Com’è noto, e come riferito anche dal nostro giornale, in Iran è in atto, ormai da settimane, una rivolta contro l’ultra quaranrennale regime degli Ayatollah.
Una rivolta iniziata con le proteste del mondo femminile, a seguito dell’uccisione di Mahsa Amini, la ventiduenne curda morta successivamente all’arresto da parte della polizia morale, perché colpevole di non indossare il velo in modo corretto.
Soprattutto, una protesta che si sta ampliando sempre di più, fino a coinvolgere larghi settori della cittadinanza e della società.
Questa volta, infatti, in piazza non c’è più solo l’élite borghese iraniana ma anche una consistente parte dei ceti popolari, insofferente alle logiche repressive e totalitarie del sistema, nonché colpiti dalla crescente crisi inflattiva post pandemia.
E come prevedibile, nell’ ìOccidente demo-liberale la drammatica fase che attraversa la società iraniana sta suscitando l’attenzione dei media e delle organizzazioni politiche della più diversa provenienza culturale.
Dalla sinistra dem a quella radicale, dalla socialdemocrazia ai comunisti ortodossi, dai progressisti ai reazionari, dalle forze liberal-liberiste a quelle moderate, dai “sovranisti” alle formazioni post-ideologiche, giù giù in fondo, fino ai fascisti, il dibattito infervora e spacca l’opinione pubblica.
Soprattutto, in merito ad un coinvolgimento o meno, nelle proteste, di Usa e Israele.
Due potenze cui la presenza nell’area di un Iran forte, e non allineato agli interessi imperialisti, ha sempre creato non pochi problemi.
Come sempre, quindi, si finisce per dividersi. Per litigare. Per contrapporsi e non raramente insultarsi sui social. Anche tra compagni e compagne.
Vuoi perché il contesto storico e geopolitico non è dei più semplici. Vuoi perché la specificità di questa rivolta, declinata al femminile, dà luogo a diverse contraddizioni e ambiguità. Vuoi perché il fantasma di una nuova “Rivoluzione Arancione” o di una riedizione delle “Primavere Arabe”, in salsa persiana, è dietro l’angolo.
Soprattutto, considerando le antiche mire statunitensi e occidentali su un paese il cui ‘900 ha attraversato snodi epocali travagliati e spesso tragici.
Prima dominato dallo shah Reza Palavi, sotto l’antica ala protettrice britannica. Poi, per breve tempo governato dal presidente progressista – al tempo vicino all’Unione Sovietica – Mohammad Mossadeq. Il quale nazionalizzò l’industria petrolifera, con grande disappunto britannico e statunitense.
Disappunto che sfociò nella destituzione dello stesso Mossadeq, a seguito di un colpo di stato organizzato da MI6 britannica e Cia (Operazione Ajax) per reinsediare lo Shah.
Shah che, alcuni anni dopo, venne però definitivamente sovvertito in seguito alla rivoluzione del 1979.
Un’insurrezione che vide, in un primo momento, l’alleanza tra Ayatollah e Fedayn, un gruppo guerrigliero di matrice marxista. Per trovare poi in Ruhollah Khomeyni – acclamato capo supremo dell’Iran sciita – negli Ayatollah e nei Pasdaran le sue definitive guide ideologiche e militari.
Il che, ovviamente, mise una pietra tombale sulle aspirazioni progressiste e di libertà dell’Iran. Avendo rivelato il regime, sin dagli albori, il volto più oscuro della teocrazia. Un volto che domina, controlla e reprime ancor oggi. Come i fatti in parola stanno a dimostrarci.
Orbene, a causa delle tante ragioni qui esposte, è necessario essere molto chiari. E sono perciò ineludibili alcune premesse, per non rischiare ambiguità che non s’intendono avallare.
Pertanto, premesso che i regimi teocratici, come ogni sistema totalitario e repressivo, sono da condannare e sovvertire.
Premesso che il governo iraniano degli Ayatollah è sostanzialmente fondato sul terrore e la violazione dei più elementari diritti.
Stabilito che l’islamismo radicale, incentrato su un’interpretazione ottusa e dogmatica della sharia, contiene in sé i germi di una misoginia violenta e criminale.
Considerato, altresì, che il patriarcato è sempre, a qualunque latitudine e nella cornice di qualunque sistema di valori – sia pur demo-liberale o para-“socialista” – una cultura criminogena da annientare.
Riaffermato il sacrosanto diritto di ciascuna donna, sia essa islamica, cattolica, induista, buddista, protestante, pagana, comunista, atea, di combattere la suddetta cultura e di liberarsene.
Riconosciuto, pertanto, che ancor di più ce l’hanno, quel diritto, le donne iraniane, vittime da decenni dell’oscurantismo sciita, della legge coranica, del chador, della polizia morale, della sadica perversione di una banda di monaci sessuofobi al potere (celebre l’affermazione di Khomeyni: «Ogni volta che in un autobus un corpo di femmina struscia contro un corpo di maschio, una scossa fa vacillare l’edificio della nostra rivoluzione»).
Accertato che le donne iraniane, sotto gli Ayatollah, sono state e sono vittime di violenze, repressione, stupri, disparità sociale, giuridica ed economica.
Definita e sottolineata la nostra solidarietà incondizionata alle donne iraniane stesse, che stanno lottando contro questi preti infami e contro una cultura patriarcale secolarizzata, che certo non fa onore ad una culla della civiltà quale fu la Persia.
Deplorati i “marxisti per gli ayatollah”, personaggi tragicomici nel proprio tatticismo geopoliticista, che malcela, in vero, il loro sostanziale e virulento maschilismo. E perciò stesso dichiarato che andrebbero presi a calci in culo.
Premesso tutto ciò….
Se dietro le proteste, come appare ormai evidente, si fa luce l’ombra lunga, criminale e guerrafondaia degli Usa e di Israele, beh il nostro personale sostegno necessita di qualche doveroso distinguo.
E non perché si ritenga meno disumano il regime. Non perché il sacrificio delle donne sia meno degno di solidarietà. Meno straziante e commovente.
Assolutamente no!
Semplicemente vediamo anche che, ancora una volta, gli Amerikani stanno fomentando, programmaticamente e pragmaticamente, una rivolta popolare al solo scopo di arrivare all’ennesimo regime change.
Mandando per questo a morire, fottendosene del tributo di sangue versato, centinaia di persone, soprattutto donne.
Per i loro luridi interessi predatori. Come in Afghanistan, né più né meno.
In fin dei conti, è dai tempi dell’amministrazione Bush e della cosiddetta dottrina Cheney, che gli Stati Uniti hanno puntato i cannoni sull’Iran. Che, per i suoi giacimenti petroliferi, veniva definito, proprio dal Vice, “Il giacimento madre”.
Sono trent’ anni che gli Usa ci intrattengono con la storiella della “libertà”, dei “diritti umani” e altri temi certamente di grande rilevanza ma adoperati solo come ignobili alibi per le loro sporche guerre.
Guerre che poi violano, sistematicamente, quegli stessi diritti dei quali gli yankees pretenderebbero farsi paladini. Massacrando comodamente, viceversa, di volta in volta e di scenario in scenario, individui e diritti, senza che la “comunità internazionale”, e soprattutto l’Occidente, battano un colpo.
Occidente che, è inutile girarci intorno, si fonda anch’esso su un sistema valoriale – capitalista e liberista– intriso di Patriarcato.
Varrebbe la pena ricordare, ad esempio, che nella nostra fantastica Italia, solo ieri l’altro (1975) venivano stuprate, al Circeo, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez.
Quest’ultima, trovando addirittura la morte per mano di tre bestie neofasciste.
Nell’aula di tribunale, però, si cercò di processare moralmente le due ragazze, sostenendo la tesi che fossero di “facili costumi”.
Non certo i tre assassini stupratori neofascisti. Ovverosia: Ghira, Izzo e Guida!
E ancora, soltanto ieri (1981) veniva cancellata, dal codice penale, la vergogna del delitto d’onore. Roba a dir poco arcaica.
La situazione, sul terreno delle violenze di genere, non è però così tanto migliorata da allora. E il numero crescente di femminicidi sta lì a dimostrarlo.
Insomma, come sempre, l’Occidente “giudaico-cristiano”, americano od europeo che sia, dalle brune venature fascistoidi o anche ipocritamente socialdemocratico, preda della fallocrazia finanziaria e multinazionale, arroccato sulla propria irritante arroganza, non ha molto da insegnare alle altrui culture. Ma si arroga il diritto di farlo!
In conclusione, come diceva Che Guevara: «I liberatori non esistono. Sono solo i popoli che si liberano da sé».
A maggior ragione, se la questione riguarda la lotta del movimento femminile per la liberazione dalle catene del patriarcato.
Un principio che sembra però sfuggire anche a molti esponenti della compagneria italica, che tendono, in questo caso specialmente, a giustificare l’intervento statunitense, proprio perché il principale terreno di scontro sono i diritti delle donne.
Un atteggiamento da Cavalieri di Colombo, che finisce con l’alludere ad un’incapacità del femminismo iraniano di organizzarsi e compiere, in piena autonomia, una rivoluzione sociale e culturale.
Un modo, in definitiva, di combattete il patriarcato sulla base, per l’appunto, di una visione patriarcale.
Si sta ragionando un po’ per paradossi, ovviamente. Ma non siamo così lontani dalla verità.
Pertanto, gli Stati Uniti stiano fuori dalle questioni iraniane.
L’Occidente non si intrometta, ancora una volta, per esportare principi “democratici“ che neanche nelle sue rispettive patrie riesce ad osservare.
Abbiamo, di fatto, la certezza che dietro la rivolta in Iran ci sia anche la longa manus della Cia e del Mossad.
Un dubbio che si era fatto strada sin dalle prime proteste di piazza, anche per l’atteggiamento dei nostri media, sempre pronti a solidarizzare con le rivolte altrui e a chiedere la feroce repressione di quelle casalinghe.
Vuoi perché conosciamo bene le strategie Usa; vuoi perché una delle “leader” del movimento, Masih Alinejad, si era fatta ritrarre in foto con l’ex Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo.
L’ennesima eterodirezione nordamericana, quindi, che dovrebbe a loro avviso concludersi con l’instaurazione di un regime fantoccio, utile agli interessi petroliferi statunitensi e alla perpetua destabilizzazione degli equilibrii geostrategici nell’area, a tutto vantaggio di Israele.
In poche parole, l’ennesima, intollerabile ingerenza imperialista, a fini predatori e di saccheggio.
Un ‘ingerenza, cui bisogna dire basta. Gli Usa hanno veramente colmato la misura!
Le donne iraniane hanno tollerato violenze decennali. Anzi secolari. Ma la forza di reagire, in alleanza con i propri uomini e con altre componenti della società, non gli manca.
Non hanno bisogno di un viscido gendarme che poi, immancabilmente, continuerà a tenerle sotto ricatto, a mercificarne il corpo e semmai a stuprarle.
Via gli Stati Uniti dall’Iran. Via gli Stati Uniti dal mondo. Via l’imperialismo sionista dall’area.
Sosteniamo l’autodeterminazione dei popoli. Sosteniamo l’autodeterminazione della donna!
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ANNA
Completamente d’accordo. Ho visto troppe “rivoluzioni colorate” per non sentirne la puzza. L’atteggiamento dei nostri media e’ una ulteriore conferma.
Mansoor
Quanto successo in Iran a questa ragazza è un palese odioso abuso spacciato falsamente da precetti religiosi, da musulmano e da essere umano non posso che essere fiero di queste donne e ragazze che non sono una minaccia per l’Islam, ma una Speranza, e devono fare la loro rivoluzione senza becere interferenze che sappiamo