la consapevolezza della condizione materiale di vita come base per la ribellione sociale.
Il dominio del concetto di “fine della storia” ha portato così a un processo di potente massificazione delle coscienze e di perdita di consapevolezza, causando così in larghi settori delle opinioni pubbliche sentimenti e propensioni di tipo assolutistico e fondamentalista: in Oriente come in Occidente.
Non c’è contrapposizione tra illuminismo e oscurantismo se i concetti che animano i due campi (dato e non concesso che si possano assegnare tali categorie) sono ormai talmente astratti da non consentire più una visione di diversa, alternativa, costruzione sociale da quella data adesso come immutabile: dall’hic et nunc all’eterno.
La sola inversione di rotta possibile in questo punto drammatico della storia universale può realizzarsi ricostruendo un pensiero che, assieme, tenga la necessità di espressione di una coscienza collettiva con al suo interno, per ciascheduno di noi il senso compiuto della consapevolezza individuale: la storia non è finita, c’è spazio e modo per cambiarla non arrendendoci alla reciprocità di astratte e cieche convinzioni assolute.
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