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Oceani interi da conquistare. Intervista con Noi Restiamo

Domenica 11 aprile l’organizzazione giovanile Noi Restiamo ha chiamato un’assemblea nazionale dal titolo: Vento che non smette di soffiare, abbiamo oceani interi da conquistare. Abbiamo fatto qualche domanda ad alcuni militanti.

Noi Restiamo è una realtà nata diversi anni fa, oggi chiamate un’assemblea nazionale esprimendo la volontà di fare un passo in avanti, in un contesto di crisi senza precedenti a livello mondiale, cosa è cambiato da allora?

Noi Restiamo esiste ormai da più di sette anni e molte cose sono cambiate da quando abbiamo deciso di iniziare questo percorso dietro le barricate dell’occupazione abitativa di via Irnerio a Bologna. Una scelta non casuale, da materialisti nel nostro piccolo abbiamo sempre creduto nella necessità di confrontarsi con la concretezza delle contraddizioni, nella necessità di sperimentare per trovare le forme adeguate alla fase storica per incidere nella realtà.

Abbiamo lanciato la parola d’ordine Noi Restiamo in un momento in cui l’ipotesi di riformabilità dell’UE era diffusa, opponendo alla favola della generazione Erasmus l’analisi per cui il fenomeno massiccio di emigrazione giovanile non era una libera scelta individuale ma il frutto della riorganizzazione macroregionale del mercato del lavoro necessaria all’UE per competere a livello internazionale. Siamo nati con l’ambizione di fare la nostra parte per costruire la rottura con il progetto imperialista dell’Unione Europea, avendo come prerogativa indispensabile l’indipendenza politica e ideologica dal mondo della sinistra.

 Abbiamo cercato di costruire un’opzione alternativa anche per superare i limiti che vedevamo nelle strutture di movimento che stavano andando incontro a dinamiche arretrate, insufficienti o incapaci di incidere davvero nella realtà quando non direttamente subalterne al pensiero dominante.. oggi – purtroppo- ci sembra che i timori di allora vengano confermati dalla realtà.

Da allora non ci siamo mai fermati: siamo cresciuti in diverse città, abbiamo ampliato interventi, avviato sperimentazioni, abbiamo cercato di dare il nostro contributo per rafforzare il movimento di classe nel nostro Paese e per portare la nostra solidarietà internazionalista.

Rispetto a sette anni  fa oggi la pandemia ha palesato tutti i limiti di questo modello di sviluppo, le contraddizioni aumentano ma le classi dominanti non solo non hanno l’intenzione ma non sarebbero nemmeno strutturalmente in grado di dare una risposta al malessere sociale economico esistenziale che avanza inesorabilmente, dimostrando così che i loro interessi sono inconciliabili con i nostri.

I dogmi che ci hanno imposto per trent’anni si sgretolano come neve al sole, rivelandosi delle menzogne: il mito dell’Ue portatrice di pace e benessere, il mito della concorrenza, dell’autoimprenditorialità, del libero mercato, il mito dell’autonomia e della privatizzazione.. in due battute la barbarie del capitalismo si è palesata in modo estremamente concreto.

È in questo contesto che si apre la possibilità e la necessità di fare un passo in avanti per costruire l’organizzazione in grado di sfidare il presente, all’altezza della sfida che abbiamo di fronte, consapevoli che il nemico di classe, anche se in crisi,  non starà con le mani in mano ma si sta già riorganizzando per mantenere la propria egemonia.

Tutti i dati indicano che le fasce giovanili sono tra le più colpite da questa crisi, come è cambiata la condizione delle giovani generazioni negli ultimi anni?

Quando siamo nati, nel 2013  era già chiaro come la nostra fosse una generazione nata e cresciuta nella crisi, la prima dopo il secondo dopoguerra a non avere una prospettiva di miglioramento delle proprie condizioni rispetto a quelle dei propri genitori.

Oggi questa situazione si fa sempre più drammatica, la crisi pandemica sta pesando di più sui giovani che, quando non erano disoccupati o si erano trovati costretti a emigrare, vivevano di espedienti o lavoretti senza tutele e che oggi si trovano completamente abbandonati. A dimostrazione delle conseguenze feroci di trent’anni di precarizzazione del mercato del lavoro.

Anche la condizione degli studenti si è aggravata sotto il peso della polarizzazione sempre più crescente della formazione tra istruzione di serie A e di serie B che oggi non fa latro che aumentare e disuguaglianze. Oggi si manifesta quindi l’enorme contraddizione tra le aspettative e le favole con cui ci hanno cresciuto  e la realtà fatta di precarietà e miseria.

Una miseria materiale ed esistenziale che però non si traduce automaticamente in rabbia o conflitto, complice il nichilismo imposto dall’ideologia dominante e l’assenza, soprattutto per i giovanissimi, di esperienze concrete di organizzazione e riscatto.

Prima avete citato la necessità di fare un passo in avanti, potete spiegarvi meglio?

Sempre nell’ottica di interrogarci costantemente su quali siano le sfide storiche che abbiamo di fronte crediamo che oggi la partita si giochi sul livello sistemico.

La  crisi del modo di produzione capitalista è sistemica e sul piano sistemico è necessario rispondere, lo abbiamo ripetuto in più di un’occasione. Se è questa è la sfida, fare un passo in avanti significa saper indicare un’alternativa complessiva che non sia generica ma che espliciti direttamente la prospettiva comunista.

Dopo trent’anni in cui ci hanno raccontato che la storia era finita, che questo era il migliore dei mondi possibili oggi non solo è possibile ma abbiamo il compito storico di dimostrare che si sbagliavano. Non ci sono scorciatoie, sappiamo che non è facile ma dobbiamo provare ad attualizzare tutti i giorni, nell’analisi e nell’internità alle lotte il portato della teoria e della storia comunista senza nostalgie ma con la voglia e la determinazione di andare verso il futuro, costruendo passo dopo passo, l’organizzazione giovanile comunista che serve.

Siamo consapevoli che non basta una dichiarazione d’intenti. Semplicemente sentiamo la responsabilità storica di provare a stare sempre un passo avanti alla realtà e con l’umiltà di chi sa di non essere autosufficiente facciamo appello ancora una volta a tutti quelli, singoli o realtà, che condividono questa esigenza a lavorare insieme fin da ora..

Un’ultima cosa: un concetto che ritorna è quello della militanza come stile di vita. Un concetto completamente in controtendenza con l’ideologia dominante.

In effetti è un concetto in totale contrapposizione all’ideologia dominante che ha fatto di tutto per alimentare la convinzione che per uscire dalla crisi l’unica risposta fosse quella individuale, quella della concorrenza tra di noi come unico strumento  di emancipazione.

Una narrazione che ha fatto di tutto per  smantellare sistematicamente tutti gli strumenti ideologici e concreti per la lotta di classe, proiettando sul singolo la responsabilità del fallimento o dell’inadeguatezza rispetto a questa società, cercando di anestetizzare qualsiasi desiderio di riscatto e screditando qualsiasi possibilità di risposta collettiva. 

Oggi le disuguaglianze di classe si fanno sempre più forti e i margini per l’uscita individuale dalla propria condizione di crisi materiale ed esistenziale  si restringono sempre di più. Noi proponiamo convintamente l’organizzazione come risposta, ma non in senso retorico. La militanza è disciplina, fatica, impegno individuale ma per la costruzione del collettivo.

Ci vogliono isolati e sottomessi, criminalizzano qualsiasi sentimento di rabbia sociale mentre tutti i giorni subiamo  la violenza di questa società: nei ricatti sui posti di lavoro, nella violenza dei rapporti sociali, nella guerra tra poveri,  nella solitudine della disillusione ma possiamo decidere di rispondere e organizzarci, sottraendoci dal campo di passività in cui ci vogliono rinchiudere e diventando protagonisti della nostra vita per organizzare il riscatto della nostra generazione tradita.

Un’ultima riflessione: Sanguineti diceva -bisogna restaurare l’odio di classe. Perché loro ci odiano, dobbiamo ricambiare.- qualun altro parlava di Odio mosso d’amore.. ecco.

Dobbiamo dire chiaramente chi sono Loro e chi siamo Noi, opporre alla frammentazione un senso di appartenenza.  Senza organizzazione siamo una generazione senza prospettive, ma una prospettiva esiste ed è quella dell’orizzonte rivoluzionario. Scegliere di organizzarsi vuol dire dare un senso alla nostra vita e lavorare perchè quell’orizzonte non sia solo una parola o un sogno ma diventi sempre più concreto.

 

Di seguito l’appello ai singoli e alle realtà con cui Noi Restiamo ha lanciato l’assemblea nazionale di domenica 11 aprile: QUI

Per chi volesse approfondire questo invece è il documento che verrà discusso: QUI

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