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I fratelli musulmani restano a casa e mediano

I Fratelli Musulmani d’Egitto, la forza politica meglio organizzata del paese, hanno annunciato che non parteciperanno alle manifestazioni di massa perviste per oggi in piazza Tahrir, al Cairo, contro il potere militare. Il Partito della libertà e giustizia, organo politico dei Fratelli musulmani, hanno annunciato che questa decisione nasce dalla preoccupazione di non «trascinare il popolo verso nuovi scontri sanguinosi con partiti che cercano vantaggi dalle tensioni» secondo un comunicato sul suo sito internet.

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L’esito della seconda rivoluzione egiziana è nelle mani dei Fratelli musulmani
Michele Giorgio

È nelle mani dei Fratelli musulmani, e delle altre formazioni islamiste, la chiave del successo di una possibile «seconda rivoluzione» egiziana, volta a portare a compimento la prima, del 25 gennaio, contro Hosni Mubarak e far cadere il regime, oggi rappresentato dall’alleanza tra il Consiglio supremo delle Forze Armate e l’establishment economico che tiene strette nelle sue mani le redini del Paese. I Fm – che i sondaggi indicano come il partito di maggioranza relativa che uscirà dalle elezioni che cominciano il 28 novembre (se confermate) – hanno annunciato che parteciperanno oggi pomeriggio alla «marcia del milione» alla quale aderiscono decine di forze politiche e di movimenti di ogni colore. Ma quale sarà il loro atteggiamento verso il Consiglio Supremo delle Forze Armate (Csfa) resta l’interrogativo che si pongono in tanti. Si uniranno concretamente alla testuggine che stanno mettendo insieme tante anime della rivoluzione del 25 gennaio per scardinare l’intransigenza dei generali del Csfa? Sceglieranno senza ambiguità la piazza per impedire ai militari di ritagliarsi, anche a costo di tante vite umane, il potere di ultima parola nell’Egitto che attende un nuovo Parlamento, un nuovo Presidente e una nuova Costituzione?
Già durante la rivoluzione del 25 gennaio i Fratelli musulmani mantennero per diversi giorni un atteggiamento prudente, ai limiti dell’ambiguità, nei confronti della rivolta che cresceva in piazza Tahrir. Alla ricerca della legalizzazione da parte delle autorità, furono tra quelle formazioni che accettarono di dialogare con il vice presidente Omar Suleiman, incaricato da Mubarak di avviare colloqui con quell’«opposizione decorativa» che di fatto gli reggeva il gioco da anni. Poi, spinti dai loro giovani, dalla loro base, i leader del principale movimento islamista egiziano non poterono fare a meno di aderire pienamente alla rivolta che l’11 febbraio costrinse Mubarak a lasciare il potere e il Cairo. Oggi la presenza massiccia, compatta di centinaia di migliaia di attivisti e simpatizzanti dei Fm darebbe il colpo del ko ai militari che in questi mesi hanno fatto spesso affidamento proprio sugli islamisti per mantenere la pace sociale e frustrare le ambizioni di reale cambiamento dei rivoluzionari laici. Ma pochi credono che i Fm si spingano fino a tanto. «È difficile che gli islamisti più moderati scelgano la strada del confronto aperto con i militari che li hanno aiutati non poco», spiega Hani Shukrallah, direttore del sito online del quotidiano al Ahram.
La guida Mohammed Badei e i dirigenti dei Fm egiziani valutano varie opzioni. Da un lato sarebbero avvantaggiati, e non poco, da un rapido passaggio dei poteri ai civili e dal ritiro dei «principi sovra-costituzionali». I generali dello Csfa infatti vogliono darsi il diritto di ultima parola e la facoltà di respingere gli articoli della nuova costituzione qualora fossero in contraddizione con la carta da loro emanata lo scorso marzo. Dall’altro lato una seconda rivoluzione finirebbe per allontanare la conquista del potere politico che i Fm vedono a portata di mano, subito dopo le elezioni. Se, assieme alle altre forze islamiste, riusciranno a conquistare la maggioranza della nuova Assemblea del popolo (Camera bassa), i Fratelli musulmani potranno scrivere la nuova Costituzione con articoli più aderenti ai principi religiosi. Sarebbe un traguardo eccezionale se si pensa che appena un anno fa, gli islamisti egiziani erano persequitati, tenuti sotto pressione e privati del diritto di partecipare alle elezioni con un loro partito.
Ecco perché Mohamed Badei esita a dare pieno appoggio a chi, anche nella base del suo movimento, chiede, come a gennaio, «la caduta del regime». Ai Fratelli appare più allettante, e meno rischiosa, la richiesta, comune a gran parte delle forze politiche, della formazione immediata di un governo di salvezza nazionale per gestire la fase di transizione. Troppa cautela potrebbe però esporre Badei alle critiche dei leader salafiti più radicali, che accusano la Fratellanza di guardare troppo al conseguimento di traguardi politici immediati e troppo poco a una sollevazione popolare che, nei loro disegni, dovrebbe fare dell’Egitto un vero paese islamico.

da “il manifesto”

 

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