Che “pace”, “democrazia” e “diritti” siano solo la patina sbrilluccicante che nasconde la generale torsione autoritaria che caratterizza da sempre l’Unione Europea, lo andiamo affermando da tempo.
Ma con il voto di lunedì, che ha tolto l’immunità parlamentare ai tre eurodeputati catalani, ormai il banco è saltato, la recita non sta più in piedi.
A favore della revoca hanno votato 400 deputati su 705, 248 si sono espressi contro e 45 si sono astenuti, su un totale di 693 votanti.
Le tre maggiori famiglie politiche europee – incalzate dai tre partiti spagnoli che sono parte di questi raggruppamenti (PSOE, Partido Popular e Ciudadanos) – hanno comunque avuto ottanta “defezioni” rispetto alla disciplina di voto. Segno che l’opzione di togliere questo tipo di tutela a parlamentari regolarmente eletti e oggetto di veri e propri processi politici è stata considerata una sorta di “traversata del Rubicone” per il quadro di garanzie complessive.
Ed in effetti, al di là delle ricadute pratiche effettive, ha un forte valore simbolico di ulteriore svolta nella criminalizzazione del dissenso politico.
Non è detto che questa decisione vergognosa porti necessariamente all’estradizione dei diretti interessati, in passato già negata dai Paesi in cui si sono esiliati (Belgio e Scozia). Ma è certo che va avanti il lavoro persecutorio di Pablo Llarena, istruttore della causa del procés al Tribunale Supremo, anche in sede della Corte di Giustizia Europea, per sfruttare appieno le modalità giuridiche per “assicurare alla giustizia spagnola” i tre politici e cercare di annichilire la sovranità giuridica dei Paesi in cui sono esiliati.
La Catalogna sembra ormai essere diventata il nuovo laboratorio per l’unico elemento che l’UE lascia gestire prioritariamente alle singole amministrazioni nazionali, quello repressivo, in una sorta di allineamento verso il basso delle garanzie giuridiche a livello comunitario, teso a eliminare le garanzie residuali dei singoli paesi di fronte alla Giustizia Europea.
Non è la prima volta che Bruxelles resta sorda alle istanze di Barcellona, mentre presta il fianco a Madrid: le istituzioni comunitarie si erano infatti schierate dalla parte del governo spagnolo anche nell’ottobre 2017, mentre si mandavano le forze dell’ordine a massacrare milioni di elettori ai seggi, in occasione del Referendum unilaterale sull’indipendenza.
A tre anni di distanza è direttamente il Parlamento europeo a strizzare l’occhio allo Stato spagnolo. Come ha affermato il principale quotidiano del Regno, “senza sorprese o scosse, l’EuroCamera ha soddisfatto le aspettative” votando a favore del ritiro dell’immunità garantita finora a tre eurodeputati catalani: l’ex President de la Generalitat, Carles Puigdemont, e gli ex consellers del governo catalano Toni Comin e Clara Ponsatì. Condannati in Spagna a più di dieci anni per il loro ruolo in questo banale esercizio di democrazia: un referendum, appunto.
Le accuse di Madrid sono legate al loro ruolo nell’organizzazione e nella gestione del Referendum, dunque sono di natura squisitamente politica. Così come lo sono le accuse ai sette prigionieri politici catalani, tutti leader indipendentisti, a cui è stata tolta dal Tribunale Supremo la condizione di semilibertà precedentemente concessa, il giorno stesso in cui è stata comunicato il voto di Bruxelles.
Entro le nove di sera, sono rientrati (tranne uno di loro che godeva di un permesso) nel carcere di Lledoners, dove continueranno a scontare le pesanti pene detentive, ribadendo prima di rientrare la giustezza nelle proprie convinzioni e la necessità di perseverare nell’obiettivo dell’indipendenza.
Tra questi, l’ex-vicepresidente del governo catalano Oriol Junqueras ha dichiarato: “Sanno che possono batterci solo se ci buttano fuori dal campo da gioco. Dato che non possono batterci alle urne, vogliono batterci nei tribunali e nelle carceri, ma anche quando infrangono tutte le regole non gli è utile per conquistarci”.
I sette sono la punta dell’iceberg delle circa tremila persone coinvolte in azioni giudiziarie legate al processo indipendentista, per le quali le forze uscite vincitrici dalle urne il 14 febbraio ed in trattativa per formare il governo (ERC, JxC e CUP) chiedono l’amnistia.
In questo braccio di ferro tra forze istituzionali, si nota bene il riflesso degli avvenimenti di piazza di queste settimane per la scarcerazione di Pablo Hasel ed il voto popolare filo-indipendentista del mese scorso, che consegna al governo socialista di Madrid la difficile gestione di una Comunidad non pacificata e difficilmente cooptabile nei progetti politici “socialisti” filo-UE.
Il voto del Parlamento europeo si inserisce in un clima di accentuata competizione con gli altri attori geo-politici mondiali e di evidente difficoltà nella gestione della “terza ondata” di Covid-19, con le vaccinazioni che vanno ovunque a rilento.
Se emerge una generale instabilità nella sponda Sud ed Orientale del Mediterraneo (aree strategiche per il neo-colonialismo europeo), per le condizioni sociali e gli assetti politici, anche il cuore dell’Unione è caratterizzato dal sedimentarsi delle contraddizioni di difficile governance da parte degli stessi attori politici continentali maggiori.
Come Rete dei Comunisti siamo al fianco del popolo catalano, della sua legittima aspirazione all’auto-determinazione e della sua richiesta per l’amnistia. Condanniamo con forza quest’ennesimo atto liberticida di cui si è macchiato il Parlamento Europeo e le forze politiche che hanno voluto dare un duro colpo a ciò che rimane della civiltà giuridica continentale.
Siamo convinti che solo uscendo dalla gabbia dell’Unione Europea i popoli europei possano trovare la realizzazione del loro anelito di libertà e le classi subalterne realizzare la propria emancipazione.
(11/3/2021)
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