I fatti accaduti nelle ultime settimane nello stato occupante di Israele rappresentano le contraddizioni socio–politiche, all’interno di questa entità, tra sionismo laico e gruppi sionisti estremisti religiosi, di stampo fascista.
È vero che le manifestazioni hanno scosso violentemente il governo, in particolare Netanyahu che sta cercando con tutte le sue forze di sovvertire il sistema giudiziario e di ridimensionarlo a favore della Knesset. Il Parlamento deve emanare nuove leggi compatibili con i valori dell’estrema destra e della destra fascista che è diventata la pietra angolare del suo governo dopo le elezioni svoltesi nel novembre 2022.
In queste elezioni, dei 120 seggi della Knesset il blocco della destra ne ha conquistati 64, di cui 38 rappresentano l’estrema destra religiosa sionista e le correnti religiose ultraortodosse, per di più 14 di questi deputati vivono nelle colonie illegali nella Cisgiordania occupata.
In Israele, dopo 12 settimane di manifestazioni di protesta, il 27 marzo c’è stata l’importante svolta dei “sindacati – Histadrut” che si sono uniti agli uomini d’affari, unificando le forze in un unico movimento noto come “Movimento di resistenza alla dittatura”, insieme all’opposizione politica ufficiale guidata da Lapid-Gantz.
Proteste, manifestazioni e scioperi hanno raggiunto la fase della totale disobbedienza e anche le élite dell’esercito, dell’aeronautica e della marina ne sono state colpite. Gli scioperi si sono estesi alle strutture pubbliche, compresi l’aviazione civile e gli aeroporti. Il sindacato Histadrut ha deciso di unirsi allo sciopero.
Le manifestazioni hanno raggiunto la casa di Netanyahu, la Knesset e le strade principali sono state chiuse, il che ha portato lo stato occupante sull’orlo della guerra civile tra il campo laico occidentale e il campo religioso orientale.
La grande pressione popolare, la più grande nella storia dello stato occupante, ha fatto tremare Netanyahu che, di fronte a questi sviluppi imprevisti, è stato costretto di annunciare la sua decisione di sospendere temporaneamente tale riforma giudiziaria sulla quale aveva formato la sua coalizione di governo.
Questa sospensione non è altro che un tentativo di guadagnare tempo, all’interno di una manovra negoziale proposta dal capo dello Stato Herzog, che equivale a un tentativo di indebolire l’intensità della protesta del movimento globale e di estenuare i leader dell’opposizione ufficiale; un tentativo che a suo avviso può rompere l’unità dell’opposizione, sfruttando l’ambizione di Gantz che i sondaggi hanno cominciato a indicare come il favorito e che potrebbe essere un’ “esca speciale” per seminare discordia tra i componenti dell’opposizione, una divisione in una veste nuova.
Al di là della retromarcia temporanea di Netanyahu, il fatto più importante di queste ultime settimane ha messo in luce la differenza tra la tradizionale opposizione e il movimento della strada che si è definito come “forza di resistenza alla dittatura” e che rifiuta in linea di principio di fermare il movimento di rabbia e il movimento sul campo, intenzionato non solo a sospendere la riforma giudiziaria, ma a bloccarla completamente per andare verso la stesura di una “nuova Costituzione!” che preveda la separazione tra Stato e religione.
La manovra politica di Netanyahu è accompagnata da tratti che rivelano che il fascismo non è più un fatto marginale, ma si è approfondito fino a diventare parte della cultura e del pensiero delle forze organizzate all’interno del governo, tendenti a costituire un proprio strumento armato. Si pensi a come il terrorista Ben Gvir, capo della “forza ebraica” e ministro per la sicurezza nazionale, sia riuscito ad ottenere l’autorizzazione a formare una propria “Guardia Nazionale”.
Il nome della formazione è una dichiarazione ufficiale della nascita legale di una forza fascista-terroristica, che non sarà sotto controllo delle forze di sicurezza come polizia, esercito e altri apparati di sicurezza. L’approvazione della formazione della Guardia Nazionale non è solo un premio consolatorio, come potrebbe sembrare, per Ben Gvir e il suo gruppo politico per il rinvio della riforma giudiziaria, ma è un passo funzionale che avrà risvolti inquietanti, come forza speciale nelle mani della coalizione destra. Soprattutto
In vista dell’escalation della tensione politico-sociale nello stato occupante, i cui primi lineamenti sono iniziati come testimoniato dalle manifestazioni all’alba di martedì 28 marzo a Gerusalemme e Tel Aviv, in seguito ai barbari attacchi compiuti dai sostenitori della Guardia Nazionale, manifestazioni che non sfuggono all’attenzione internazionale e lasciano un segno indelebile nella storia dello stato occupante, perché sono le prime scintille di una divisione profonda e verticale che non si dissolve con una dichiarazione “conciliante” o attraverso trattative in corso attorno a un “tavolo di esplosivi”.
Le contraddizioni profonde e la tensione politico-sociale, all’interno dello stato razzista, stanno crescendo rapidamente e stanno diventando sempre più profonde fino a diventare una peculiarità che non si ferma davanti alle parole e alle promesse ambigue.
Con il lancio dell’incontro “Herzog House” per contenere la crisi del grande scontro, la sera del 28 marzo 2023 il presidente americano è uscito allo scoperto, forse per la prima volta dopo anni, per annunciare il suo rifiuto del percorso del governo Netanyahu, e lo ha detto senza fronzoli, “che Israele non può continuare su questa strada, che è preoccupato per Israele e non inviterà Netanyahu alla Casa Bianca”. Poche precise parole, senza mezzi termini e rivolte direttamente al capo del governo.
In altre parole, Biden afferma che questo governo è diventato una “minaccia per Israele”, il che lascia intendere deve mettersi da parte. Pertanto, la risposta di Netanyahu è arrivata immediatamente: “Israele è un paese indipendente e non riceve ordini dall’estero”. A cui si sono aggiunte, con toni concordi, le varie risposte di altri esponenti del governo in particolare di Ben Gvir e Smotrich, oltre al figlio del premier.
Tuttavia, non si può ignorare che la maggioranza degli ebrei del Partito Democratico statunitense chiede con forza di fare pressione sul governo Netanyahu per fermare un corso che considerano il più pericoloso per lo stato di Israele dal 1948.
Infatti stanno ribadendo i loro timori di una “guerra civile”, in particolare dopo che, a seguito di una contrattazione a buon mercato tra Ben Gvir e Netanyahu, quest’ultimo ha dato l’autorizzazione di formare una forza, la Guardia Nazionale terroristica, che ha spinto molti ebrei del Partito Democratico, oltre a importanti giornali e giornalisti di alto livello, compreso Thomas Friedman, a chiedere pubblicamente all’amministrazione americana di intervenire. Inoltre è da sottolineare il disagio dentro il partito Likud del capo del governo, dopo che questi ha licenziato il ministro della difesa Yoav Gallant del suo stesso partito, perché ha chiesto pubblicamente di fermare la riforma.
Il ministro della Difesa gode di molti consensi dentro il Likud e potrebbe guidare una scissione nel partito, e non è da escludere il sostegno americano anche per la sua reintegrazione nel governo. Sarà per questo che, a seguito di un ripensamento del premier, il ministro della difesa Yoav Gallant resta per ora al suo posto, “considerate le attuali tensioni di sicurezza”.
È interessante notare che il rifiuto del cosiddetto piano di riforma giudiziaria è venuto dagli ebrei occidentali al fine di preservare i loro interessi, in quanto sono i fondatori dello stato e sono stati loro a gettarne le basi, in particolare della magistratura e dell’esercito, con la conseguente formazione di élite con specifici interessi.
Da non sottovalutare, inoltre, che Netanyahu voleva realizzare un colpo di stato proprio contro la magistratura, assoggettandola proprio con la riforma giudiziaria al parlamento, provando così a controllarla per salvarsi dalla possibilità di essere incarcerato a causa dei fascicoli di corruzione che ha in sospeso con la giustizia. In più, i suoi interessi privati collimano con gli orientamenti dei partiti sionisti religiosi che vogliono rovesciare le fondamenta dello Stato laico a favore dello Stato di diritto religioso biblico.
Accettando di rinviare, Netanyahu ha voluto raggiungere molti obiettivi, in particolare spegnere la miccia nelle esplosive strade israeliane e dimostrare di essere l’uomo del consenso nazionale sionista: attraverso il dialogo interno vuole dimostrare di essere l’unica via di mezzo tra Ben Gvir e Smotrich da una parte, e Lapid e Gantz dall’altra, dove verrà sfruttato e ricattato dalle due parte, costretto a dialogare per guadagnare tempo e manovrare per smantellare il fronte dei partiti di opposizione e cooptarne alcuni.
Vuole anche apparire davanti all’opinione pubblica mondiale, specialmente davanti all’amministrazione americana, come l’uomo dell’unità nazionale; come l’unico capace di porre fine alle tensioni interne e preservare la continuità e la forza di Israele; insomma vuole dimostrare agli Stati Uniti che possono fare affidamento su di lui.
Netanyahu ha placato Ben Gvir, il capo del Partito Sionista Religioso, approvando la formazione di una Guardia Nazionale, una milizia che obbedisce agli ordini di Ben Gvir nel tentativo di preservare la coalizione al potere e a spese del popolo palestinese che vive in Israele, e non solo.
Roni Ben Yishai, l’esperto israeliano ha scritto sulla riforma giudiziaria in Israele, che include anche l’annessione delle terre palestinesi dal fiume al mare, senza dare la cittadinanza ai palestinesi che vivono in Cisgiordania. Esiste, inoltre, un piano elaborato cinque anni fa da Smotrich, Ministro delle Finanze israeliano, che indica la conversione dello stato di Israele in uno stato di apartheid, e che contiene molti dettagli su un nuovo sistema giudiziario.
Le conseguenze per i palestinesi
Ecco cosa hanno preparato per i palestinesi e come pensano al loro destino! Hanno posto tre opzioni.
La prima: rimanere in Cisgiordania sotto il dominio israeliano, in enclave come Hebron, Betlemme, Ramallah, Nablus e Jenin, in modo che i palestinesi non siano cittadini israeliani, ma abbiano i permessi di soggiorno (come nel caso dei gerosolimitani), a condizione che non resistano all’occupazione.
La seconda: coloro che rifiutano di vivere sotto la sovranità israeliana vengono volontariamente emigrati all’estero, e Israele incoraggia questa opzione, fornendo sovvenzioni finanziarie.
La terza: secondo il piano di Smotrich, chi rifiuta le due opzioni precedenti dovrà affrontare l’uccisione per mano dell’esercito, o l’esercito dovrà decidere l’uccisione di coloro che devono essere uccisi (uccisioni mirati) oltre alla requisizione delle armi e porre fine di tutte le manifestazioni di rifiuto.
In breve, questo è ciò che si sta preparando per i palestinesi, concordato dalla coalizione del governo di Netanyahu, nonostante si manifesti ogni giorno per strada da quando questo governo è salito al potere.
Penso che l’astuto Netanyahu giocherà con i suoi alleati come il gatto con il topo: ha rimandato la sua “rivoluzione giudiziaria” per un po’, ma tornerà a presentarla di nuovo, e se non sarà in grado di farlo, avrà solo un’altra probabile opzione, scatenare una guerra nella regione contro il Libano o l’Iran, per ricompattare il fronte interno, specialmente dopo il suo completo fallimento nella normalizzazione con alcuni regimi arabi per stabilire un’alleanza anti-iraniana.
Un fallimento dimostrato con l’accordo tra l’Arabia Saudita e l’Iran con la mediazione cinese, ciò ha costituito un colpo fatale al suo progetto, sostenuto dagli americani, di mantenere la regione in stato di continua instabilità.
L’accordo patrocinato dalla Cina, ha mostrato che la Cina è una potenza internazionale affidabile e deve essere rispettata. Forse, stiamo assistendo alla nascita di un nuovo ordine mondiale, in cui gli Usa non avranno più il dominio assoluto.
Va da sé che la democrazia all’interno della società sionista esclude il popolo palestinese, dal momento che le due parti rivali ritrovano l’unità nel negare i diritti legittimi e inalienabili del popolo palestinese, il primo tra i quali il diritto all’autodeterminazione, e persistono nell’attuare il progetto razzista e coloniale di insediamento a scapito dei palestinesi. Potrebbe essere questa la risposta alla domanda perché i palestinesi non partecipano insieme alla cittadinanza israeliana alla protesa contro la riforma?
Visto che in mesi di manifestazioni, non abbiamo sentito una sola parola d’ordine che riguarda i palestinesi, o un possibile processo di pace che possa porre fine all’occupazione! Infine, malgrado i mesi di protesta all’interno di Israele, l’esercito di occupazione non ha mai cessato le sue repressione, uccisioni e incursione nelle città palestinesi: nei prime tre mesi di questo anno, i martiri palestinesi hanno superato i cento, tanti uccisi a sangue freddo; ma la resistenza dei giovani palestinesi continua a Jenin, Nablus, Huwara al Khalil e in ogni villaggio palestinese. Finché continua l’occupazione, continuerà la Resistenza con ogni mezzo fino alla vittoria!
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