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Bagnoli. Fiati e colli

Continua la discussione sull’accordo raggiunto sull’area di Bagnoli tra Comune di Napoli e governo. Dopo Eleonora Di Majo, Assise Popolare di Bagnoli, Laboratorio Comunista Casamatta, oggi ospitiamo un contributo di Giuseppe Aragno

Si dice che la storia non si fa con i se ed è vero. Non meno vero è, tuttavia, che spesso i se aiutano a capire quello che veramente si nasconde dietro i cosiddetti “documenti”.
Partendo da questa funzione del “dubbio”, rispetto alle presunte “certezze” dei fatti, tenterò, per una volta, contro le regole del gioco, una breve analisi alla rovescia, fondata su di una “ipotesi impossibile”: se la Giunta De Magistris non fosse mai esistita, quale sarebbe stata la sorte di Napoli in questi anni? Quale, per fare un esempio, il destino di Bagnoli, rispetto a quello che, dopo il recente accordo, si delinea per sommi capi persino nelle dichiarazioni più critiche dei movimenti? In altri termini, e per essere chiari, Bagnoli avrebbe avuto la grande spiaggia pubblica, il parco verde di 130 ettari, l’indietreggiamento della Città della Scienza, del Circolo Ilva, la rimozione della colmata e gli impegni per la bonifica, che tra le mille critiche si danno per acquisiti persino nei commenti dei comitati più radicali?
Se questo sia un risultato significativo o una Caporetto, come pare ritengano alcuni comitati, non si può decidere in base a criteri soggettivi o, peggio ancora, a tentazioni massimalistiche che storicamente hanno sempre causato disastri. C’è un solo criterio valido per definire l’esito di una trattativa, a meno che non si abbia in mente come modello la “presa del palazzo d’inverno” che è una prospettiva affascinante ma al momento irrealizzabile. E’ il contesto in cui ci si è mossi che dà la misura del risultato. Avendo di fronte un governo di ampia visione democratica, popolare nel senso costituzionale della parola, e cioè rispettoso della sovranità che la Costituzione assegna al popolo, diremmo tutti che si sarebbe potuto fare di più. E qualcuno potrebbe anche parlare di una parziale “sconfitta”. Qui però di governi democratici non si vede l’ombra; i conti si fanno con esecutivi di dubbia legittimità, in un panorama nazionale e internazionale di neofascismo dilagante.
La domanda, quindi, per restare nel campo dei se e dei ma, è un’altra: che avrebbe mai fatto concretamente un’Amministrazione comunale diversa da quella di De Magistris, oggi, con i rapporti di forza reali e nel momento storico in cui ci muoviamo? Quale sarebbe stato il risultato della trattativa, se il Comune si fosse schierato contro i movimenti, dalla parte del Governo centrale, giocando nel campo designato da Renzi, con il regolamento scritto dal pupo fiorentino, nel quadro del “pensiero romano” fissato in quel provvedimento legislativo che si chiama “Sblocca Italia” ed è una cambiale firmata in bianco vantaggio della speculazione? I movimenti, da soli, senza alcuna copertura istituzionale, avrebbero avuto la “forza militare” e la capacità politica di vincere la partita? Non c’è la controprova, ma non è azzardato supporre che il Governo avrebbe imposto l’espropriazione totale e incondizionata dell’intera area con il consenso del Comune, con la prepotenza di chi sa di essere forte. Oggi parleremmo di un trionfo assoluto della speculazione, delle logiche di profitto e di una totale ignoranza di ogni benché minima richiesta di bonifiche e di tutela per la salute.
L’assalto ai forni e il controllo popolare sulla produzione e sui prezzi, l’occupazione delle fabbriche e la tragedia conclusiva del movimento operaio nel “biennio rosso”, non furono come ha preteso poi la vulgata comunista dopo Livorno e il 1921, la conseguenza fatale dei “tradimento dei riformisti”. I rivoluzionari sbagliarono l’analisi della fase storica e aprirono la porte al fascismo. Noi questa lezione non l’abbiamo mai appresa. Fu Matteotti a cadere sotto il pugnale fascista. Di ferro fascista morì Rosselli – il socialfascista – per aver portato per primo l’antifascismo armato nella Spagna repubblicana. Non sapremo mai quale distanza si era prodotta tra Gramsci carcerato e i “compagni” che ne fecero un’icona, ma sappiamo che Buozzi, il “traditore”, morì per mano tedesca mentre tentava di riorganizzare il sindacato. Di formule e formulette astratte è costellata la storia dei grandi sogni e delle tragiche sconfitte.
Napoli, per uscire dall’esperimento dei se, con le sue mille contraddizioni, è un baluardo contro la reazione. Si dovrebbe stimolare l’Amministrazione a fare meglio, si può lavorare per spostare equilibri a sinistra, si può e si deve puntare il dito sulle scelte sbagliate, quello che non si dovrebbe fare è il tiro a segno sulla croce rossa, mentre il Vesuvio brucia non solo perché si vuole creare l’emergenza e fare soldi. Quello che veramente si sta cercando di fare è più semplice e più tragico: si vuole che la tensione salga fino al punto che la popolazione stanca, disorientata e impaurita, invochi di sua “spontanea volontà” leggi liberticide, cercando scampo nello “Stato forte”. E’ per questo che il “Mattino” se la prende con i disoccupati organizzati e ogni giorno spara addosso all’Amministrazione.
Forse l’accordo non realizza i sogni. E’ certo però che impedisce un incubo in un momento storico tra i più oscuri e lascia aperti spazi di manovra. C’è tempo per guardare avanti? I movimenti programmano assalti al Comune e parlano di “fiato sul collo”. Domani la Corte dei Conti potrebbe chiudere un’altra partita e mettere fuori gioco De Magistris. Una città compatta avrebbe avuto un peso politico sulla decisione? E’ una domanda che sarebbe stato necessario porsi, perché se questa Giunta sarà battuta, la normalizzazione di Napoli richiederà pochi giorni ed è difficile credere che i movimenti possano far sentire il loro fiato sul collo di qualcuno. Nella migliore delle ipotesi, respireranno a fatica.

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