Sono stati autorizzati 21 miliardi del Nge per finanziare il Pnrr. È la seconda rata.
Potrebbe essere l’ultima non decurtata da sanzioni: von der Leyen lo ha detto chiaro. Qualcuno pensa non avrebbe dovuto dirlo.
Resta però il fatto che questa è la realtà: il paese che ha ricevuto lo stanziamento più alto previsto dal Recovery Fund, invece che concentrarsi sul modo migliore per investire le risorse, si è messo a giocare con una artificiosa crisi di governo per tuffarsi poi in una campagna elettorale parossistica.
È chiaro perché.
Perché fare propaganda è più facile che mantenere gli impegni presi in sede europea; perché mettere le mani seriamente sulle inefficienze strutturali significherebbe scovare e tagliate i privilegi a piccole e grandi oligarchie, alle corporazioni di vario taglio e alle rispettive camarille, che poi sono quelle che forniscono il consenso elettorale.
Ora siamo costretti da un sistema politico che ha saputo dare il peggio di sé e della sua classe dirigente a votare per lo stesso sistema che ha provocato la crisi politica.
La paccottiglia delle promesse elettorali è grottesca nella sua insulsaggine, è talmente fuori dalla realtà che appare lampante la ‘captatio benevolentiae‘ verso i peggiori istinti reazionari: la richiesta dei pieni poteri è la rappresentazione plastica della crisi irreversibile della democrazia italiana.
È una rappresentazione macabra, nella quale si muovono personaggi che hanno spinto il proprio ego ebbro oltre i limiti della realtà sociale, economica, e dunque politica.
Siamo un paese che, dalla bassa crescita pre-pandemica è passato alla catastrofe del Coronavirus, per poi trovarsi in guerra e annaspare nella crisi energetica, mentre imperterrita la crisi ambientale martella il territorio.
Il Covid ha portato il PIL a -9% circa, la ripresa è stata più o meno del 6,5 nel 2021, ben lontana dal pieno recupero. Quest’anno, poi, l’inflazione all’8% e più ha spazzato via illusioni di risalita, e l’aumento del costo del denaro, combinato col costo dell’energia sta facendo strage di propensione alla spesa delle famiglie.
Siamo un paese che, passando da una crisi all’altra, ha perso i pezzi: salari, diritti costituzionali, Stato sociale sono come rottami abbandonati dai partiti in ritirata dalla realtà del paese.
Non andremo a votare per migliorare, ma per non peggiorare. Come se l’esercizio del diritto di voto fosse un antibiotico col quale speriamo l’infezione non dilaghi.
Una cosa però deve essere chiara, perché di importanza vitale: così come sono stili di vita sbagliati che generano le malattie, il voto può essere un farmaco che tampona la malattia, non guarisce del tutto, non elimina il male. Tutt’al più lo può tenere sotto controllo, fino al prossimo attacco.
Per restituire salute democratica, prospettive di prosperità, bisogna cambiare modo di vivere la politica: fare più movimento, riattivare la circolazione delle idee, recuperare le forze sociali di chi lavora, studia, e sopravvive alle angherie del precariato, delle discriminazioni di genere, di razza, di scelte sessuali, dei nuovi schiavi dello sfruttamento capitalistico.
Gli esclusi dai programmi elettorali, i non rappresentati nelle liste sono la maggioranza del paese, sanno che queste elezioni non risolveranno i loro problemi, non daranno risposte ai loro bisogni.
Per cambiare la qualità della vita, del lavoro, delle relazioni sociali bisogna lottare, studiare, organizzarsi. Nessuno lo farà al loro posto, neppure dandogli un voto.
Mentre i partiti hanno altro a cui pensare, dobbiamo pensare a un altro modo di intendere la democrazia e di fare politica.
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