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Grecia: in ballo c’è l’Unione Europea 2.0

Come andrà a finire l’Eurogruppo non è dato sapere, almeno mentre scriviamo. Il numero di variabili, di soggetti in campo, di spinte e controspinte è così alto e variabile che azzardare previsioni sarebbe sbagliato quanto inutile.

Ma certamente qualche riflessione a partire da quanto sta avvenendo in queste ore è possibile azzardarla.
Intanto appare più che evidente che la forsennata ed esagerata durezza dimostrata dal fronte guidato dalla Germania nei confronti di Atene vuole stabilire un binario che non valga tanto per la Grecia – possibile che un polo dalle tendenze e dalle aspirazioni imperialiste entri in fibrillazione per un paese di 11 milioni di abitanti? – quanto per la Francia e per l’Italia. Le misure fanaticamente punitive concordate dal ministro Schauble, dalla cancelleria Merkel e dal vicecancelliere, il socialdemocratico Gabriel, non hanno alcun obiettivo o razionalità di carattere economico. Misure assai meno dure non hanno affatto ridotto ma anzi aumentato il debito ellenico nei cinque anni di commissariamento della troika, e distruggere l’economia greca non consentirà certo all’Ue e al Fmi di recuperare più rapidamente i soldi investiti nei cosiddetti ‘piani di salvataggio’, anzi. L’intento è di carattere esclusivamente ideologico, punitivo e normativo. In ballo c’è un modello di integrazione continentale che faccia fare un salto ad una confederazione che ha fatto in pochi anni passi da gigante ma che è ancora inadatta ad una competizione internazionale che si fa sempre più dura. La Germania e i paesi che si identificano nel suo modello ordoliberista stanno approfittando della crisi greca per forzare un’evoluzione del progetto continentale che abbia una chiara impronta tedesca basata sul ‘deficit zero’ e sul rispetto millimetrico – per gli altri, naturalmente – delle regole di bilancio. Un’accelerazione evidente della pressione che mira in particolare a ingabbiare la Francia, partner irrinunciabile di un progetto imperialista europeo, dentro limiti ben precisi che imprimano ad una Unione Europea 2.0 una evoluzione ben determinata. Nessuna competizione con Parigi e con Roma sulla natura del blocco sovranazionale, ma sulle regole sulle quali costruire un ulteriore step del processo di gerarchizzazione continentale.
Non è un caso che da qualche giorno il governo francese stia tentando di uscire dalla stretta berlinese tirando in ballo l’Italia, recuperando il ruolo di Mario Draghi e cercando di portare il governo ellenico ad accettare condizioni sempre più draconiane ed umilianti che smascherino la natura strumentale delle rimostranze tedesche. Mentre la Gran Bretagna pensa già ad una possibile fuoriuscita la Germania e i settori di borghesia europei integrati direttamente nel suo spazio politico-economico vogliono ridurre il più possibile il protagonismo di una Francia che finora ha mal digerito i diktat rigoristi di Berlino e assestare al contempo un colpo micidiale alle aspirazioni italiane.
La crisi e lo scontro di potere all’interno dell’Unione Europea preoccupa e al contempo mobilita le altre potenze. A partire dagli Stati Uniti, da sempre polemici con l’austerità fanatica e ideologica dell’asse Merkel-Schauble e ora preoccupati che un’eccessiva umiliazione di Atene o addirittura una sua espulsione della Grecia dall’Eurozona spinga i greci nelle braccia di un Cremlino che potrebbe approfittarne per conquistare nuovi partner e nuovi corridoi all’interno del Mediterraneo proprio quando la Nato stringe l’assedio economico e militare a Mosca. Non a caso negli ultimi mesi dal governo russo – e in parte da quello cinese – sono arrivati segnali più che espliciti ad Alexis Tsipras, affinché facesse passi concreti nei confronti degli eventuali nuovi partner e finanziatori esterni all’Eurozona. E’ evidente che Mosca non ha potuto finora concedere granché in mancanza di un impegno formale e strategico da parte del governo ellenico sul fronte delle relazioni economiche, politiche e militari. Sul fronte delle sanzioni europee contro la Russia, Atene si è finora limitata a una critica formale senza fare alcun passo all’interno delle istituzioni comunitarie, mentre decine di neonazisti ucraini trovavano accoglienza negli ospedali ellenici per essere curati. Se vorrà un soccorso russo Atene dovrà sbilanciarsi assai di più di quanto abbia fatto finora. Anche un altro fattore preoccupa Washington: la crisi in Grecia concede nuovi spazi, paradossalmente, ai nemici storici di Atene, a quel governo turco che isolato e sconfitto su molti fronti potrebbe tentare di rilegittimare una propria agenda autonoma dagli Stati Uniti offrendo un appiglio al capo del governo ellenico, che sia Tsipras o meno. Non è un caso che nelle ultime settimane Ankara alterna le consuete provocazioni – facendo sorvolare l’Egeo dai suoi caccia – a offerte di aiuto e solidarietà.

Un altro elemento balza agli occhi. Che prevalga la strategia tedesca o che invece Francia e Italia riescano a tenere testa all’assalto di Berlino, la tragedia in atto in questi giorni sulle spalle di milioni di greci sgombera il campo da ogni illusione sulla riformabilità e sulla democratizzazione dell’Unione Europea che, se cambierà, lo farà semmai in peggio.
Oggi, di fronte alla forsennata e fanatica violenza dei diktat dell’Eurogruppo nei confronti di Atene, nessuno può più far finta che sia ancora in campo, dal punto di vista politico, l’ipotesi di costruire un’altra Europa. Di fronte alla vittoria elettorale di forze politiche “responsabilmente critiche” nei confronti dell’austerity e ad un referendum ancora più esplicito, l’Unione Europea ha risposto con un assalto che mira a distruggere Syriza e ad imporre o un allargamento dell’attuale maggioranza alle marionette della Troika nel paese o addirittura un “governo tecnico”. 

Se “un’altra Europa è possibile” lo è soltanto nella misura in cui i paesi, i popoli e le forze antagoniste alla strategia tedesca sapranno costruire le condizioni per una rottura con l’Unione Europea, i suoi apparati, i suoi meccanismi coercitivi e un’alleanza che abbozzi un’alternativa.
Per semplificare, un’altra Europa è possibile fuori e contro l’Unione Europea. Se non prenderanno atto dell’impossibilità di cambiare le regole del gioco ma della necessità di rovesciare il tavolo, anche forze che guardano all’evoluzione dell’esperimento greco – in Spagna, in Italia, in Irlanda, in Portogallo – cozzeranno presto con lo stesso muro sul quale si stanno in queste ore infrangendo le aspirazioni riformiste ed europeiste di Syriza e di Alexis Tsipras. 

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