Al punto in cui siamo bisogna essere ciechi per non capire che nel movimento sociale si gioca molto di più di una semplice legge e dei suoi articoli. Ma la cecità è precisamente la caratteristica dei nostri governanti e dei loro commentatori embedded. Così tutto questo piccolo mondo continua ad agitarsi come in un teatro delle ombre, e a recitare una commedia ogni giorno più assurda, gli uni impegnati a pesare sul bilancino le loro concessioni di facciata, gli altri i loro guadagni risibili, e i terzi intenti a tessere le lodi di ciò che è ragionevole o impegnati a preparare le future “primarie”. E tutti a chiedersi quale possa essere il colore più consono per ritingere la cancellata del giardinetto che si sono impegnati a coltivare, lì, sul fianco di un vulcano tremante e fumante.

Per un paradosso tipico, quando si è alla fine di un ciclo, sono questi stessi signori che accelerano il processo di decomposizione, del quale si percepisce il progredire quando le soglie di corruzione del linguaggio vengono sfondate una dopo l’altra. Al riguardo, abbiamo preso l’abitudine di utilizzare Orwell come metro di riferimento. Ma Orwell era un piccolo giocatore al quale mancava decisamente la fantasia. Bisogna essere del tutto onesti: non era completamente privo di talento, si è dovuto aspettare un po’ prima di vederlo superato nelle falsificazioni linguistiche, ma questo momento è arrivato. Ed è Bruno Le Roux, presidente del gruppo “socialista” all’Assemblea Nazionale, che si incaricato di insegnargli a quali altezze si può portare il prodigio del rovesciamento delle parole: “Bisogna che il contratto a tempo indeterminato non sia una gabbia per gli imprenditori (1)”. Bisogna riconoscere che si fa fatica ad afferrare pienamente cotanto genio e che bisogna reggersi per non essere presi dalla vertigine. Chi se lo ricorda penserà subito a un brano estratto dalle Nouveaux chiens de garde (2) nel quale Bénédicte Tassart (RTL), volendo vituperare il sequestro dei padroni (da parte dei sindacalisti), diceva che “è inammissibile costringere le persone contro la loro volontà in ufficio”, ovviamente senza rendersi conto che, in tal modo,  molto acutamente, rappresentava semplicemente la condizione salariale (senz’altro limitata al settore terziario, ma agevolmente generalizzabile). La poverina era inconsapevole del fatto che le analogie carcerarie di Bruno Le Roux sono calibrate meglio. Talmente ben calibrate che si resta quasi nel dubbio che siano intenzionali.

Si potrebbe in effetti pensare che tutto ciò che avviene in questo momento giri precisamente intorno alla connessione, potentemente evidenziata da Bruno Le Roux, del contratto salariale e della prigione. Chi è veramente il carcerato? È questo il punto di controversia residuale, sul quale, per fortuna, non si fermano quelli che, bombolette spray in mano, rielaborano per conto loro, e in maniera alquanto energica, la grande intuizione di Le Roux.

E non solamente la sua, perché è decisamente un governo che non manca di filosofi e che eccelle nell’arte del “far pensare”. Ricordiamoci di Emmanuel Macron, che suggeriva, meditando sui fini esistenziali, che “c’è bisogno di giovani che vogliano diventare miliardari”. Passare all’articolo indeterminativo per fargli dire che bisogna che “i giovani abbiano voglia di diventare miliardari” sarebbe violentare un pensiero che, visibilmente, si trattiene dal trarre tutte le conseguenze per il timore di reazioni retrograde? Dall’uno all’altro, comunque – da Le Roux a Macron – e anche se per vie diverse, si tratta di un’idea generale dell’esistenza che ci viene proposta.

C’è un invito e dobbiamo mostrarci sensibili. Prendiamo le cose allo stesso livello di genericità in cui ci vengono proposte – il solo modo per rispondere adeguatamente. Diciamo per onestà che questa risposta ha avuto bisogno di tempo per arrivare a maturazione. È vero che tanto la brutalità dell’assalto neoliberale quanto il crollo dell’“alternativa comunista” non hanno facilitato la presa di coscienza. Trent’anni di sperimentazione sulla pelle non potevano che produrre qualche incomprensione. Ma il “reale” fa il suo cammino, e lo fa sempre meglio quando si sviluppano luoghi di condivisione  (primo esempio tra altri il sito #OnVautMieuxQueCa), dove la gente scopre che ciò che è costretta a vivere contro la propria volontà è condiviso da tanti.

Inoltre, bisogna ringraziare sentitamente questo governo che non ha mai smesso di stimolare il pensiero:  la cosiddetta “Legge sul Lavoro” giunge come una sorta di apoteosi che ci permette le ultime precisazioni. L’idea della vita che queste persone ci propongono appare ora in tutta la sua chiarezza. È per questo che, oramai dotati della conoscenza necessaria e dopo lunghe riflessioni, possiamo rispondere “no”. Sottolineiamo, per i sordi –  e ce ne sono sempre tanti dalla parte del potere -, che è di questo che si tratta oggi. Non di quante volte il contratto a tempo determinato possa essere rinnovato o dell’opportunità deivoucher, o di altro: si tratta, piuttosto, dell’idea dell’esistenza.

Si può convincere qualcuno facendo ricorso ai principi, si può ancora meglio attraverso le immagini. Per quelli che non avessero ancora ben chiaro il tipo di mondo che la filosofia del governo desidera per noi – nei due sensi della parola: al nostro posto e per imporcelo – basterebbe considerare una o due cose che possono rappresentare una sfida al potere. Ci riferiamo, e sono state viste da tutti, alle immagini di una diatriba molto accesa tra tre poliziotti antisommossa ed un pericoloso liceale parigino, o le immagini del ritorno delle squadre speciali di polizia sui banchi dell’università di Tolbiac, che gettano una luce diversa sulle parole di François Hollande del 2012 – “Vorrei ridare la speranza alle nuove generazioni” – o il più recente discorso della ministra dell’Educazione Najat Vallaud-Belkacem (24 Marzo 2016) – “Educazione: ciò che facciamo per la gioventù”. A meno che non fosse precisamente ciò che intendevano.

La realtà del ordine sociale si trova altrimenti esplicitata in due video: il primo, di pura testimonianza, è stata girato dal giornale Fakir e vede Henri (il suo cognome non è noto) raccontare come lui, salariato di un subappaltatore, è stato denunciato dalla Renault, dove interveniva, al suo datore di lavoro per avere, fuori orario di lavoro e  tramite la sua email personale, segnalato il film Merci patron! ad alcuni sindacalisti del Technocentre (il centro ricerca della Renault)…

Denunciato e, ovviamente, allontanato dal sito dove svolgeva il suo lavoro… è ora alle prese con una procedura di licenziamento con il suo datore di lavoro. Ancora più sconcertante, se si può, è la scena registrata in un ufficio postale di Asnières: durante un’assemblea di fronte ad un gruppo di robocop in assetto ed  armati di flashball, chiamati dalla direzione. Solo la loro coesione e la reazione  di un sindacalista coi controcoglioni, corazzato dai suoi diritti sindacali, ha potuto cacciarli.

Forse è proprio questa la scena che sintetizza il terrore del potere: l’incontro tra studenti e salariati. La sorveglianza in ultima istanza poliziesca, del salariato riottoso, ovvero la fusione tra Stato e capitale, paradossalmente ancor più forte quando si tratta di capitale pubblico; l’alternativa radicale della sottomissione o della lotta collettiva. È più che evidente che di fronte a un tale spettacolo, la chiarezza della comprensione ottiene l’aiuto dall’immaginazione. Ed anche un rimescolarsi di affetti ed emozioni. E grazie a questa bella spinta, siamo finalmente in grado di dire l’indicibile: non rivendichiamo nulla. Capirete che dopo decenni in cui ci avete mostrato, voi e i vostri simili, le vostre alte qualità e lungimiranze, l’idea di negoziare con voi ci appare semplicemente senza senso. Il fatto è che “rivendicare” ha senso solo in  un contesto che  si possa  riconoscere come implicitamente legittimo. Viene il momento in cui, a forza di negoziare per poche briciole e anche semplicemente per ridurre la riduzione delle briciole, l’impensabile ritorni alla mente. Non più come oggetto di una qualche “rivendicazione”, ma come oggetto di una trasformazione completa.

Certo, lo sappiamo: per continuare a sostenere l’illusione potete contare sul sindacalismo color ranuncolo (giallo), quello che vede “aspettative di progresso” (3) dopo le peggiori regressioni, e del quale la scienza araldica ha ormai stabilito sia lo stemma “di moccio incrociato” che l’eterno motto “Iam mendacium semper”. Contro un certo sindacalismo in ginocchio, ciò che nasce adesso è un  movimento in piedi. Come si sa, un movimento inteso in questo senso, inizia dalle assemblee e dai raduni. Tra la gente si è diffusa l’idea che semplicemente manifestare sugli stessi percorsi prestabiliti, in altre parole “rivendicare”, non è più sufficiente. La conseguenza è che non torneranno a casa loro dopo il corteo, si raduneranno da qualche parte per iniziare qualcosa di diverso. “Nuit debout” (Notte in piedi), è il nome di questa iniziativa, e il suo slogan, copiato dal messaggio del film Merci patron!, è indicativo del rapporto con la controparte: “terrorizzarli”… Radunarsi, non sciogliere i cortei, non rivendicare: in effetti, un concentrato di inquietanti anomalie per i saggi amministratori della controparte.

Ed è vero che, anche se non conosciamo bene la nostra forza, ciò che sta nascendo è un incubo per lo Stato, che vede manifestare le sue paure in una congiuntura astrale del peggio: la negazione della mediazione, l’abbandono della rivendicazione e la sua sostituzione con l’affermazione.

Si potrebbe dire, infatti, che siamo sul punto di vivere uno di questi momenti benedetti della storia nei quali gruppi fra loro frammentati riscoprono ciò che hanno in comune, questo comune massiccio istituito dal capitalismo stesso: la condizione salariale. I salariati maltrattati di oggi, gli studenti e i liceali maltrattati di domani, i precari di ogni sorta, ma anche tutte le altre vittime indirette, si direbbe collaterali, della logica generale del capitale, migranti in situazione irregolare e sfruttabili all’infinito.

Che cosa può fare un ministro, o il suo sottosegretario, di tutta questa gente che non ne vuole più saperne di rivendicare? Niente, assolutamente nulla, e lo sanno, tra l’altro, ed è questo che li terrorizza. Quando abbandonano la pratica infantile della rivendicazione, i cittadini ritrovano il gusto dell’affermazione – la rottura del monopolio dello Stato sul diritto all’affermazione. Per sua sfortuna, la legge El Khomri sarà stata la prevaricazione di troppo, quella che oltrepassa la soglia dello scandalo e genera negli spiriti la spinta al radicale cambiamento del punto di vista sulle cose, delle posizioni, dei ruoli. Non abbiamo nessuna voglia di lottare per cambiare due commi: vogliamo affermare nuove forme dell’attività politica.

Bisogna sentire il commovente appello di Michel Wievorka a “salvare la sinistra di governo” (6) per comprendere il livello di integrazione degli intellettuali conniventi al “quadro” generale delle cose, e di conseguenza, la loro totale incapacità di capire ciò che si muove nella società, anche e sopratutto se sono sociologi. In un tentativo di ridefinizione performativa delle categorie politiche che esplicita pienamente lo slittamento a destra di questo personale di accompagnamento (a seguito dei loro maestri, che non possono abbandonare), Wievorka nomina rappresentanti della “sinistra della sinistra” … Benoit Hamon e Arnaud Montebourg (sinistra socialista)! Un modo per indicare a questa gente dove è situato il confine estremo del mondo politico – perché, per definizione, a sinistra della sinistra della sinistra, non c’è nulla. O piuttosto si: ci sono i matti, la “sinistra matta”, è l’espressione preferita di tutti gli esterrefatti che non si capacitano che si possa non volere scegliere tra “la sinistra liberal-marziale di Manuel Valls” (sic), “la sinistra social-liberale di Emmanuel Macron” e quindi “la sinistra della sinistra di Benoit Hamon e Arnaud Montebourg”.  Rinchiusi nelle loro certezze, costoro ridisegnano i confini di questo dominio della follia sempre più vicino a loro. Allora bisogna dirlo, a Wievorka e a tutti i suoi simili, agli Olivennes (7), ai Joffrin (8), eccetera… è vero, siamo completamente matti. E stiamo arrivando.

NOTE

(1) LCP, 10 marzo 2016.

(2) Les nouveaux chiens de garde, film de Gilles Balbastre et Yannick Kergoat, Epicentre films éditions, 2011.

(3) Laurent Berger, « La loi Travail “peut répondre à une ambition de progrès” », L’Obs, 24 mars 2016.

(4) Si veda il sito Convergence des luttes.

(5) Si veda « Pour la république sociale », Le Monde Diplomatique, mars 2016.

(6) Michel Wieviorka, « Il faut sauver la gauche de gouvernement », entretien, L’Obs, 27 mars 2016.

(7) Denis Olivennes, La maladie de la gauche folle, Plon, 2000.

 

Testo tratto da Le Monde Diplomatique, 29 marzo 2016. Traduzione dal francese di Guillaume Mariel