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Cala il deficit italiano

Nei primi nove mesi 2011 il rapporto tra deficit e Pil è stato pari al 4,3%, inferiore di 0,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2010 (era al 4,6%). Lo comunica l’Istat diffondendo i dati grezzi sull’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche. È il miglior dato dai primi nove mesi del 2008.

Nel terzo trimestre 2011 il saldo primario – l’indebitamento al netto degli interessi passivi – è risultato positivo e pari a 6.615 milioni di euro (+2.148 milioni di euro nel corrispondente trimestre del 2010). L’incidenza sul Pil è stata dell’1,7%, era dello 0,6% nel corrispondente periodo del 2010. Nei primi nove mesi del 2011 si è registrato un saldo primario positivo pari allo 0,3% del Pil, in miglioramento rispetto al -0,3% dello stesso periodo del 2010.

Il saldo corrente (risparmio) è risultato invece negativo per 494 milioni di euro, in miglioramento rispetto ai -2.084 milioni di euro registrati nel corrispondente trimestre dell’anno precedente. L’incidenza sul Pil è stata di -0,1%, a fronte di un valore di -0,5% registrato nel corrispondente trimestre del 2010. Complessivamente, nei primi nove mesi del 2011 il saldo corrente in rapporto al Pil è stato negativo e pari all’1,8% (-1,9% nello stesso periodo del 2010).

Le entrate correnti hanno infine registrato un aumento tendenziale dell’1,4%, come frutto di una riduzione delle imposte dirette, in calo dell’1,2%, e di un balzo delle imposte indirette, in rialzo dello 4,0%; risultano in aumento anche i contributi sociali (+1,6%) e le altre entrate correnti (+1,1%). Appare singolare e significativo che le imposte “dirette” (sui redditi, le proprietà, i capitali, ecc)  siano diminuite; probabilmente a causa della forte contrazione dei redditi da lavoro. Mentre sono al contrario cresciute di molto quelle “indirette”, applicate ai consumi generici. Qui, probabilmente, si fa sentire già molto l’aumento dell’Iva dal 20 al 21%, deciso dall’ultima manovra Berlusconi.

Tradotto sul piano sociale, significa che le entrate statali aumentano pescando nelle tasche dei meno abbienti, perché i “consumi” indispensabili non possono essere compressi oltre misura, e su quelli si paga una tassa inevabile (sta nel prezzo della merce o del servizio), fintamente uguale per tutti, perché pesa molto di più su chi ha poco che su chi è benestante.

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