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Armi: dopo la vittoria dei camalli e…

Dopo la vittoria dei camalli e di chi lotta per la pace bloccando due volte il carico di armamenti su due navi sauditede stinate a rifornire la guerra di sterminio contro il popolo yemenita, come c’era da aspettarsi, non poteva mancare il pennivendolo al servizio di armatori e businessmen del porto per chiedere senza ambasce la repressione contro i camalli e chi lotta contro il traffico di armamenti.

L’argomentazione – assai prolissa e ripetitiva (dovrebbe imparare a scrivere meglio, in inglese non si scrivono queste ripetizioni noiose) – di questo signore è sorprendente perché allude palesemente a un complotto che sarebbe all’origine della lotta dei camalli e dei militanti che lottano per la pace. Il titolo del suo articolo pubblicato nella rivista da lui fondata e diretta, Ship2Shore (S2S), edita in italiano e in inglese, è già esplicito: “Genova ancora ostaggio dei manipoli di lavoratori strumentalizzati (con connivenze)”.

L’obiettivo principale di questo signore è di chiedere la criminalizzazione dei lavoratori del CALP (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) primi responsabili di questo sabotaggio del carico della nave saudita che arrecherebbe un danno irreparabile all’economia del porto, della citta e dell’Italia intera. A ruota, il solerte pennivendolo non risparmia la messa alla gogna delle diverse associazioni che solidarizzano con questo “scellerato” sabotaggio, che elenca così: “Amnesty International, Libera, Caritas diocesana, Agesci Liguria, Acli, Rete per la Pace, Oxfam e una trentina di altre realtà̀ del mondo associativo pacifista e cattolico”.

Ovviamente non manca la condanna del comportamento della CULMV e della FILT CGIL, a suo dire “fantocci nelle mani della frangia estremista poiché́ i rispettivi rappresentanti avrebbero dapprima firmato un documento presso l’AdSP che riconosceva l’utilizzo civile dei materiali oggetto del blocco, salvo poi farsi trascinare da una certa onda mediatica e così ricusarsi, fino a dichiarare lo sciopero, con modalità̀ che appaiono anche discutibili rispetto alla normativa vigente”.

Ma il pennivendolo s’è scatenato e non ha lesinato la stigmatizzazione anche dell’atteggiamento delle autorità portuali e delle autorità politiche (“gli stakeholders cittadini”) che sarebbe rivelatore di “fragilità̀ e instabilità̀ assoluta di un sistema in cui la pace sociale sulle banchine evidentemente era stata siglata a tempo determinato; ma soprattutto evidenzia la mancanza della loro compattezza, coesione ed uniformità̀ di vedute (il signorino si erige anche a “strigliatore del potere”). E credendo di conoscere la storia economica, sociale e politica genovese, lo scrivano che si prende per Torquemada pretende ricordare: “Come già̀ vissuto negli anni più bui della grande crisi di traffici marittimi a Genova, quando a metà anni ’80 la prima città portuale d’Italia abdicava al suo ruolo di leader mediterraneo in quanto vittima dei ricatti pressoché́ oltraggiosi (ma che vuol dire?) dei ‘camalli’, che mettevano in fuga (quasi senza ritorno) armatori e merci …”

Forse, il povero scribacchino non ha mai letto il libro Chiesa e impresa a Genova dal dopoguerra ai giorni nostri – edito da Confindustria nel 2009 – sulla cui copertina troneggia la foto più che emblematica del cardinale Siri, al centro, e ai due lati l’allora presidente dell’Autorità portuale e il leader dei camalli, Paride Batini, a testimonianza della necessaria mediazione fra lavoratori e autorità in un periodo di estrema confittualità (il cardinale dell’Opus dei era molto abile nelle mediazioni anche delle vertenze sindacali più difficili).

E fa finta o ignora – il che è peggio – come agiscono i dockers dei diversi porti del Nord Europa, di Bilbao e anche di Marsiglia. Qui un articolo sulla mobilitazione dei portuali di Marsiglia; un articolo di Mediapart di denuncia del commercio di armi francesi verso l’Arabia Saudita; qui il link del comunicato di Amnesty sul Regno Unito: https://www.amnesty.it/trasferimenti-armi-arabia-saudita-illegali/.

Ma si capisce che il tizio amerebbe un bel regime stile quello saudita o comunque totalitario in grado di sterminare ogni resistenza da parte dei lavoratori e della popolazione non complice del potere. Dimentica che Genova è stata medaglia d’oro della Resistenza contro il nazifascismo e la città che fece cadere il governo Tambroni con la rivolta del 30 giugno 1960. E Non sa che nel 1973 i camalli organizzarono e mandarono una nave di aiuti al Vietnam appena liberato dall’invasione yankee.

Nel suo articolo il direttore della rivista arriva al punto di constatare con costernazione (sua) che “nonostante alcuni lodevoli tentativi da parte di Regione Liguria e di Comune di Genova di permettere ad un territorio spesso inerte e passivo di rialzare la testa, la vicenda della nave cargo araba – parte di una flotta che da circa 30 anni scala regolarmente le banchine tricolori – bloccata da un piccola ed eterogenea folla di ‘benpensanti’ sostenitori di valori morali inattaccabili, fa ancora una volta emergere che, cambiano i tempi e cambiano gli attori, ma la situazione resta quasi sempre la medesima”.

Eppure secondo lui: “non sono solo gli agenti marittimi genovesi ad unirsi per un messaggio univoco di protesta; ma anche i loro ‘cugini’ nella catena del trasporto, alias gli spedizionieri – entrambe le categorie per bocca delle rispettiva associazioni – vanno ad invocare, mediante una missiva molto ficcante ed inequivocabile, una presa di posizione netta da parte dell’Autorità di Sistema Portuale … che, invece, mostrerebbe troppo spesso un’indole pilatesca …”.

Ed ecco che il pennivendolo si fa tribuno “degli imprenditori che rivendicano alcune certezze …” e pretende affermare con sicumera che “tutta la documentazione, che è stata da subito messa a disposizione di chiunque volesse prenderne visione, per avere la conferma che gli 8 generatori, oggetto dello scellerato ‘embargo’, siano destinati ad un uso civile, sebbene di tali evidenze non si sia voluto tener conto”.

In sintesi il tribuno insiste a dire che “la merce aveva le autorizzazioni del caso e nessuna autorità ha sollevato dubbi … e Teknel aveva pieno diritto di vendere ed esportare il proprio prodotto”.

Come mostra la ricerca scientifica inequivocabile dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza-OPAL di Brescia, “nonostante le ripetute prese di posizione dell’azienda Teknel Srldi Roma e le “rettifiche” che essa ha chiesto di pubblicare sulla stampa nazionale, non c’è stata la necessaria verifica di conformità̀ alla normativa vigente che i quattro shelter e relativi generatori Teknel non caricati a bordo della nave «Bahri Yanbu» avrebbero una destinazione esclusivamente “civile”, cioè̀ non militare.

Quei generatori – come documenta la Relazione governativa sulle esportazioni di materiali militari (e si mostra anche l’allegato vedi sopra sito OPAL) – fanno parte di un ordinativo di 18 gruppi elettrogeni del valore 7.829.780 di euro, la cui esportazione è stata autorizzata alla Teknel da parte del competente organo nazionale, l’Autorità nazionale – UAMA.

A seguito di questa autorizzazione, sono da ritenersi a tutti gli effetti materiali ad uso militare, sia per la tipologia di materiale, sia per il destinatario e utilizzatore finale: la Guardia Nazionale Saudita.

Non è compito, quindi, né delle autorità locali (Prefettura, Questura, Autorità Portuale, ecc.), né dell’azienda e nemmeno dei lavoratori portuali o dei loro sindacati stabilire se si tratta o meno di materiali militari: questo è già̀ stato definitivamente stabilito dall’Autorità nazionale UAMA che ne ha autorizzato l’esportazione proprio in quanto materiali militari”.

L’Osservatorio OPAL, sulla base documentazione pubblica e facilmente consultabile, ribadisce inoltre che non è possibile sostenere – come si afferma proprio nel verbale – che il materiale Teknel è “civile” «in coerenza con i compiti istituzionali del destinatario (…), identificato con la Saudi Arabian National Guard», la Guardia Nazionale Saudita (SANG).

La SANG è un destinatario eminentemente militareè sufficiente accedere a una delle tante fonti indipendenti per constatarne la rilevanza come corpo militare separato e concorrente rispetto alle forze regolari saudite. Inoltre, la nota vicenda dei c.d. Yemen papers, basati sulla fonte primaria di un rapporto riservato dei servizi d’informazione militari francesi – da cui a sua volta ha preso spunto la protesta contro la vendita ai sauditi dei cannoni francesi CAESAR, amplificata poi dal blocco della «Bahri Yanbu» a Le Havre – fornisce evidenze del coinvolgimento della SANG nella guerra yemenita”.

Ma il direttore di S2S torna ad additare il CALP: “altri non sono che un manipolo di ‘lavoratori’ del porto che percepiscono il salario ma che in banchina a piegare la schiena si vedrebbero di rado”. Questa frase non potrà passare liscia e si spera che il CALP quereli questo signore e con i soldi della condanna possa sostenere meglio le sue lotte.

Ma per dar credibilità alla sua filippica contro il CALP, il tizio arriva a scrivere accuse che c’è da chiedersi chi gliele abbia suggerite: “Le loro azioni, ben conosciute da coloro che lavorano in porto, sono anche violente creando tensioni e paura (a lui); vengono denunciati e al riguardo sul sito social del Collettivo vi sono filmati orgogliosamente ostentati, binari ferroviari saldati per non far transitare i treni, blitz perpetrati nottetempo da persone incappucciate, bengala sparati in aria, copertoni bruciati. Quasi una piccola guerriglia urbana finalizzata ad imporre le proprie ragioni ed impedire a persone che vogliono lavorare ‘sul serio’ di poterlo fare nel rispetto delle regole, lamenta la controparte, che si accanisce contro l’inerzia generale ed un certo lassismo, stupita che nessuno si adoperi per contrastarli”.

Nella storia del movimento operaio in tante occasioni i lavoratori sono stati costretti a escogitare metodi di sabotaggio che purtroppo non sono mai altrettanto lesive di quanto siano le azioni del padronato e dei dominanti oltre che dei loro sgherri. Il pennivendolo direttore di S2S fa anche finta di non sapere che non sono solo i portuali e chi lotta per la pace a Genova a mobilitarsi contro le forniture di armamenti ai paesi che come l’Arabia saudita sta sterminando il popolo yemenita. Già i dockers di diversi porti del nord Europa si sono mobilitati esattamente come i portuali genovesi.

Nella lettera aperta che i portuali del CALP hanno scritto ai lavoratori della TEKNEL srl di Roma, si legge: “Siamo i portuali di Genova scesi in sciopero per bloccare il carico sulla nave Bahri Yanbu e sulla Bahri Jazan dei generatori elettrici spediti dalla vostra azienda alla Guardia nazionale Saudita. Lo abbiamo fatto perché, dopo il blocco del carico dei cannoni a Le Havre da parte dei portuali francesi sulla stessa nave, abbiamo verificato che la Guardia saudita è un corpo militare impegnato nella guerra civile in Yemen, indicata dall’ONU come il teatro di una immane catastrofe umanitaria di cui l’Arabia è uno dei principali responsabili. Noi non crediamo di erigerci al ruolo di salvatori dell’umanità o di giudici dei mali del mondo. … Noi vogliamo che l’Italia sospenda la vendita di armi all’Arabia Saudita, unendosi così alla lista di paesi che già lo hanno fatto o lo stanno facendo, ovvero Svizzera, Germania, Austria, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Belgio, Olanda e Gran Bretagna. Persino il Senato USA, ossia del più forte alleato della dittatura saudita – è notizia di queste ore – ha bloccato il piano di Trump di vendita di armi ai sauditi per il loro ruolo nel sanguinosissimo conflitto nello Yemen…  Noi apparteniamo a una storia e a una cultura marinara e portuale in cui il soccorso e l’accoglienza sono valori fondamentali e in cui il commercio civile è praticato come mezzo per la prosperità dei popoli. Per questo è intollerabile assistere alla chiusura da parte del Governo dei porti per coloro che fuggono dai teatri di guerra, dalle dittature e dalle privazioni economiche e morali, mentre il Governo li lascia aperti al traffico di armi che producono direttamente e indirettamente quei fuggitivi …

In conclusione, lo scopo finale del direttore di questa rivista è che il governo stesso adotti misure draconiane per ristabilire la libertà degli imprenditori del porto di poter commerciare con chiunque e senza intralci di alcuna sorta, ergo passando alla criminalizzazione dei camalli e in particolare di quelli del CALP e di chi li sostiene (come per le associazioni e volontari che aiutano i rifugiati).

 

Vedi qui sito CALP: calp238599372.wordpress.com/

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pubblicato anche su: http://effimera.org/i-camalli-di-genova-no-al-traffico-darmi/ e su www.osservatoriorepressione.info

Pubblicato già in francese: https://blogs.mediapart.fr/salvatore-palidda/blog/240619/les-dockers-mobilises-contre-la-guerre-sont-

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