Migliaia di persone sono scese in piazza a Roma invocando di alzarsi in piedi e resistere per i propri diritti. Un Get Up Stand Up materializzatosi con migliaia di migranti, in larghissima parte africani ma non solo, che a nostro avviso sta ponendo questioni serie all’agenda politica del paese e delle forze che agiscono per l’emancipazione.
Quelli che hanno manifestato oggi a Roma, hanno dimostrato di essere qualcosa di più e di diverso da migranti che hanno bisogno di accoglienza. In larga parte sono già lavoratori, magari precari, sfruttati, sottopagati, ma lavoratori, nelle campagne come nella logistica. E’ questo il primo punto di riflessione e di visuale che va preso in esame. La questione migranti, in qualche modo e prima possibile, deve uscire dallo schema dell’accoglienza o del rifiuto, uno schema che un certo antirazzismo morale non riesce a superare riproponendolo continuamente e che si scontra, specularmente, con il razzismo di stato sistematizzato dal governo. E invece occorre lavorare sulla sindacalizzazione – dove possibile – e sull’organizzazione politica dove necessario, proprio per portare la questione immigrazione-emigrazione sul terreno di classe, nella sua complessità e nella sua semplicità.
Una manifestazione, quella di oggi, apertamente contro il Decreto Sicurezza come quella di un mese fa, ma declinata in modo diverso e per comprenderlo occorreva guardarla con occhi non consumati dal già visto.
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In particolare, nella manifestazione di oggi, era ben visibile l’identità politica di moltissimi di questi giovani migranti. Gli slogan sul nome di Thomas Sankara, uno dei leader africani più importanti e attuali della seconda fase della decolonizzazione, le bandiere di alcuni paesi africani come Ghana e Senegal portati nel corteo, la rivendicazione di libertà e lo “schiavi mai” ribadito da chi lavora e lotta nella logistica, quello slogan “stop war” ripetuto più volte in uno degli interventi dal palco, così come l’impronta apertamente anticolonialista di altri interventi, incluso quello di un leader ormai riconosciuto come Aboubakar Soumahoro, ci dicono che stiamo facendo i conti con una generazione politica arrivata nel nostro paese come migrante, ma che si porta dietro e dentro un valore aggiunto politico in più, che la semplice dimensione del migrante in cerca di accoglienza limita e depotenzia notevolmente. E’ una realtà che deve costringere l’agenda politica delle realtà di movimento e le forze alternative ad allargare la visuale e guardare a ipotesi – una fra tutte l’area alternativa euromediterranea come sganciamento dalla gabbia dell’Unione Europea – che colgano le connessioni, oggi sempre più possibili, tra il conflitto di classe nel nostro paese e con quello dell’altra sponda del Mediterraneo fino all’Africa.
Quello che abbiamo visto era un bel corteo, fitto, gioioso ma combattivo, numericamente più piccolo di quello del 10 novembre scorso, ma con una componente migrante diversa e più numerosa che ha caratterizzato la manifestazione. Visibili in piazza c’erano soprattutto l’Usb e Potere al Popolo, oltre a un bel gruppone di giovani e giovanissimi studenti, molti indossavano i giacchetti gialli a testimoniare solidarietà e sostegno alla mobilitazione popolare in Francia che ha adottato il gilet jaune come simbolo comune di quella somiglia sempre più ad una rivolta sociale che ha già costretto il governo Macron a fare passi indietro sulle misure antisociali adottate.
C’è materia su cui riflettere, già da ora.
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