C’era chi si era illuso sull’uscita del Giappone dalla stagnazione ormai ventennale. Quando il premier ultraconservatore e revanchjista Shinzo Abe, e il suo ministro dell’economia Taro Aso (lo stesso che un anno e mezzo fa consigliava agli anziani di “morire un po’ prima”), si misero a stampare yen a rotta di collo, per aumentare l’inflazione e guadagnare “competitività” alla stessa maniera della vecchia Italietta pre-euro.
Per qualche mese l’esperimento era sembrato funazionare: più liquidità in circolazione, deprezzamento della moneta nazionale, aumento delle esportazioni, crescita del Pil.
Poi i nodi hanno cominciato ad arrivae al pettine. Ora le cose sembrano decisamente meno allegre, con il governo costretto a reperire fondi “veri” (a stampare sono buoni tutti, soprattutto gli Stati Uniti) aumentando l’Iva di ben tre punti percentuali: dal 5 all’8%. E i consumi interni sono improvvisamente crollati. Com’era anche facile prevedere.
I dati sulle vendite al dettaglio in aprile sono profondamente negativi: un calo del 13,7% rispetto a marzo e addirittura un meno 4,4% rispetto allo stesso mese del 2013.
E’ un calo superiore alle attese degli analisti, e non mancherò di pesare nella determinazione del Pil. In pratica, nel trimestre in corso ci sarà una consistente contrazione complessiva dell’economia.
Una riduzione dei consumi di questa portata si verificò soltanto nel 1997, non a caso quando l’Iva fu innalzata dal 3 al 5, aprendo le porte alla recessione. L’aumento della “competitività”, insomma, si paga con l’impoverimento complessivo della popolazione.
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