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Tap. L’analisi costi/benefici affidata a chi ci deve guadagnare

Il cavallo di battaglia del Ministro Toninelli, l’ormai celebre “Analisi costi/benefici” sulle grandi opere da realizzare in Italia, ha detto sì: il TAP si farà. Secondo il governo giallo-verde, infatti, i costi che il nostro paese sarebbe destinato a sostenere in termini di penali da pagare per la mancata realizzazione dell’opera, sarebbero tanto onerosi da convincere a proseguire i lavori anche chi, come il MoVimento 5 Stelle, sulla battaglia contro il TAP ha costruito un consenso capace di convogliare decine di migliaia di voti.

Peccato però che questi costi non esistano. Come abbiamo già raccontato ieri, tra lo Stato italiano e la Trans Adriatic Piprline non c’è alcun contratto che avalli ipotesi di penali. Anzi, documenti ufficiali del MISE certificano che le cifre sparate in questi ultimi giorni dai vari rappresentanti del governo hanno come fonte la SOCAR, compagnia dell’energia dell’Azerbaijan. Tradotto: l’Italia ha affidato l’analisi dei costi legati alle penali, proprio a chi dovrà realizzare l’opera in questione. Naturale, quindi, che dalla SOCAR abbiano sparato alto.

Eppure la strada sembra ormai tracciata, con buona pace di quelle migliaia di residenti che ormai da mesi si battono contro un’opera destinata a devastare il territorio su cui sono nati e cresciuti.

Al centro di queste lotte ci sono le popolazioni della costa adriatica salentina, ma non solo: a braccetto con il TAP, infatti, viaggia la realizzazione di Rete Adriatica, altro gasdotto lungo 687 kilometri, che Snam Rete Gas si appresta a costruire. I due progetti sono separati, ma strettamente connessi tra loro: il metano giunto in Salento attraverso il TAP, infatti, sarà destinato poi a risalire tutto il territorio italiano, passando per dieci regioni, fino a raggiungere l’Europa Continentale. Tra le aree interessate, l’Abruzzo è una di quelle maggiormente a rischio.

Non a caso anche qui, come in Salento, movimenti di protesta si stanno impegnando per far sentire la voce dei residenti, contrari a quello che sarebbe l’ennesimo scempio a danno di un territorio già martoriato da eventi sismici e ancora in attesa di una ricostruzione che, a quasi dieci anni di distanza dai fatti, è ancora un miraggio.

Come spiega in un bell’articolo TPI, Il progetto originario di Rete Adriatica prevedeva il passaggio del gasdotto (una condotta con un diametro di 120 centimetri interrata a 5 metri di profondità) lungo tutta la costa adriatica. Poi, per non meglio precisate “cause ambientali, geologiche ed urbanistiche”, il tracciato è stato spostato lungo la dorsale appenninica. Le ragioni dello spostamento, secondo il Movimento AltreMenti Valle Peligna, sarebbero da ricercare nella riduzione dei costi e, soprattutto, nel tentativo di scongiurare iniziative di protesta: “Lo spopolamento delle aree interne – spiega Alessia Moriconi – riduce le possibilità di resistenze popolari. Inoltre, i terreni costano sicuramente meno rispetto a quelli sulla costa”.

Ma al di là della volontà di difendere il proprio territorio, a rendere sciagurato il progetto di Rete Adriatica ci sono rischi di carattere geologico. Secondo il geologo Francesco Aucone, infatti, il tracciato del gasdotto è destinato ad attraversare aree ad altissimo rischio sismico, toccando molti degli epicentri dei drammatici terremoti che dal 1997 hanno sconvolto il nostro paese: dalla Valle Peligna alla provincia de L’Aquila, per poi arrivare in Umbria, nelle Marche e in Emilia.

Tra le zone maggiormente a rischio ci sarebbe l’area attorno a Sulmona: qui il sottosuolo, infatti, dovrebbe ospitare non soltanto i tubi in cui far scorrere il gas, ma anche una centrale di compressione e spinta del gas, necessaria a far proseguire verso i siti di stoccaggio di Minerbio (BO) il percorso del gas, iniziato in provincia di Taranto. Peccato, però, che l’area di Sulmona sia classificata di “Livello 1”, il più alto nella scala sismica, e che, proprio nell’area in cui dovrebbe sorgere la centrale, si trovi la Faglia del Morrone, “una delle più pericolose d’Italia”, secondo l’Ingv. Tanto rischiosa da spingere il dott. Aucone a definire “una bomba ad orolgeria” la scelta di realizzare una centrale di compressione in quella zona.

Insomma, noncurante delle proteste dei cittadini (e dei propri elettori, in alcuni casi), il Governo del Cambiamento tira dritto per la strada già tracciata dagli esecutivi precedenti: quella che dovrebbe fare dell’Italia l’HUB del gas europeo: lo snodo commerciale per il passaggio, lo stoccaggio e la vendita del metano ai vari paesi europei. E poco importa se, come ha dimostrato il Coordinamento No Hub del Gas, non esiste un piano di sicurezza della popolazione; poco importa se i livelli di inquinamento sono destinati ad aumentare sensibilmente; poco importa se tutto questo avviene in aree ad alto rischio sismico, o in zone verdi come il Parchi Nazionali del Gran Sasso e della Majella.

La rinascita del centro Italia, già sofferente per i colpi dei terremoti degli ultimi 20 anni, non passerà dal rilancio di territori unici, non passerà dalle montagne e dalle loro tradizioni, non poggerà sul rilancio del turismo, non partirà dalla forza dei propri abitanti. Dovrà necessariamente passare attraverso il ruolo di Hub del Gas. Nel nome dell’analisi Costi/benefici.

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