Per il 9 maggio del 2015, un bel dieci anni fa, sul sito del giornale di cui ero allora vice-direttore [Famiglia Cristiana, ndr] scrissi un articolo che più o meno diceva: cari Paesi occidentali che boicottate la parata con cui la Russia festeggia la vittoria sul nazismo, non vi rendete conto dell’errore clamoroso che commettete.
Il boicottaggio, se considerato nel vuoto cosmico, aveva le sue ottime ragioni: arrivava dopo che i russi si erano ripresi la Crimea (nel 1954 passata dall’allora segretario generale del Pcus, Nikita Krushev, dalla Repubblica Socialista Sovietica Russa alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina) con i famosi “omini verdi”, soldati senza insegne, violando un mazzo di trattati internazionali tra cui quello firmato nel 1994 con l’Ucraina stessa. Che, fresca di indipendenza, cedeva alla Russia il proprio arsenale atomico in cambio di un impegno formale di Mosca a rispettare i suoi confini e la sua integrità territoriale.
Il boicottaggio della Russia, il doppio standard occidentale
Questo, appunto, nel vuoto cosmico. Perché nella realtà, il boicottaggio veniva promosso da Paesi come Usa e Gran Bretagna che nel 2003 avevano invaso l’Iraq raccontando all’Onu e al mondo la panzana degli arsenali di Saddam Hussein pieni di armi di distruzione di massa, lanciando un’invasione che provocò, direttamente e indirettamente, la morte di centinaia di migliaia di iracheni (700 mila, secondo le valutazioni della rivista inglese Lancet).
O dalla Francia, che nel 2011 partecipò ai bombardamenti sulla Libia e all’uccisione del dittatore Gheddafi con l’altra panzana delle fosse comuni e dei sanguinari mercenari africani, guidata del resto da quel Nicolas Sarkozy su cui prende una possibile condanna a sette anni di carcere per essersi fatto finanziare la campagna elettorale del 2007 da… Gheddafi.
Boicottaggio abbracciato dai Paesi Ue che nel 2014, nelle fasi cruciali dell’Euromaidan, avevano “mandato” Lady Ashton, allora Alto commissario per la politica estera, e le alte cariche del Parlamento europeo a sfilare per Kiev accanto ai giannizzeri dell’ultra-destra ucraina, contribuendo a far saltare l’accordo in dieci punti che l’opposizione aveva siglato con il corrotto presidente Yanukovich (ritorno alla Costituzione del 2004, formazione di un governo transitorio, elezioni presidenziali anticipate…) e che accoglieva di fatto le richieste dei manifestanti.
Cercando quindi il ribaltone totale, ben sapendo che ciò avrebbe scatenato un conflitto interno all’Ucraina, che sul tema Europa e Nato vs Russia era spaccata a metà, come tutte le ricerche americane e ucraine dell’epoca (ne parlo ampiamente nel mio libro “Zelens’kyj – L’uomo e la maschera”) confermavano. Una per tutte quella di Usaid del dicembre 2013, in pieno Euromaidan: il 37% degli ucraini chiedeva l’adesione alla Ue, il 33% l’adesione all’Unione doganale proposta dalla Russia e il 15% diceva né l’una né l’altra.
Il ricordo della “Grande guerra patriottica”
Avviso per i cacciatori di putiniani in servizio permanente effettivo: tutto questo non giustifica nulla. Nessun Paese è “obbligato” ad aggredirne un altro, e non lo era la Russia nel 2022.
Un pizzichino di storia recente, però, può aiutare a capire che non ci voleva Einstein, in quell’ormai lontano 2015, per capire che impostare il rapporto con la Russia di Vladimir Putin nello stile del marchese del Grillo (io, Occidente, sono io e faccio quel che mi pare, e voi non siete un …) non era una grande idea.
Qualcuno aveva per caso boicottato gli Usa o la Gran Bretagna per l’Iraq? Le loro squadre erano state cacciate dalle competizioni internazionali? La libertà di movimento dei loro cittadini limitata in alcun modo? No, vero? Ecco. Immaginate tutto questo visto dai russi.
E non solo per la questione politica del cosiddetto “doppio standard”. Si sa come i russi vedono la vittoria sul nazismo. Come il trionfo finale della “grande guerra patriottica”. Il che dà un po’ l’idea che la seconda guerra mondiale l’abbiano vinta da soli. Cosa che, come ben sappiamo, non è vera: non sarebbe stata vinta senza la tenacia degli inglesi, o i mezzi forniti dagli americani, o i movimenti di resistenza dei diversi Paesi.
Però due cose restano vere. La prima è che nessun Paese ha avuto il numero di morti (militari e civili) che ebbe l’Urss (compresi, per dire, gli ebrei ucraini o bielorussi, che erano comunque cittadini sovietici), siano essi 20 o 25 milioni secondo le diverse stime.
La seconda è che a combattere i nazisti (e i collaborazionisti che stavano con loro) sull’enorme fronte Est c’erano i sovietici e che l’80% dei soldati nazisti caduti in battaglia cadde per mano dei soldati sovietici, come accertato dagli studi dello storico inglese Richard Overy (cfr “Russia in guerra”, Il Saggiatore).
Capire le lezioni del passato
Ragioni che dovrebbero rendere comunque rispettabile il sacrificio della Russia in quella che fu la guerra contro il male assoluto per l’umanità. Non rappresentarono questo i promotori dell’Olocausto? In più, non c’è in pratica famiglia, in Russia, che non ricordi un antenato scomparso in quella guerra. E non solo in Russia, ovviamente.
Quando si ritrovano i sempre meno numerosi reduci della resistenza nella Casa Pavlov, uno dei caposaldi della resistenza di Stalingrado (morirono più tedeschi per cercare, invano, di conquistarla, di quanti ne caddero per prendere Parigi), la maggior parte di loro viene dalle ex Repubbliche dell’Asia Centrale.
Nella famiglia Zelensky, il nonno si aumentò l’età per potersi arruolare volontario. E i suoi tre fratelli più grandi partirono per il fronte e non tornarono. E per che cosa o chi andavano a combattere? Non certo per l’Ucraina, perché i nazionalisti stavano con le truppe tedesche nella speranza di essere liberati da Stalin. Gli altri combattevano per l’Urss e per Stalin, ci piaccia o no.
Quindi, boicottare quella parata per ragioni politiche fu come sputare in un occhio a quei molti milioni di russi che onoravano la memoria dei loro cari, caduti come gli inglesi, gli americani e tanti altri nella guerra per la salvezza dell’umanità.
Messa in prospettiva, la decisione dei Paesi occidentali fu un enorme regalo alla propaganda nazionalista di Putin, che proprio in quegli anni cominciava a girare a pieno regime, mostrando inequivocabilmente ai russi che gli standard di giudizio che l’Occidente applicava agli altri non erano paragonabili a quelli, assai più generosi, che riservava a sé.
E fu l’inizio del progressivo allontanamento dei Paesi del Sud del mondo dagli orizzonti politici dell’Occidente, che si riservava il diritto di devastare l’Iraq o la Libia, dove aveva collaborato a fare centinaia di migliaia di morti, ma prendeva posizione contro la riannessione della Crimea, tra l’altro costata 4 morti (1 soldato e 3 civili) ai russi e 5 (tutti soldati) agli ucraini.
Per questo la Russia non è uscita isolata dalle sanzioni economiche occidentali. Per questo tra due giorni [oggi, ndr], sulla Piazza Rossa, sfileranno con le truppe russe quelle di altri 13 Paesi.
Le lezioni del passato, però, non servono se ci si rifiuta di meditarle. Ed è proprio questo che accade, dal beneplacito Usa-Ue alle stragi di Gaza agli episodi minimi come la decisione dell’Estonia di non concedere il proprio spazio aereo ai velivoli dei presidenti di Brasile e Cuba che intendono recarsi a Mosca per la parata del 9 maggio.
Quos Jupiter perdere vult, dementat prius.
* da InsideOver
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Andrea Vannini
“le sue ottime ragioni”? e il golpe fascista sponsorizzato dagli usa? Gheddafi dittatore? averne! yanukovich corrotto? o solo contrario a entrare nella gabbia ue? il fascismo é stato sconfitto dall’ Urss e dai comunisti.