Il primo, Alan Dershowitz, è professore di diritto a Harvard, un difensore di crimini di guerra secondo cui i massacri israeliani di civili palestinesi nelle ultime guerre a Gaza sono legittimi perché a Gaza la categoria di “popolazione civile”, uno dei pilastri del diritto internazionale, non è applicabile. Nella sua intervista con La Stampa sui fatti di Bruxelles Dershowitz prima si dichiara contro la tortura, poi sostiene che in casi estremi i governi europei dovrebbero approvare leggi speciali e consentire l’uso della tortura durante gli interrogatori.
Il secondo esperto intervistato dal quotidiano torinese è Mordechai Kedar, ex-membro dei servizi d’intelligence dell’esercito israeliano e professore di letteratura araba alla Bar-Ilan University. Mordechai è anche il fondatore di Israel Academia Monitor, un gruppo reazionario che monitora gli accademici israeliani che esprimono punti di vista dissidenti chiedendone il licenziamento.
Nella sua intervista con La Stampa sugli attacchi di Bruxelles Kedar propone di rispondere con una singolare rivalorizzazione etico-culturale europea: «Qui c’è un problema tutto vostro, un problema di valori e di cultura. Ad esempio, le donne europee dovrebbero tornare a fare le mogli e le mamme, e i governi nazionali e sovranazionali devono aiutare a fare figli, a crescere demograficamente, a rompere questa dipendenza dall’immigrazione». Giustamente Ida Dominijanni, commentando le parole di Kedar sulla sua pagina Facebook, ironizzava: «Forza ragazze, uteri alla patria».
Non stupisce che un quotidiano il cui nuovo direttore, Maurizio Molinari, dopo i fatti di Colonia del Capodanno 2015 aveva attribuito in maniera razzista la causa degli eventi a una generica cultura araba tribale del branco, scelga di ascoltare (anche) esperti come Kedar per interpretare gli attacchi di Bruxelles. Sembra proprio che al quotidiano torinese il culturalismo orientalista più spicciolo piaccia—una prospettiva importante da ascoltare per capire la violenza politica?
Stupisce però che da gennaio, dopo l’insediamento di Molinari, Kedar sia diventato, a quanto pare, un collaboratore de La Stampa. Sì perché oltre alla sua misoginia e a una conoscenza del mondo arabo improntata all’arabofobia e all’islamofobia, l’esperto della Bar-Ilan University annovera anche un curriculum da fomentatore di crimini di guerra.
Infatti, durante la guerra di Gaza del 2014, Kedar invitava l’esercito israeliano, dalle colonne del sito d’informazione di estrema destra Arutz Sheva, a «tagliare elettricità, acqua, cibo e benzina a Gaza», un crimine sanzionabile secondo il diritto internazionale. E pochi giorni dopo quell’articolo, durante un’intervista con la Israel Radio, Kedar mescolò la sua presunta expertise sul Medio Oriente con un invito all’esercito a compiere altri crimini (con l’utero femminile ancora sullo sfondo):
La sola cosa che può fare da deterrente contro terroristi come quelli che hanno rapito i ragazzini [i tre coloni rapiti e uccisi in Cisgiordania, a cui Israele ha risposto con l’operazione “Margine Protettivo” a Gaza] e li hanno uccisi è sapere che la loro sorella o la loro madre sarà stuprata nel caso in cui verranno presi. Può dare fastidio, ma questo è il Medio Oriente. Bisogna capire la cultura in cui viviamo.
Dopo queste affermazioni, Kedar e l’Università di Bar-Ilan scrissero un comunicato congiunto in cui si leggeva che Kedar “ha semplicemente suggerito di combattere il terrore con mezzi legali e morali” (!) e che Kedar intendesse solo descrivere “l’amara realtà del Medio Oriente e l’incapacità di uno stato che si ispira al diritto liberale moderno di combattere contro il terrore degli attentatori suicidi”.
Poi il professore di letteratura araba si giustificò ulteriormente in un articolo su Arutz Sheva, dicendo di essere un ardito femminista contro lo stupro: «è mia convinzione che gli stupratori andrebbero castrati chimicamente o con altri mezzi, in modo tale da proteggere il pubblico». Spiegò che con le sue affermazioni sullo stupro delle sorelle e madri palestinesi voleva solo mettere in luce la complessità di fronte a cui Israele si trova nel relazionarsi alla “cultura araba dell’onore”.
Da questo intreccio tra «La Stampa», Dershowitz e Kedar emergono due elementi. Come ormai i nostri media mainstream si affidino sempre più a esperti che giustamente un gruppo di studiose e studiosi italiani di paesi arabi, africani e islamici ha definito “il male della banalità”. E come la nostra assuefazione da “scontro di civiltà” si sia spinta in territori talmente pericolosi da tollerare che sui nostri principali quotidiani nazionali a spiegarci la complessità del rapporto tra Europa e Medio Oriente siano studiosi razzisti che giustificano l’uso della tortura o crimini come lo stupro di guerra.
Fonte: http://www.lavoroculturale.org/bruxelles-la-stampa-e-i-fomentatori-di-crimini-di-guerra
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