Erri De Luca è scrittore libero, libero di scrivere quello che ritiene giusto e come tutti gli scrittori non può che convivere con le contraddizioni che la realtà presenta continuamente sul cammino di ognuno. Le sue parole contro la Tav lo hanno portato in tribunale, il suo scritto su “Euridice” ha fatto infuriare il dott. Caselli (1) le sue parole su Gaza e Israele (2) gli hanno valso l’ostilità degli attivisti solidali con la lotta del popolo palestinese. E in tanti gli hanno chiesto spesso: Erri perché lo hai fatto?
E questa domanda vogliamo girarla nuovamente allo scrittore Erri De Luca che pure ha condiviso e condivide molti passi di cammini comuni. Anche il nostro giornale ne ha ospitato diversi articoli e ne segue le vicissitudini giudiziarie all’insegna della massima solidarietà.
Scorrendo l’e-book “LeggIntelligence”, realizzato dal Dis (Dipartimento Informazioni sulla Sicurezza), ovvero i nuovi servizi segreti dello Stato Italiano, vi abbiamo trovato una intervista con Erri De Luca. L’iniziativa editoriale difficilmente può essere catalogata semplicemente come tale. Infatti fa parte dell’operazione di immagine (e di reclutamento) che i servizi segreti dello Stato stanno realizzando nelle università italiane. E’ una immagine sofisticata, con una “mission” che appare assai diversa da quella che la storia del nostro paese ha conosciuto con la stagione delle stragi, i depistaggi, la complicità con i gruppi neofascisti. Anzi, è una operazione che intende cancellare l’immagine precedente, assegnando ai servizi segreti di oggi – sia sul fronte interno che internazionale – un ruolo di difesa collettiva e progressiva degli interessi e della sicurezza di “tutti”. Il terrorismo di matrice islamista complica le operazioni sul campo ma facilita l’operazione psicologica nella società; l’instabilità economica e finanziaria dovuta alla globalizzazione rende vulnerabile l’economia del “sistema Italia” e ne richiede la difesa; l’intelligence viene sempre più presentata come una sorta di scienza sociale ben diversa dal ruolo mefitico degli spioni.
A questa operazione, che il Dis sta conducendo negli ultimi anni, soprattutto negli atenei dove, ci fa sapere il sottosegretario Minniti, trenta laureati sono già stati assunti nei servizi segreti, è funzionale anche il lavoro di “fascinazione” intorno all’antico mestiere dello spione.
L’intervista rilasciata da Erri De Luca al libro pubblicato dal Dis, è l’unica in cui l’autore è anonimo, nel senso che non è dichiarato chi è che pone le domande allo scrittore. Un dettaglio? Si forse è un dettaglio, che però ci colpisce, perché negli anni abbiamo visto ex esponenti della sinistra rivoluzionaria collaborare con non chalance a pubblicazioni con lo stesso editore di riferimento.
Il senso e il contenuto dell’intervista non hanno nulla di scandaloso se non la conclusione. Si parla del ruolo delle spie e dello spionaggio nei testi antichi, il Vecchio e il Nuovo Testamento, di cui Erri De Luca è profondo conoscitore avendo voluto imparare e leggere lo yiddish, l’antica lingua ebraica. La conversazione con l’anonimo intervistatore fluisce così tra citazioni di parole antiche e vicende che investono Giosuè, Giuda e Isacco. Insomma una trattazione dotta e un po’ noiosa su come nelle Bibbia e nei Vangeli lo spionaggio fosse in qualche modo legittimato dai testi sacri. Ma, forse per ignoranza ce ne sfugge il senso, come dicevamo è la conclusione a lasciare l’amaro in bocca, soprattutto quando Erri De Luca così risponde alle ultime due domande: “In Italia in passato si è parlato di Servizi segreti deviati che intralciavano indagini. Ne eravamo diventati diffidenti. Ora non è più così: i Servizi sono percepiti come un sistema di sicurezza che serve a difendere tutti, come dimostra la lotta al terrorismo internazionale. La raccolta di informazioni è vitale per un Paese.
In un suo libro, Mestieri all’aria aperta, lei descrive pastori e pescatori. Come definisce gli uomini e le donne dell’Intelligence?
“Sono una via di mezzo tra sentinelle ed esploratori. La loro opera migliore è la prevenzione. Perciò i migliori risultati restano invisibili, i successi sconosciuti”
Che gli agenti dei servizi segreti italiani del XXI Secolo (non più dunque Sifar, non più Sid, non più Sismi e Sisde, ma adesso Aise e Aisi) siano una via di mezzo tra sentinelle ed esploratori, è un modo di edulcorare una funzione. Che è funzione dello Stato e dunque anche in uno Stato diverso sarebbe comunque necessario avere il miglior sistema di informazione e sicurezza. Ma lo Stato di cui stiamo parlando ed in cui stiamo vivendo è questo, non quello che vorremmo. La differenza in questo si fa sostanza. Erri perché lo hai fatto?
Una preghiera a chi leggerà questo articolo, se possibile, nei commenti evitate quelle strozzature e sintesi da curva che li rendono risibili e inservibili, ai lettori ed anche a se stessi.
Note:
(1) Qui di seguito lo scritto di Erri De Luca “Euridice” che venne usato come prefazione all’agenda 2014 di Magistratura Democratica, cosa che fece infuriare l’allora procuratore capo di Torino dott. Caselli e lo portò alla rottura con MD. Troviamo francamente difficile, anzi contraddittorio, dopo aver scritto un brano così, accettare di rilasciare una intervista ad una pubblicazione ufficiale dei servizi segreti:
Euridice
Erri De Luca
“Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il confine dei vivi per riportarla in terra. Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata di giustizia, perciò innamorata di lei al punto di imbracciare le armi per ottenerla. Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scende impugnando il suo strumento e il suo canto solista. La mia generazione è scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro”.
C’è nella formazione di un carattere rivoluzionario il lievito delle commozioni. Il loro accumulo forma una valanga. Rivoluzionario non è un ribelle, che sfoga un suo temperamento, è invece un’alleanza stretta con uguali con lo scopo di ottenere giustizia, liberare Euridice. Innamorati di lei, accettammo l’urto frontale con i poteri costituiti. Nel parlamento italiano che allora ospitava il più forte partito comunista di occidente, nessuno di loro era con noi. Fummo liberi da ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Conoscemmo le prigioni e le condanne sommarie costruite sopra reati associativi che non avevano bisogno di accertare responsabilità individuali.
Ognuno era colpevole di tutto. Il nostro Orfeo collettivo è stato il più imprigionato per motivi politici di tutta la storia d’Italia, molto di più della generazione passata nelle carceri fasciste. Il nostro Orfeo ha scontato i sotterranei, per molti un viaggio di sola andata. La nostra variante al mito: la nostra Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all’aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio. Cos’altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Chi della mia generazione si astenne, disertò. Gli altri fecero corpo con i poteri forti e costituiti e oggi sono la classe dirigente politica italiana. Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell’esercito, nella aule scolastiche e delle università. Perfino allo stadio i tifosi imitavano gli slogan, i ritmi scanditi dentro le nostre manifestazioni. L’Orfeo che siamo stati fu contagioso, riempì di sé il decennio Settanta.
Chi lo nomina sotto la voce ‘sessantotto’ vuole abrogare una dozzina di anni dal calendario. Si consumò una guerra civile di bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici. Una parte di noi si specializzò in agguati e in clandestinità. Ci furono azioni micidiali e clamorose ma senza futuro. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò nel buio delle celle dell’isolamento, lei non c’era. Ho conosciuto questa versione di quei due e del loro rapporto, li ho incontrati all’aperto nelle strade. Povera è una generazione nuova che non s’innamora di Euridice e non la va a cercare anche all’inferno”.
(2) Qui invece c’è il brano del 2006 con cui Erri De Luca è riuscito a far incazzare tutti gli attivisti solidali con la lotta del popolo palestinese, beccandosi, tra l’altro, la dura replica dello scrittore israeliano Itzack Lahor che ha accusato Erri De Luca per l’assordante silenzio sulla situazione dei palestinesi. De Luca si scaglia contro una vignetta di Enzo Apicella comparsa su Liberazione che suscitò le proteste dei sionisti e dei filosionisti di sinistra perché riproduceva l’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz accostandolo all’assedio contro Gaza.
Le parole impronunciabili
Erri De Luca
Non cuocerai l’agnello nel latte di sua madre, è scritto nel libro sacro. Non trasformerai la madre della vittima in complice del macellaio di suo figlio. Accusare Israele di affamare la Palestina usando la scritta nazista del campo di sterminio di Auschwitz è cuocere l’agnello nel latte della madre. Non si può prendere la sigla del peggior crimine dell’umanità e rivoltarlo contro i discendenti delle vittime. Ma è stato fatto, per leggerezza o per insulto. Fame è una parola gigantesca, la riduzione al gradino più basso della dignità umana. La chiusura intermittente dei varchi di Eretz Israel non è fame. Dopo l’attentato di Tel Aviv sono rimasti serrati per ventiquattr’ore. Le migliaia di operai palestinesi che non lavorano più in Israele non è fame. Un muro che separa, fa male ma non è fame. Le serre degli insediamenti ebraici smantellati a Gaza sono state distrutte dalla proprietà palestinese reintegrata nei suoi territori. Non è mossa di fame. La legittima elezione di Hamas al governo della Palestina ha delle conseguenze internazionali come il taglio dei fondi di paesi esteri ma non è assedio, non è Sarajevo. La fame annunciata dalla vignetta su «Liberazione» di qualche giorno fa niente ha a che vedere con «Arbeit macht frei» all’ingresso di Auschwitz. Da lì passarono i condannati allo sterminio. Il copyright su quella scritta appartiene ai nazisti. Nessuno può staccarlo dal luogo capitale dell’infamia e appiccicarlo per polemica sull’uscio di qualcuno, tanto meno l’uscio di Israele. E’ triste quando l’intelligenza e la compassione di persone vicine si inceppano e procurano un torto anziché un sollievo. Quel luogo è un nervo scoperto della storia da migliaia di anni. Tre monoteismi, tre fedi esclusive hanno i loro santuari gomito a gomito. E’ un punto della geografia da trattare con la cautela dell’artificiere che manovra per disinnescare la carica, non per accenderla.
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marco
fosse stato un altro avrei potuto pensare che una spiegazione fosse il “tengo famiglia”
Trattandosi di erri, sono più portato a pensare che come intellettuale nemmeno lui sia esente da quella vanità tipica trasversalmente a tutta la categoria che gli necessita di tanto in tanto un coupe de theatre che faccia parlare di se…. indipendentemente da come se ne parli (cit. oscar wilde)