Lello prende cose e le rompe. Attività senza scopo di lucro, come un hobby ma al contrario: gli oggetti raccattati dalla spazzatura, vengono rielaborati dalla sua fantasia, attraverso una totale decomposizione, per poi tornare al cassonetto in piccolissimi pezzi.
Ogni giorno, compreso festivi, dalle otto alle otto Lello vive nell’androne del mio palazzo. Si è procurato una sediolina e si è inventato un ruolo di ‘portiere spontaneo’ che gli rende la giornata piena di incontri. Oltre ai saluti, spesso difficili da decifrare, alle devastazioni di piccole cose, anche esse difficili da decifrare, Lello si occupa di portare acqua e spesa a noi condomini. Con la monetina di mancia, impinguisce l’assegno di invalidità.
Non avevo mai fatto caso alla costanza di Lello, fino a che non sono stato qualche settimana in casa, perché mi ero fatto male a un piede. Eppure, l’avevo incrociato centinaia di volte, ma la sua totale dedizione all’androne del palazzo non mi era mai stata chiara.
Lello guarda le donne ed è sempre gentilissimo con loro, ma anche in questo sembra una tenerezza non tra Esseri Umani, ma tra le belle abitanti del palazzo e la bestia che vive nell’androne. Vorrebbe anche lui un amore, si intuisce da centinaia di micromovimenti facciali quando le guarda. Smorfie di estasi e di approvazione, mentre osserva le loro siluette allontanarsi di fretta.
È un attimo, però si coglie nei suoi occhi un lampo di malinconia, ma non lo nota nessuno. Anzi: le mie belle vicine scherzano con lui, senza mai avere cattiveria, vero, ma senza neanche voler avvertire quel devastante desiderio che gli infiamma il cervello. È chiaro che la tenerezza, quel tipo di tenerezza lì, nella sua fisiologica reciprocità non fa sconti e che certe esistenze ne sono sprovviste, proprio per la assoluta inadeguatezza a scatenarle e quindi a riceverle.
Ma ognuno di noi disegna il proprio concetto di “Pane Quotidiano“, non necessariamente legato al paniere ISTAT: emozioni, tenerezza, sessualità fanno parte del nostro orizzonte dei desideri, anche se li neghiamo ad una parte di umanità. La sessualità, ad esempio, forse proprio perché imbevuti in culture clerico fasciste, è elemento negato in ogni forma di ‘detenzione’, che sia quella coatta del carcere, delle marginalità o della malattia. Ma, come dire, non solo negato meccanicamente, ma nascosto anche al ragionamento, alle analisi. Eppure è elemento redentivo in molti calvari personali: l’idea, assolutamente spirituale, di fondersi e confondersi con altro da sé.
Lello affoga nel percepire vicinanze rapide, intensissime ma di transito, di fantasia. Potenzialità smarrite: esattamente come gli oggetti che raccata dalla spazzatura e che, dopo aver trasfigurato, riconduce al cassonetto dell’oblio. Distruggere, rendere in piccolissime parti ogni cosa è consolatorio, credo, perché sfugge alla visione d’insieme del tempo, dello spazio, della stessa funzionalità. Passa ore ad osservare una lattina, a darle un senso che per noi non ha, per poi diluirla nella spazzatura, nel mare opaco dal quale era spuntata. In questo ha anche un grande equilibrio, nulla chiede al suo nulla e nulla ha.
Siamo noi che, forse, dobbiamo iniziare ad interrogarci su questi nulla. Su come la distruzione dell’elemento umano, nella vita dei fragili, dei detenuti e dei diversi, ci conduca a guardarli come a oggetti, senza riconoscere più ad una parte di Umanità quella specificità che ci rende Uomini.
Forzatura logica: per fare sesso è necessario avere altro Essere Umano con cui farlo. Ma cosa succede quando tutte le forze seduttive sono inesistenti? Deserti emotivi o fisici, di qualunque natura essi siano, le sfilacciano indistintamente, rendendo l’Uomo invisibile o irricevibile.
Detenzioni, depressioni, malattie, disabilità, disturbi psichiatrici, povertà estreme o altro possono, oltre al dolore intrinseco alla propria condizione, produrre un vuoto di vita sessuale. Si parla spesso di diritto alla sessualità dei carcerati, ma senza puntare mai l’attenzione sul dramma della sessualità dei partner dei carcerati e, più in generale, di chi è vicino a forme detentive o diversamente detentive altrui.
‘Pene accessorie’ che i tribunali della contemporaneità infliggono non solo ai rei, ma anche a coloro che gli sono vicini. Persone che, avendo anche opportunità di avere una sessualità attiva, vivono un doppio senso di colpa sia se lo fanno, sia se non lo fanno. È lo stesso concetto del piacere che in questi casi valica confini difficilmente esprimibili, trasformandosi in colpa, come percezione punitiva dell’essere ancora Uomini, nonostante tutto Uomini.
Come dire: “tu non puoi e io sì”, e questa sensazione può indurre comportamenti autolesionisti da parte di partner o familiari di persone in difficoltà o detenute. La sorella di Lello è una donna molto gradevole, eppure si auto devasta nel vestirsi, nel parlare di sé stessa.
A Napoli, ad esempio, l’espressione “mogli di carcerati”, indica fenomeni pericolosi e tentacolari, tipo le sirene del mare, il cui meraviglioso canto è però omicida. Forse proprio per questo la sorella di Lello, al pari di molti familiari di detenuti o diversamente detenuti, è sempre vestita in tuta da ginnastica. Una specie di pigiama da strada che indica chiaramente una funzione puramente coprente del corpo. Del resto anche nelle carceri della modernità, oltre che in quelle classiche, la tuta da ginnastica è outfit collettivo.
Le molte prigioni aggiungono quindi alle catene della deprivazione, altre catene contagiose di frustrazione. L’astrazione che la Carne deve morire, per fare spazio allo Spirito, che è parte del nostro DNA, viene spesso raccontata da persone che a suicidare il corpo e i suoi bisogni non ci pensano affatto. Anzi: spacciano per necessari o inevitabili agli altri, calvari che non vivono e che quindi non possono comprendere, infondendo nei più deboli fanatismi e coercizioni che diventano volano di altre devastazioni.
Una volta ad una riunione di familiari di pazienti psichiatrici una signora raccontò che non mangiava una pizza da oltre 27 anni, da quando era entrata in casa sua la “sofferenza oscura”. Un’altra, invece, mi disse con naturalezza che dopo il lavoro era solita tornare a casa sua, abitata anche dal figlio: per fare le pulizie, farsi picchiare e lasciare qualche soldo. Per poi essere costretta ad andare a dormire a casa della mamma. Il figlio non la voleva tra i piedi. La malattia mentale colpisce ricchi e poveri, ma quando si abbatte su territori di abbandono è tsunami esistenziale mortale.
In passato alcune mistiche praticavano la ‘carità carnale’, proprio per alleviare il dolore degli Ultimi, concependo il dono del corpo come estrema negazione di sé. È chiaro che un Ultimo, oltre ogni giudizio su questo genere di volontariato, è felice. Perché senza seduzione, trova un sollievo, proprio perché spezza la mortificazione della propria carne.
La società della performance, quindi, esclude i fragili dalla sessualità e si nasconde ipocritamente in una intellettualità che non tiene mai conto dei reali bisogni degli altri. Una frigidità imposta, a volte anche con la chimica farmacologica, che si giustifica con quello che verticalmente, ossia di autorità, si può concedere e non a quel ventaglio di sogni e di potenzialità che ogni Essere Umano ha diritto ad avere. Perché è anche ammettendo la propria impotenza rispetto alle necessità altrui, che le si riconosce: dare Dignità a bisogni, anche se complessi da realizzare.
Io non saprei come trovare una compagna a Lello, ma è stupido nascondere che sia un problema, eppure nella sua visibile invisibilità ai miei occhi, non ci avevo mai pensato. Ammettere, parlare, condividere una esigenza è già un successo. Chiaro, ad esempio, che se una persona è a dieta ferrea e vede una parmigiana di melanzane, ne ha un desiderio osceno: si tratta dunque di accettare il bisogno nelle sue differenze e/o contesti e non di stigmatizzarlo, sminuirlo o ignorarlo.
Nelle strettoie della esistenza, che siano malattie o disagi, scompare l’elemento forza e, conseguenzialmente, l’elemento attrattivo performante che ci costringe ad essere competitivi e, quindi, seduttivi nei riti stanchi dell’accoppiamento borghese. Quando, poi, queste strettoie sono congenite come nei disturbi psichiatrici gravi, negli ergastoli o nelle disabilità fisiche invalidanti, questa condizione è perpetua, togliendo un pezzo di vita a queste vite.
Lello non si lamenta mai e, in ogni caso, non riuscirei a comprenderlo. Mai un comportamento fuori luogo, un’aggressività, un urlo: solo lo sguardo traslucido palesa il suo non essere tra noi. O, forse, il suo voler essere tra noi ma a modo suo, alla sua velocità e con la sua lingua incomprensibile, quasi aliena.
Così la resistenza, per questa parte di umanità dimenticata, è aggrapparsi ai propri pensieri storpi, qualunque essi siano. Lello, a modo suo, si auto impone di essere ancora vivo proprio attraverso i desideri sconci sulle belle signore del palazzo.
Una gattina randagia e zoccola partorisce continuamente. Tutto sommato, almeno da queste parti, la colonia felina sesso compulsiva è un baluardo naturale ai ratti e così, quasi ognuno di noi, tollera e nutre questi gattini. Qualche giorno fa, invece, un gattino appena nato è morto. Lello lo ha messo in una nicchia nel muro, tipo quelle dei contatori, ed ha aspettato che, anche mamma gatta, oltre a tutti noi, decretasse la morte del piccolo. Ha creato come un tempo sospeso, in cui la realtà potesse diventare realtà. Così mamma gatta è salita e scesa da quel buco decine di volte, ha cercato di allattare il piccolo, di risvegliarlo. Poi è tornata ad occuparsi degli altri cuccioli e di sé stessa, lasciando il cadaverino nelle mani del suo amico.
Ognuno di noi ha tenerezza per i micini vivi, proprio per quella reciprocità sensoriale che ci porta più a pretendere una dolcezza, anche quando la doniamo. Lello no: ha aspettato che il dolore degli altri svanisse e solo così ha potuto avere una tenerezza tutta sua.
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