Oliver Sacks è professore di neurologia allo Albert Einstein College of Medicine di New York. In questo che è il suo libro di maggior successo sono narrate le storie dei suoi pazienti. Perché un malato mentale non è una diagnosi fredda e standardizzata ma un romanzo da studiare prima di intervenire in un qualsivoglia modo. Nel libro vi sono dunque narrate storie vere, di malattie mentali incredibili, come quella dell’uomo che dà il titolo al testo. Sono racconti spesso drammatici, eppure ti catturano. Questi individui hanno sindromi che noi riteniamo assurde perché essi mostrano di essere deficienti in caratteristiche psichiche talmente indispensabili e talmente naturali che non ne apprezziamo (noi sani) l’importanza e l’eccezionalità, non ci facciamo caso a livello cosciente. Non tutti sanno, ad esempio, che oltre ai cinque sensi abbiamo un sesto senso, quello propriocettivo che consiste nella percezione del corpo, grazie a recettori cellulari presenti nei muscoli, nei tendini e nelle giunture. Le disfunzioni mentali qui elencate ci fanno apprezzare ogni singola caratteristica del nostro sistema nervoso, dal banale (banale un cavolo!) riconoscimento dei volti alla memoria. Sono casi che fanno capire come il corpo sia una macchina complicata e come ogni nostra capacità cerebrale abbia delle connessioni nervose che la controllano. Niente di ciò che vediamo, sentiamo e percepiamo è scontato, anche se non ce ne accorgiamo a livello cosciente. Siamo dunque delle macchine in cui ogni nostra capacità è controllata da programmi insiti nel nostro cervello? Per certi aspetti sì, ma non per questo dobbiamo perderci d’animo.
Tema di questo saggio-romanzo è lo studio dei rapporti tra mente e cervello, studio la cui evoluzione va seguita attentamente perché non può che rivelare sorprese. Fortunatamente viviamo in un periodo in cui gli le ricerche sulle neuroscienze sono intensissime.
In questo saggio si impara a conoscere il nostro cervello attraverso le sue disfunzioni, per far sì che i pazienti del dottor Sacks non si siano ammalati invano. Così come nella biologia la disfunzione di un processo è un indizio per capire il funzionamento alla radice di tale processo, così sono le patologie mentali per la neurologia: indizi per comprendere il rapporto tra mente e cervello. Non tutto, però, è spiegabile, e Oliver Sacks lo ammette umilmente: per molti aspetti il cervello rimane un mistero.
Sono di notevole interesse alcuni casi narrati dove diversi pazienti, in seguito ad assunzione di farmaci, guarivano dai sintomi della malattia ma allo stesso tempo perdevano vitalità e creatività e venivano a mancare tutte quelle loro qualità che le rendevano delle persone migliori. Ci sono dunque casi in cui la malattia è normalità e la normalità è malattia, un bel rompicapo che siamo lontani dal risolvere e che probabilmente è più di competenza filosofica che medica. Si viene quindi a scoprire che l’immenso musicista russo Dmitrij Shostakovich era un malato mentale, aveva una scheggia di granata nel cervello che rifiutava di farsi togliere perché, ogni volta che piegava la testa da un lato, tale scheggia sfiorava la sua corteccia uditiva inducendo melodie che egli riportava su carta. Lo stesso Dostoevskij soffriva di attacchi epilettici che egli, disse, non avrebbe cambiato per niente al mondo per via delle sensazioni ispiratrici che tali attacchi gli provocavano. Cosa sarebbe successo alle opere di questi due artisti se le loro patologie fossero state “guarite”?
In diversi casi si assiste a persone che quando praticano l’arte (es. teatro e musica) appaiono del tutto normali. Infatti, molte delle persone citate nel libro non hanno trovato cura e sono peggiorate, ma qualcuno si è salvato grazie all’arte, praticando il disegno, la musica o altro. Citando nuovamente Sacks:
Il potere della musica, della narrazione e del teatro è di grandissima importanza pratica e teorica. Lo si può osservare anche nel caso di idioti con un QI inferiore a 20 e inabilità e disorientamento motorii di estrema gravità. La musica e la danza possono far scomparire di colpo ogni goffagine di movimento. Con la musica essi sanno tutt’a un tratto come muoversi. I ritardati incapaci di svolgere compiti abbastanza semplici che comportano una sequenza di quattro o cinque movimenti o fasi, sono in grado di compierli con esattezza se lavorano con un sottofondo musicale, perché la sequenza che non riescono a ritenere come schema, riescono invece a ritenerla perfettamente come musica, iscritta cioè nella musica. Lo stesso è riscontrabile – e sorprendente – nei pazienti con un grave danno frontale e aprassia, cioè in un’incapacità di fare, di ritenere i più semplici programmi e sequenze motorii, persino di cammninare, anche se l’intelligenza è perfettamente conservata sotto ogni altro aspetto. Questo difetto procedurale, o idiozia motoria, per così dire, del tutto refrattaria a ogni normale sistema di istruzione riabilitativa, svanisce all’istante se l’istruttore è la musica.
The man who mistook his wife for a hat è insieme romanzo e saggio. E’ scorrevole, chiaro e se ne esce arricchiti. Un testo di interesse medico e letterario, per non dire filosofico, da non perdere.
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