Secondo Di Maio, Salvini non ha violato il loro “codice etico” perché, secondo lui “la decisione di bloccare la #naveDiciotti con i migranti nel porto di Catania, è stata presa nell’interesse del paese e per chiedere alla UE di farsi carico dell’accoglienza”. Ed ha poi aggiunto: “Se non avremo risposte dall’Europa saremo costretti a tagliare le quote che l’Italia versa ogni anno alla UE”.
Dunque, se abbiamo ben capito, i migranti sono stati crudelmente presi in ostaggio – in barba a qualsiasi norma e convenzione internazionale sul diritto di asilo e tenuti sul ponte di una nave per giorni in condizione di gran deprivazione – solo per fare pressione sui paesi europei che stanno ignorando le richieste dell’Italia.
Ma allora, perché, invece di fare questi giochetti disumani sulla pelle di gente già molto sofferente e bisognosa di aiuto, non cominciare davvero con un taglio, che so, del 10% o del 20% dei trasferimenti del nostro paese alla Comunità Europea?
In fondo sarebbe un atto pienamente legittimo e politicamente chiaro che sgomberebbe, in un sol colpo, il campo da qualsiasi ambiguità e taglierebbe le gambe alla propaganda salviniana. Poi, sul fronte interno, basterebbe fare, da subito, un bel decreto legge per assegnare allo Stato la gestione dell’accoglienza recependo, sic et simpliciter, l’ottimo progetto proposto da Milena Gabanelli così da smantellare finalmente il tanto vituperato business in mano alle cooperative “rosse”, “bianche” e clericali.
No, Di Maio queste cose non le dice perché non le vuole fare davvero. Dunque, non farà nulla contro la UE perché, oltre a non avere nessun “piano B”, ha già fatto dichiarazione di fedeltà sia all’Unione Europea che alla NATO.
Dall’altro lato, il suo fedele alleato, Salvini, fuori dalla becera propaganda, non saprebbe dove andare se non dai suoi amici fascisti europei che, a parte gli slogans razzisti e nazionalisti, non sanno mettere due concetti in croce che abbiano un senso compiuto.
Berlusconi, intanto, s’è squagliato e Forza Italia è in mano all’ultraeurocrate Tajani. E poi, sul punto, sia Tria che Moavero, sono stati chiarissimi: i vincoli europei non si toccano.
Il fatto è che i 5S subiscono l’iniziativa di Salvini nella vana speranza di riuscire, prima o poi, a portare a casa qualche minimo risultato tra i pochi rimasti in piedi tra quelli annunciati in campagna elettorale. E qui si fa notte buia, se è vero che anche quelle modeste, ma praticabilissime, indicazioni del Prof. Domenico De Masi sul rilancio dell’occupazione e sulla riduzione dell’orario di lavoro, sono già state abbandonate.
E allora cosa resta? Ma certo: poltrone ed emolumenti. Insomma, qualche occupato in più: loro.
Altro che cambiamento… Quello dei Cinque Stelle non è nemmeno minimalismo, è il nulla. Un nulla in cui sguazza allegro, ma non troppo, quella iena di Salvini, che di sondaggio in sondaggio, approfittando del vuoto che ha intorno, è già il primo partito ed è stato proprio il M5S a fargli questo insperato regalo.
È l’inizio della fine di un movimento che aveva alimentato aspettative e speranze enormi e che ha finito per rappresentare, al solito, i vizi della solita vecchia italietta mediocre, opportunista e pressapochista condita dal mito della “democrazia della rete” e da quello, ben più antico, dell'”uomo qualunque”.
Ma è il tempo delle passioni volatili e dell’obsolescenza programmata. E’ la dura legge della rete: l’ipervelocità tecnologica che fa a pugni con la lentezza antropologica. La videocracy di Berlusconi è durata un ventennio, la retecrazia di Casaleggio Jr.&co. non durerà più di due, vedrete.
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