“La situazione è grave ma non seria” diceva Ennio Flaiano. In questa calda estate il dibattito politico napoletano è stato segnato – spesso con toni apocalittici e, di converso, apertamente grotteschi – dal tema dei trasformisti.
Stiamo parlando, concretamente, della vera e propria transumanza che si sta orientando e collocando verso il Partito Democratico proveniente da ambiti politici e sociali interni e direttamente protagonisti dell’esperienza amministrativa cittadina di Luigi De Magistris.
Assessori, presidenti di Municipalità, consiglieri comunali e circoscrizionali, esponenti di Società Partecipate del Comune, attivisti a vario titolo di DEMA e di altri “contenitori” che sono stati parte importante del governo della città negli ultimi 10 anni – con l’avvicinarsi della scadenza elettorale del prossimo Ottobre – hanno abbandonato l’esperienza arancione rifluendo verso il PD, verso gli uomini di riferimento di De Luca in città, verso la palude del Terzo Settore e, più compiutamente, verso quel blocco di interessi che, fino ad un minuto prima, costituiva il loro principale avversario.
Una conversione veloce e fulminea che suscita – naturalmente – ilarità e commenti piccati e che meriterebbe tranquillamente di essere liquidata con una alzata di spalle.
Occorre, però, soprassedere alla sana istintualità e avviare una riflessione meno impressionistica in grado di promuovere un bilancio proficuo di una situazione che – indipendentemente dal comportamento di questi personaggi e comparse varie – segna la fine di un ciclo politico in città con ricadute materiali anche sui soggetti e le forze che hanno beneficiato di tale condizione strutturale che ha interessato la città partenopea per oltre 10 anni.
Ciò che colpisce di questa autentica deriva culturale e politica è che tale transumanza non riguarda solo “questo o quell’Assessore” il quale – magari illusoriamente – sogna una possibile rielezione a tutti i costi ma è una slavina che sta coinvolgendo anche ambienti che, in questi anni, hanno – comunque – animato vertenze e conflitti in città e che – improvvisamente – scoprono una sorta di realismo della governance gettando alle ortiche qualsiasi ipotesi di alterità culturale e ideale e di possibile funzione di opposizione politica e sociale nella metropoli.
L’anomalia partenopea
Il periodo amministrativo di Luigi De Magistris è stato un ciclo politico che ha visto intrecciarsi partiti, varie consorterie, micro e grandi lobby e singoli personaggi i quali, in relazione alla fase politica e al periodo temporale, sono saliti sul carro di Giggino ed hanno – pro domo loro – cercato di accontentare piccoli interessi, alimentando nicchie di sottopotere e spicchi di parassitismo nei vari gangli dell’Amministrazione. Il tutto delegando, di fatto, al Sindaco la “tenuta amministrativa e l’azione politica a tutto campo” riservandosi, poi, di “smarcarsi” quando la linea di condotta di De Magistris non coincideva con i loro obiettivi immediati. I cambi di casacca, i rimpasti continui, l’aver imbarcato soggetti che a Palazzo San Giacomo stavano con De Magistris ed appena usciti dal Palazzo si genuflettevano a De Luca sono stati la caratteristica costante di questi anni.
Ovviamente fino a quando l’Amministrazione, pur tra scossoni fisiologici, ha tenuto le varie tensioni e spinte centrifughe sono state contenute o “nascoste sotto il tappeto”.
Particolarmente la fase del “sindaco di strada” e il periodo in cui De Magistris ha cercato la connessione con i movimenti di lotta, il sindacalismo conflittuale e le organizzazioni di classe sono stati una felice parentesi che ha – sicuramente – fatto bene all’autorevolezza dell’amministrazione comunale.
Quando poi è apparso evidente che l’accerchiamento dei poteri forti contro l’anomalia/Napoletana stava sfondando – anche grazie all’inanità ed all’inconseguenzialità politica di Luigi De Magistris il quale non è mai stato coerente fino in fondo con le denunce che pure ha lanciato contro la manomissione finanziaria ed economica della città – questi soggetti (individuali e collettivi) hanno iniziato a scappare dalla nave e si sono predisposti alla ricerca di collocazioni più remunerative e sicure.
A tale proposito avevamo già lanciato un esplicito campanello di allarme già nel marzo scorso in merito ai problemi della città e alla urgente necessità di un deciso cambio di passo politico e programmatico in una congiuntura economica e sociale tutt’altro che favorevole. (https://contropiano.org/news/politica-news/2021/03/30/napoli-problemi-della-citta-e-necessita-di-una-rinascita-0137630)
Il resto è cronaca di questi mesi e settimane: la maggioranza amministrativa e lo stesso “partito” di DEMA si sono sfaldati mentre le condizioni sociali della città visibilmente peggiorano sotto il peso della crisi pandemica, del taglio delle rimesse nazionale verso gli Enti Locali e dei dispositivi di strozzinaggio del Debito Pubblico che incombe su Napoli e su varie città.
Stiamo assistendo ad uno scomposto distillato di vergognose fughe, di “dimissioni irrevocabili”, di “ripensamenti autocritici” e prendiamo atto del diffondersi di una sorta di nuova epidemia virale: un irrefrenabile desiderio di “campi larghi e senza distinzioni ideologiche” che contagia anche “soggetti antagonisti e ribelli”.
Insomma una situazione vergognosa e la prima cosa che viene in mente è la famosa citazione del buon Ennio Flaiano!
Il tutto mentre i ricatti strangolatori e scopertamente antidemocratici di Vincenzo De Luca verso la città sono sempre più incalzanti e mentre il PD (in tutte le sue componenti) ha lanciato una vera e propria campagna acquisti nei confronti di gran parte del ceto politico arancione il quale ha dismesso in fretta la bandana, ha abbandonato lo stucchevole culto della personalità verso De Magistris e la ridicola retorica sulla “Città Ribelle” accorrendo, a gambe levate, (a dire il vero con l’abituale spocchia e la stupida supponenza di sempre) verso questo nuovo approdo.
C’è, sicuramente, da sottolineare che le giravolte politiche di questi anni operate da Luigi De Magistris – sulla scorta di una sostanziale incoerenza tra quanto correttamente denunciato e poi non coerentemente declinato sul versante dei necessari sbocchi politici – hanno favorito ambiguità e unità indistinte fondate sul nulla o su compromessi particolaristici e temporanei destinati ad implodere in brevissimo tempo.
La stessa fondazione del Movimento DEMA – al di là dei facili entusiasmi dettati dal momento favorevole in cui avveniva tale nascita – non ha sciolto quegli snodi teorici e politici che competano ad un soggetto organizzato che aspirava ad una azione politica a tutto campo ben oltre la città di Napoli.
Troppi gli equivoci programmatici, troppo evanescenti i riferimenti culturali e – al di là delle roboanti espressioni che, a volte, venivano esternate da De Magistris – poca chiarezza circa l’indispensabile rottura con quel mondo e qui codici politici legati, a vario titolo, al Partito Democratico il quale è la matrice del disastro politico che ha investito i settori popolari particolarmente nelle città del Meridione d’Italia.
E’ evidente – quindi – che nel momento in cui occorreva passare dalle parole ai fatti entrando, necessariamente, in rotta di collisione con gli interessi – le nuove Mani sulla Città – di Confindustria, dell’Autorità Portuale, dei gruppi economici finanziari del Nord, del Ras di Palazzo Santa Lucia e con i puntuali diktat del governo nazionale il Movimento DEMA (fatto salvo alcuni pochi stimati compagni ed attivisti) è esploso rovinosamente favorendo l’azione di sussunzione e di cooptazione del Partito Democratico la quale ha avuto gioco facile in questo humus politico e sociale oramai privo di identità, di vera autonomia e, sostanzialmente, allo sbando.
L’evaporazione di DEMA segnala – a quanti non intendono abdicare ad una funzione di opposizione politica, sociale e ad una alternativa popolare – la permanenza di quell’autentico rompicapo teorico che attiene al tema/questione della possibile Rappresentanza Politica degli interessi dei settori popolari della società. Un problema che si pone a Napoli come altrove e che – anche all’indomani sia della “catastrofe della Sinistra e sia dell’autentico “tradimento dei 5 Stelle” – occorre affrontare evitando scorciatoie politiciste e avventure politiche oramai non più rieditabili.
Non è questa la sede per una discussione seria ed articolata su questo passaggio politico (di metodo e di sostanza) ma qualcosa può essere abbozzata e potrebbe tornare utile anche nell’imminente scadenza elettorale amministrativa del prossimo Ottobre.
Investiamo su Potere al Popolo
Pur con gli oggettivi limiti – ascrivibili ad una formazione politico/sociale ancora in via di costruzione e di definizione programmatica – l’intrapresa collettiva di Potere al Popolo è un fattore politico/pratico di controtendenza materiale a questa maionese impazzita che sta montando attorno al crepuscolo di DEMA.
L’autonomia e l’indipendenza politica – pur senza rifiutare convergenze programmatiche con quanti non intendono arrendersi al PD – sono i coefficienti a disposizione per ricostruire una riqualificata forma di protagonismo popolare che non deleghi la Rappresentanza dei suoi interessi a nessuno. Tanto meno a quanti – a vario titolo a Napoli come altrove – hanno alimentato la fuorviante logica del meno peggio e/o della riduzione del danno con esiti rovinosi riscontrabili da chiunque sia intellettualmente onesto.
Investire – quindi – su Potere al Popolo è un cimento che si proietta anche dopo questo, complicato, passaggio elettorale amministrativo il quale si pone compiti ambiziosi ma necessari in questo difficile scorcio della contemporaneità capitalistica.
Certo i risultati delle elezioni a Napoli non saranno un dettaglio indifferente. Comprendiamo l’importanza politica della metropoli partenopea e conosciamo la voracità di quanti vorrebbero realizzare un nuovo sacco della città.
In tal senso Potere al Popolo è presente con una propria lista alle elezioni del Consiglio Comunale con il compagno Gianpiero Laurenzano capolista e sarà in campo nelle varie Municipalità.
Lo stesso sostegno alla candidata Sindaco, Alessandra Clemente – maturato nella comunità di Potere al Popolo dopo un serrato e leale confronto interno ma pubblico – è avvenuto quando la Clemente ha deciso di sottrarsi dalle sirene ingannevoli del PD scegliendo di competere in autonomia dal Centro/destra (Maresca) e dal carrozzone PD/5 Stelle/ex Forza Italia e cosiddetta Sinistra (Manfredi).
Insomma una sfida vera, dagli esiti incerti ma un invito – in questo Carosello Napoletano – a rafforzare Potere al Popolo per l’oggi e – soprattutto – per il domani!
*membro del Coordinamento Nazionale e candidato di Potere al Popolo a Napoli
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Antonello
Mi sembra un articolo ben fatto che espone in maniera non reticente uno dei problemi principali del “milieu politico” napoletano (e, ahimé, non solo), anche quello di “sinistra” (peraltro un sostantivo che occorrerebbe cominciare a mettere in discussione). Il trasformismo, la capacità camaleontica di riciclarsi di un vero e proprio ceto politico, che, ancorché non disponga del potere di quelli “tradizionali”, può comunque arrecare danno a un progetto che intenda costruire “potere popolare”. Chi scrive non ha mai risparmiato critiche alle due consiliature di De Magistris, in particolare la seconda. Con luci (poche) e ombre (più numerose), uno dei maggiori problemi è non aver tagliato corto con una cultura compatibile con il business as usual della politica politicante, in cui uno scranno in una qualsiasi istituzione è visto non come uno strumento tra gli altri per costruire l’ipotesi di cui sopra, e, a maggior ragione oggi come oggi, nemmeno il principale, ma l’alfa e l’omega dell’attività politica, l’obiettivo a cui tutto si può sacrificare, persino la dignità. Non mi sembra imprevisto che questo fenomeno si sia riprodotto anche in occasione di questa tornata elettorale amministrativa, sebbene la sua entità clamorosa non possa che destare sconcerto. Insomma costruire una cultura politica strettamente legata all’obiettivo, e non al navigare a vista quotidiano (che non può che portare all’integrazione nel quadro politico mainstream) resta una priorità essenziale per un’ipotesi di potere popolare, e mi sembra che l’articolo lo metta bene in evidenza