La strategia di Sicurezza Nazionale statunitense della seconda amministrazione Trump ha creato molto scalpore. Alcuni hanno provato a ridimensionare il contenuto, ma la maggior parte dei commentatori, che fossero analisti, giornalisti o politici, non hanno potuto fare a meno di constatare ciò di cui i primi accenni erano già arrivati con la fuga dall’Afghanistan: l’unipolarismo a guida stelle-e-strisce è finito.
Gli USA non si possono più permettere di fare i “gendarmi del mondo”, e preferiscono concentrarsi su quegli scenari che portano con sé interessi strategici fondamentali, che siano le terre rare e le filiere dei semiconduttori, frontiera del processo economico odierno, o la Cina come principale competitor egemonico.
L’Europa è una zavorra che è giunto il momento impari a “camminare sulle sue gambe” in questa nuova fase della competizione globale. Ovviamente, non nel senso che possa allontanarsi dal padrone statunitense, ma nel senso che siccome non ha nulla da offrire, d’ora in poi si occuperà da sola della propria difesa.
Intanto, Trump sosterrà quelle estreme destre e quei paesi che sono meno riottosi, che sono meno propensi ad assecondare la UE come formula dell’imperialismo europeo per assumere un ruolo nello scenario globale, per far sì che le sue scelte strategiche rimangano scelte tutte interne al recinto dell’ordine internazionale per come vuole ridisegnarlo Washington.
Alcuni media nostrani hanno riportato la notizia di un’altra versione della Strategia statunitense, più estesa, visionata e riportata in ampi stralci dalla rivista Defense One. Un capitolo approfondiva il tema del “Make Europe Great Again“, indicando l’Austria, l’Ungheria, la Polonia e, ovviamente, l’Italia, come paesi con cui “collaborare di più… con l’obiettivo di allontanarli dall’Unione Europea“.
Naturalmente, i commentatori italiani si sono concentrati su queste indicazioni, sostanzialmente per due motivi. Il primo è che, in questo quadro, Giorgia Meloni viene vista come interlocutrice fondamentale di Trump, e dunque una “serpe in seno” della UE. Il secondo motivo è, appunto, il fatto che questi analisti e giornalisti, che siano spostati più a destra o a sinistra, sono fautori dell’autonomia europea, nodo a cui Trump vuole dare una spallata definitiva.
Il loro racconto, dunque, si sofferma sulla rottura definitiva di quello che abbiamo chiamato spesso euroatlantismo, e sulla divergenza tra gli interessi di Washington e quelli del Vecchio Continente, da un lato, mentre dall’altro mette in evidenza chi, all’interno della UE, “rema contro” alle velleità dell’imperialismo europeo.
Ma un’altra sezione del documento riportata da Defense One, che non è poi finita nel testo finale, riguarda l’abbandono definitivo del G7, di cui Trump si era già lamentato in passato per aver assunto tale formula dopo la cacciata della Russia. E aveva persino azzardato una sua revisione che lo portasse a integrare anche la Cina in un inedito G9.
La proposta della Strategia statunitense, nella sua forma precedente al taglio, proponeva di sostituire il G7 con un Core 5 (C5), un forum sempre informale in cui si potessero incontrare Stati Uniti, Cina, Russia, India e Giappone. Un’idea che si è preferito poi non spiattellare come nulla fosse su alcune pagine, tenendo anche conto che rivoluzioni di questo genere necessitano di un’attenta mediazione, a partire da coloro che dovrebbero essere coinvolti.
Ma i paesi citati fanno capire molto chiaramente il cambio dei tempi. Se il G8 era una forma di coordinamento del mondo post-Guerra Fredda, e infatti teneva insieme l’Occidente e la Russia, se il G7 esprimeva lo stallo sempre più teso degli imperialismi, e il mantenimento di una pretesa di governo unipolare del mondo (c’erano solo le potenze imperialiste occidentali, compreso il Giappone), il C5 sarebbe al contrario l’espressione del multipolarismo, delle sfere di influenza, di un asse del mondo che si sposta dall’Atlantico al Pacifico.
C’è la Russia, a cui viene garantito un posto in questo consesso in quanto potenza nucleare pari agli USA, contro cui finiscono le minacce di smembramento e che anzi si cerca di trasformare in partner economico, per allontanare Mosca da Pechino. C’è l’India, in quanto paese più popoloso al mondo e potenza economica e tecnologica in crescita, e il Giappone guidato dalla nazionalista Sanae Takaichi, che ha già promesso riarmo e ha mostrato una postura bellicosa.
Sia l’India sia il Giappone fanno parte del QUAD, il Dialogo quadrilaterale di sicurezza incentrato sull’Indo-Pacifico e pensato in maniera piuttosto esplicita con una funzione anticinese. E c’è infine il Dragone, la vera preoccupazione di Washington. Ma a cui, allo stesso tempo, verrebbe dunque riconosciuto questo ruolo, di competitor globale. All’Australia non viene evidentemente attribuita la caratura per poter sedere a questo tavolo.
Il C5 signicherebbe il passaggio da un mondo che l’imperialismo occidentale pensa come proprio a un mondo in cui l’ordine globale, di sicurezza tanto quanto quello economico, torna ad essere un terreno di mediazione, contendibile, e in cui la sfida rimane aperta. In questa sfida, della UE, non c’è traccia. E la colpa non è degli Stati Uniti che fanno i propri interessi, ma di un modello sociale ed economico al collasso, e di una classe dirigente che lo ha sviluppato totalmente fallimentare.
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ugo
L’Europa potrebbe opporsi e farsi rispettare se non fosse in contraddizione: da una parte segue una politica russofoba che sarebbe suicida se non avesse dietro l’America, dall’altra gli USA non credono più nella guerra per arginare la Russia. Sembriamo un cane che segue il padrone che lo bastona, ma è l’unico modo di continuare una politica anti-russa di cui potremmo fare volentieri a meno. Ci indeboliscono anche i disaccordi economici: l’Italia vorrebbe l’accordo col Mercosur, la Francia no. È il modo in cui è organizzata l’UE che sta mostrando la corda: burocrazia, trattative estenuanti, tutto quello che serve per decidere male. Mi consolo pensando che l’Austria-Ungheria aveva più o meno gli stessi problemi nel 1914: Alfred Krauss, Le cause della nostra sconfitta.