Essendo stata dichiarata dal governo la liquidazione coatta amministrativa – ha spiegato Valentino Parlato, storico direttore del giornale e attuale presidente del Cda – «ora si apre una gestione commissariale che controllerà tutto. Noi dobbiamo collaborare con il commissario per una ripresa delle vendite, e se questa non ci sarà al commissario non resterà che sciogliere la cooperativa e mettere all’asta la testata».
E per evitare la liquidazione e la chiusura il giornale chiede aiuto, di nuovo, ai suoi lettori. A quelli che lo hanno già appoggiato a suon di abbonamenti ‘sostenitore’ e di donazioni quando ancora nelle casse di Via Tomacelli – la sede storica – arrivavano i rimborsi previsti dalla legge per l’editoria. Ora che quei soldi non arrivano più l’impresa appare improba. Ma Norma Rangeri, Angelo Mastrandrea e Valentino Parlato si dicono ottimisti e se da una parte chiedono al governo di far presto nell’attribuzione di ciò che resta del finanziamento pubblico ai giornali dall’altra lanciano una campagna di sottoscrizione straordinaria per rimanere nelle edicole, seppure in una versione ridotta. Perché, dice Rangeri in conclusione della sua introduzione, l’informazione libera è un bene comune. “Prima che qualcuno riesca a chiuderci faremo il possibile e anche l’impossibile”.
Il giornale ha già asciugato assai la sua struttura con i giornalisti messi in cassa integrazione a rotazione e senza stipendio da parecchi mesi. Ed ora si prospetta una ristrutturazione drastica che, con una redazione ridotta ai minimi termini, permetta al giornale di continuare ad uscire, in attesa delle decisioni dell’amministratore ‘coatto’. Che dovrà decidere cosa ne sarà di un giornale nelle edicole ormai da 40 anni: se valuterà che la voragine nei conti è troppo profonda per tentare un qualsiasi salvataggio, potrà chiudere la baracca, liquidare e mettere il giornale in vendita. Se invece nelle prossime settimane arriveranno segnali positivi sul fronte delle vendite e degli abbonamenti, ma soprattutto dal governo, potrebbe tentare di risollevare le sorti del quotidiano. E’ a questo secondo scenario che si richiamano gli interventi in conferenza stampa. «Oltre ai fondi pubblici, abbiamo bisogno in questa fase del sostegno dei nostri lettori. Per questo lanceremo la campagna 1000 per 1000, cioè una donazione di mille euro da parte di mille persone per raccogliere un milione di euro» annuncia Parlato. La redazione chiede aiuto non solo ai circoli che i suoi lettori hanno costituito in varie città d’Italia, ma anche a coloro che magari il giornale non lo comprano abitualmente ma che non ci stanno a che una voce così importante venga meno e chiuda. Comincia quello che Rangeri definisce “ultimo miglio”. I fondi attribuiti finora al Manifesto in base ad una legge per l’editoria che Berlusconi prima e Monti ora vogliono ridefinire ma senza fretta – e intanto rischiano di chiudere circa 100 testate, con 4000 lavoratori a rischio disoccupazione – rappresentano circa il 20% del bilancio del giornale. La situazione di difficoltà estrema che il Manifesto ha vissuto per tanti anni oggi è diventata tragica. “Non c’è banca che ti conceda un credito o un fornitore che rinvii i pagamenti sulla base delle promesse fatte da ministri e sottosegretari durante conversazioni telefoniche” sbotta Giuseppe Giulietti, deputato del PD ma soprattutto portavoce dell’Associazione Articolo 21. “Non vorrei che a Monti riuscisse ciò che non era riuscito a Berlusconi” puntualizza Giulietti che poi rilancia: “dobbiamo contrastare il bavaglio di fatto che oggi vogliono imporre a certa stampa alla legge bavaglio. Così come abbiamo detto no ai bavagli soggettivi negli anni scorsi dobbiamo opporci oggettivi di oggi. Non importa il colore del governo che li mette in atto. E non importa che dietro ci siano intenzionalità o semplice incompetenza”. “Dobbiamo incalzare il governo – propone Giulietti – affinché faccia subito quella ‘bonifica’ dei media che percepiscono abusivamente i rimborsi in maniera da punire i parassiti e salvare chi fa vero giornalismo”. Il problema è che da mesi il governo Berlusconi prima e quello Monti poi promettono – ma solo a parole – di ricostituire un fondo per finanziare quei media giunti oggi allo stremo. Per ora ci sarebbero a disposizione – teoricamente – circa 50 milioni. “Circa 100 meno di quanti ne sono stati stanziati nel 2010” ricorda il rappresentante di Mediacoop. Ma sono soldi virtuali, il fondo di fatto non è stato costituito, non è ancora in discussione in Parlamento nessun progetto di revisione della legge sull’editoria. E la lentezza con cui l’esecutivo procede – o meglio non procede – rispetto a un obiettivo che si era a parole prefissato manda a morte decine di testate. “Violando e alterando gravemente l’articolo 21 della Costituzione Italiana” attacca Giulietti. E questo nonostante lo stesso Monti e il presidente della Repubblica si siano assunti impegni precisi in merito. I consistenti fondi regalati a Radio Radicale sono arrivati di corsa, mentre invece per evitare la chiusura di centinaia di testate non si sta facendo nulla.
«Il giornale nell’ultimo periodo si è addormentato ed ha ceduto copie – ha detto ad un certo punto del suo intervento un combattivo Valentino Parlato – per questo ora dobbiamo diventare più aggressivi, lanciare un giornale di lotta». Giusto. Ma si farà ancora a tempo?
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