Volendo proporre alcune riflessioni sulla grande manifestazione contro il riarmo svoltasi su iniziativa del M5S sabato 5 aprile, credo sia opportuno partire dalle due questioni correttamente poste in più occasioni, prima e dopo la manifestazione proprio su Contropiano, dal compagno Sergio Cararo.
Sulla prima questione, significato e valore della manifestazione, poco da aggiungere a quanto evidente a tutti: prima grande manifestazione di popolo, in cui per la prima volta dopo tre anni il rifiuto della guerra e delle spese militari, larghissimamente maggioritario nel paese, si è espresso in modo veramente significativo, tanto per i numeri che per la nettezza dei contenuti; una sberla al mainstream politico e comunicativo.
Aggiungo un rilievo interessante, riportato proprio da Cararo, il dato generazionale, con la presenza di quella generazione di trenta-quarantenni, che della sinistra novecentesca hanno conosciuto solo i cascami e che nel M5S hanno visto una opportunità; la stessa generazione che dell’Europa non ha conosciuto gli ideali e i valori successivi alla II Guerra Mondiale, ma il rigore, le imposizioni, i sacrifici e le ipocrisie di questi ultimi decenni.
Quindi una piazza importante, espressione di una realtà socialmente, politicamente e culturalmente composita, che forse nel nuovo quadro di questa Europa guerrafondaia, trova un terreno di ricomposizione. Altro si potrebbe dire, ma per brevità mi fermo.
La seconda è quella dello sbocco politico, di questa prima espressione sociale contro il riarmo; uno sbocco politico che specialmente dopo la chiamata di Conte al PD e la pronta risposta della Schlein e lecito ritenere possa infine risolversi in un accordo elettorale e di governo tra PD e M5S, in cui il No al riarmo “degli stati”, si trasforma magari in un più compatibile “Si ad un piano di difesa europeo”, magari con un prestito europeo comune come, se non sbaglio, Draghi era stato il primo a proporre.
L’ennesima fregatura rifilata a centinaia di migliaia di persone, ancora una volta poste di fronte al dilemma “turarsi il naso” o mandar tutti a quel paese e non votare. E’ in questa contraddizione che le residue forze politiche e sociali, con dichiarata posizione di classe e anticapitaliste, rischiano di trovarsi a vivere un film già noto, con due sole apparenti alternative. Da un lato il salir sul “carro più grosso”, per cercarvi un posticino, fin quando qualcun altro più ingombrante, il PD, vi sale e non rimane che saltar giù con le pive nel sacco o rimanerci aggrappati con l’ambizione di “condizionarlo a sinistra” in qualche “tavolo programmatico”.
Dall’altra la scelta di chi, sapendo come già come va a finire, “denuncia” il certo tradimento e come ogni inascoltata Cassandra, rimane in un angoletto, guardato da tutti con l’antipatia che ogni Cassandra ispira, magari inventandosi un “movimento” veramente autonomo, con le idee chiare e gli scarsi numeri, in attesa della magra consolazione del “noi l’avevamo detto”.
Un film già visto. Sulla prima opzione credo non ci sia da spendere molte parole: che sia ingenua buona fede o cinico opportunismo, su questa strada non si va da nessuna parte.
Quanto alla seconda credo sia opportuno sottolineare che i grandi movimenti di massa, anche solo d’opinione, non si inventano a tavolino mettendo insieme un po’ di sigle, ma sono il frutto della temperie storica, della situazione sociale, del quadro politico, delle condizioni economiche e infine dell’orizzonte culturale e comunicativo.
Quando una espressione sociale si produce, al di là dei limiti con cui si rappresenta è con essa che ci si misura e non per giudicarla ma per interpretarla: e oggi la società maggioritaria che è contro la guerra, il riarmo e di fatto, anche contro l’Unione Europea, si è espressa il 5 aprile, piaccia o meno.
Ma il concetto di “interpretare”, va ben declinato. Interpretare significa cogliere il “sentire” di cui una manifestazione come quella del 5 aprile è espressione, mettendolo in relazione con il “comprendere”, il quadro dei rapporti reali e delle condizioni oggettive, in cui tale “sentire” si esprime: e sulla base di questo produrre una strategia, che individuando i punti critici in cui il “sentire”, entrerà in contraddizione, con la rappresentazione politica che su di esso è stata prodotta, sappia agire in tale contraddizione.
Il momento in cui le aspettative, si misurano con le risposte, e giungere a quel momento preparati con la massa critica in grado di operare nella contraddizione; è questo che permette a volte di vivere un giorno che vale dieci anni.
Assunto che non viviamo più in quella fase storica in cui i grandi movimenti di massa erano in grado di condizionare almeno parzialmente istituzioni che si mostravano democratiche che comunque ricercavano un qualche consenso, ma siamo di fronte al muro di gomma di una Versailles europea, che del consenso se ne frega, ha organi decisionali che nessuno ha eletto e che in ultima analisi, sta definendo una sorta di nuovo totalitarismo finanziario, credo che sia lecito attendersi che l’opposizione al riarmo subirà lo stesso destino del genocidio palestinese: sarà ignorato.
Ma in questa Europa che del ‘900 dopotutto è figlia, c’è ancora un momento in cui in qualche modo i popoli possono esprimersi (non decidere o contare) ma almeno esprimersi: le elezioni. E quanto questo retaggio novecentesco sia mal visto nella nuova Europa è chiaramente dimostrato da anni di leggi elettorali che hanno scoraggiato la partecipazione al voto e più recentemente da veri e propri atti eversivi: in Francia dove si costruiscono governi in antitesi ai risultati elettorali, in Romania dove si arrestano candidati vincenti, in Germania dove un parlamento superato dal risultato elettorale, vota i nuovi crediti di guerra.
Le elezioni possono ancora essere un momento in cui la contraddizione tra paese reale e paese legale si esplicita, un momento in cui gli opportunismi elettorali si svelano, in cui soggetti più coscienti della società, possono trasformare il loro “sentire” un malessere, in “comprensione” delle ragioni reali di tale malessere. E’ a quel momento che si deve giungere pronti e non preparando coalizioni e “tavoli programmatici”, né per trovare in uno 0,2 di maggiori consensi la ragione del proprio agire, ma per offrire un’alternativa credibile a quanti, svelata la menzogna, non vorranno né turarsi il naso, né tornare a casa. E potrebbero essere tanti.
Ma per giungere a ciò non serve né affidarsi alle trattative di segreteria, né inventarsi movimenti autonomi. Serve operare nel fenomeno reale così come si esprime, operare con ogni strumento, da quelli comunicativi, che mantengono vivo l’esercizio critico contro il “nemico che marcia alla propria testa” e permettono alle persone di identificarsi in idee forti e chiare, all’azione concreta e unitaria, nei soli luoghi dove concretezza ed unità sono possibili, i luoghi reali, i territori, le scuole i luoghi di lavoro, in cui organizzare le persone e il loro agire, la loro formazione e loro azione, facendo di del fiume di una grande manifestazione, i mille rivoli che irrorano un tessuto sociale desertificato.
Da semplice militante di base ormai senza partito, con i compagni del territorio abbiamo organizzato una prima assemblea di quartiere, con la prospettiva di una prossima iniziativa di piazza, non per discutere di come andrà a finire, della prossima coalizione elettorale o del prossimo tradimento dei leader, ma per allargare e rafforzare un movimento reale, che sia in grado di vivere a prescindere da ogni scelta elettorale e di ogni tradimento, un movimento unitario e senza compromessi sull’unica parola d’ordine in grado di unire soggetti diversi, frammentati e spesso divisi: no alla spesa militare, i nostri soldi servono alla nostra vita. Non ho più l’età, né per l’entusiasmo, né per le illusioni, ma soprattutto per fare da comparsa in un film già visto e che non mi è piaciuto. E umilmente di film cercherò di viverne uno nuovo
Foto di Patrizia Cortellessa
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Oigroig
Azione unitaria? Rifondazione comunista che interviene dal palco, Potere al Popolo distinta e “distante” in Piazza SS. Apostoli… le solite stranezze che rendono subito visibile quella preoccupazione elettoralistica che allontanerà sempre le persone con un briciolo di buon senso o perlomeno di cultura ideologica. “Operare con ogni strumento” vuol dire fare discorsi chiari e rivoluzionari, e in qualsiasi sede ne valga la pena e sia possibile parlare. Solo così non si finisce a fare le comparse, nel mondo devastante in cui ci apprestiamo a vivere.
Andrea Vannini
la domanda alla quale rispondere é: quale é oggi l’ obiettivo strategico prioritario? se “giù le armi, su i salari” è una sintesi intelligente e potenzialmente assai mobilitante, é anche lungi da essere di per sé l’ obiettivo strategico. nella gabbia della ue e della nato non é conseguibile. affermare “forte e chiaro” che se non si esce dalla gabbia, se non si esce dalla ue e dalla nato non c’è futuro non c’è salvezza. questa é la discriminante per le alleanze, questo è il programma, “la bandiera da piantare nella testa dei lavoratori”. se la classe iniziasse a intravedere che una alternativa é possibile e auspicabile, che vivremmo meglio senza queste catene, che viviamo “al di SOTTO delle nostre possibilità”, io penso che maturerebbero anche le condizioni per superare “il cretinismo elettorale” che tristemente ci accompagna. urge studiare, elaborare teoricamente gli scenari futuri possibili che si presenterebbero uscendo dalla gabbia. ancora una volta “non abbiamo da perdere che le nostre catene, c’è un intero mondo da conquistare”.