L’imputato di oggi sarà Alfred Stork, all’epoca caporale tedesco delle SS, III Compagnia del 54esimo Battaglione Cacciatori da Montagna – Gebirgs-Jàger. Oggi 90enne, risulta malato ed è per questo che i suoi difensori chiederanno che l’udienza slitti al prossimo anno. Per l’accusa Stork insieme agli altri agì «senza necessità e senza giustificato motivo, per cause non estranee alla guerra e asseritamente dando esecuzione ad un ordine direttamente proveniente dal Fuhrer e con il quale si disponeva, inizialmente, l’uccisione di tutti i militari italiani che avevano prestato resistenza attiva o passiva o che si erano uniti al nemico». All’incriminazione dell’anziano ex caporale si è arrivati dal procedimento a carico di un ex ufficiale, morto nel luglio 2009 mentre era in corso l’udienza preliminare nei suoi confronti.
Stork, quindi, è accusato di aver partecipato alla fucilazione della cosiddetta «Casetta rossa», dove vennero uccisi almeno 117 ufficiali italiani della Divisione Acqui. «Uno degli elementi rilevanti dell’inchiesta è che ricostruisce il senso complessivo della vicenda. Anche sull’ordine di vendetta direttamente impartito da Hitler. Da qui il trattamento riservato agli ufficiali italiani, che furono tutti subito fucilati», spiega De Paolis. «Loro, così come tutti i soldati uccisi, erano a tutti gli effetti prigionieri di guerra e perciò garantiti giuridicamente a livello internazionale. Questo quadro restituisce l’ampiezza del crimine».
Quali sono state le difficoltà maggiori che ha incontrato durante l’inchiesta?
La distanza temporale è stata l’ostacolo principale. È stato difficile trovare testimonianze e materiale probatorio. In più la complessità del reperimento di documentazione militare non ha facilitato il lavoro giudiziario. Ma la collaborazione con le Procure tedesche e più in generale quella tra Italia e Germania ha rappresentato un supporto alle indagini, soprattutto grazie a gesti simbolici come quello del presidente tedesco Rau che nel 2002 si recò a Marzabotto per rendere omaggio alle vittime e presentare le scuse del governo tedesco.
L’opinione pubblica ha mostrato interesse alle inchieste sulle stragi nazifasciste?
Ad eccezione delle comunità locali investite dai fatti, non mi pare che nel paese questi eventi destino particolare interesse. Anzi, mi sembra che vengano percepiti come lontani, appartenenti ad un ormai passato chiuso.
Quali sono le fasi dei processi per le stragi?
Dividere la storia dei procedimenti in tre fasi. La prima corrisponde al periodo del dopoguerra, quando vennero svolti alcuni processi di grande richiamo, come quelli a Kesselring o a Kappler, che si concluse negli anni 60 con la cosiddetta «archiviazione provvisoria». La seconda fase si è aperta a metà anni 90 con la scoperta dell’«armadio della vergogna» e con il processo Priebke. La terza, dal 2002 ad oggi, segna una ripresa dell’attività giudiziaria con nuovi ed importanti processi. I più noti sono Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto-Montesole. Con circa 80 militari tedeschi rinviati a giudizio e 50 condanne.
Qual è stato il peso della Guerra Fredda sulla mancata istruzione dei processi?
Non sono uno storico. Per quello che ho potuto accertare, la Guerra Fredda ha avuto un peso: la Germania sarebbe diventata un alleato delle potenze occidentali, dunque era necessario non infierire con ‘punizioni’ che ne avrebbero penalizzato la ripresa. Sul piano giudiziario non si dimentichi poi il peso della «cultura militare», comune un po’ a tutti paesi. Processare un militare è sempre un’attività particolare, visto che particolari sono le norme con le quali i soldati vengono giudicati. Cosa spinse il generale Alexander ad intercedere in favore del suo vecchio avversario Kesserling se non un’idea «dell’essere militare» che in qualche modo lo legava anche ai suoi nemici? Inoltre anche gli Alleati avevano da farsi perdonare le bombe su Dresda e Amburgo, e le atomiche sul Giappone. Questo complesso di questioni definì un quadro giuridico internazionale «scivoloso», determinando delle «remore» all’iniziativa giudiziaria.
La cosiddetta «giustizia di transizione» incide nella società quando viene articolata in un tempo vicino agli eventi nel quadro di un passaggio da una fase storico-politica ad un’altra. Definirebbe oggi «giustizia di transizione» i processi celebrati in Italia?
No, questi processi rappresentano eventi casuali ed eccezionali. Parliamo di una giustizia che arriva dopo 50-60 anni, lontana da una possibile classificazione di questo genere.
Qual è il suo giudizio sui risultati della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’occultamento dei fascicoli sui crimini nazi-fascisti?
Il fatto che sia stata istituita una commissione è stato positivo, dimostra l’interesse dello Stato e contribuisce ad una riflessione più ampia. Le conclusioni dei lavori, con due relazioni finali contrapposte, non è certo positivo, nel suo complesso.
Le sue inchieste hanno riscontrato responsabilità dei fascisti italiani nelle stragi?
In molti dei procedimenti il ruolo dei fascisti italiani nelle stragi è emerso, accanto a quello dei militari tedeschi. Pensiamo al caso dell’eccidio di Vinca, realizzato anche grazie alle camice nere di Carrara. Tutto ciò però sfuggì al nostro accertamento perché nel dopoguerra sono intervenuti provvedimenti di amnistia, protratti fino al 1966. E quelle responsabilità sono state «superate» nell’ambito della politica di pacificazione nazionale.
La stagione dei processi per le stragi nazifasciste ha contribuito a ridefinire «paradigma memoriale» e «discorso pubblico» in Italia?
Alcuni processi – come quello di Sant’Anna, di Marzabotto-Montesole e questo di Cefalonia – hanno risvegliato convegni, studi e libri. Detto questo, non credo che possano contribuire alla ricostruzione di una memoria storica nazionale né alla formazione di un discorso pubblico. Per questo sarebbe necessaria un’azione didattica, di ricerca e studio.
Per l’Italia si parla di «mancata Norimberga», indicando nell’assenza di un giudizio, anche simbolico, uno degli elementi che ha contribuito all’oblio sui crimini di guerra delle truppe del regio esercito in Africa e Balcani ed all’affermazione del mito autoassolutorio del «bravo italiano»…
Certo svolgere almeno alcuni processi avrebbe avuto un effetto positivo sul paese. Credo che il timore di essere associati ai nazisti abbia contribuito all’oblio calato sulle nostre colpe. E dico questo nonostante le forti differenze tra la condotta dei militari tedeschi e quella degli italiani. I primi operavano secondo una precisa ideologia razzista e di dominio dell’Europa teorizzata ai massimi livelli dello Stato, di cui la violenza era strumento. Per l’Italia si può parlare di misure d’eccezione e occasionali. Ma proprio per questo si dovevano individuare, sanzionare e dimensionare per evitare esagerazioni o negazioni. Ci avrebbe evitato l’accusa dei paesi ex occupati di non aver processato i nostri criminali e di non essere perciò pienamente titolati a processare quelli tedeschi per le stragi in Italia.
Sarà possibile aprire delle inchieste sulle stragi compiute dagli italiani all’estero ?
Siamo fuori tempo massimo per quelli relativi all’Africa. Ci potrebbero essere possibilità per quello le vicende dei Balcani. È possibile, ma lo ritengo improbabile.
Come valuta il pronunciamento della Corte dell’Aja sull’immunità degli Stati che permette alla Germania di non rispondere dei risarcimenti per le stragi nell’Europa occupata?
La Corte dell’Aja ha perso un’occasione per affrontare un problema del futuro. Purtroppo i crimini di guerra oggi, come tutti possono vedere, non sono spariti. E la risposta degli Stati non può essere sottrarsi alla giurisdizione. Dove sono di stanza eserciti regolari i soldati impegnati non compiono azioni belliche di propria iniziativa ma rappresentano uno Stato, quindi l’aspetto formale dell’immunità dalla giurisdizione mi sembra anacronistico. Mi auguro che questa pronuncia rimanga unica nel suo genere.
A fronte dell’imposizione delle politiche del rigore di marca tedesca, la Grecia ha sollevato la questione dei mancati risarcimenti di guerra per l’occupazione nazista.
Stante che occorre porre un limite di tempo, fare i conti col passato è la soluzione migliore, non solo dal punto di vista storico o giudiziario ma anche da quello dei rapporti sociali. In un periodo di crisi come l’attuale, è naturale che le questioni rimaste aperte tornino ad essere discusse. Per questo ribadisco la necessità che gli Stati riconoscano le responsabilità del passato, per poi poter chiedere conto delle responsabilità altrui.
Cosa le lascia la sua decennale attività di inchiesta attraverso una delle pagine più drammatiche della nostra storia recente?
Sul piano personale, trattare questo genere di avvenimenti è stata un’esperienza di enorme arricchimento umano e morale. Sul piano professionale lascia il convincimento della necessità per ognuno, a tutti i livelli, specie se si è funzionari dello Stato, di compiere il proprio dovere fino in fondo. E di farlo sentendo che ciò rappresenta un’esigenza imprescindibile in una società che si vuole civile e che non si rifugi nella deresponsabilizzazione.
*Autore del volume Criminali di guerra italiani, Odradek 2011 e L’occupazione italiana dei Balcani, Odradek 2008
Certosa di Farneta (60 vittime, 1 imputato condannato all’ergastolo e 2 deceduti);
S.Anna di Stazzema ( 500 vittime 10 imputati condannati ed altri 10 deceduti);
Falzano di Cortona (16 vittime, 2 imputati condannati all’ergastolo);
Civitella, Cornia, San Pancrazio (oltre 200 vittime, 16 imputati, 1 condannato ergastolo e 15 deceduti);
Marzabotto-Montesole (800 vittime, 21 imputati, 10 condannati all’ergastolo e 11 deceduti);
Branzolino-S.Tomè (10 vittime, 1 imputato condannato all’ergastolo):
San Polo (65 vittime, 2 imputati, 1 assoluzione, 1 deceduto);
Montecatini -Grotta Maona (4 vittima, 1 imputato condannato all’ergastolo in I° grado assolto in appello);
Casalecchio sul Reno (20 vittime, 1 imputato deceduto)
San Terenzo-Vinca (350 vittime, 11 imputati, 9 condannati all’ergastolo, 1 assolto 1 deceduto);
Padule di Fucecchio (176 vittime, 3 imputati condannati all’ergastolo, altri 2 indagati uno deceduto l’altro archiviato per infondatezza);
Stia, Vallucciole, Mommio (prov.Arezzo)-Monchio, Sussano, Cervarolo (prov. Modena-Reggio Emilia) (350 vittime, 14 imputati, 7 condannati all’ergastolo, 5 deceduti, 2 assolti);
Chiusa Pesio (14 vittime, 1 imputato deceduto)
Borgo Ticino (12 vittime, 1 imputato condannato all’ergastolo).
Processi in corso
Procura militare di Verona Strage di Fragheto-Casteldelci (50 vittime, 3 imputati, altri 8 indagati deceduti);
Procura militare di Roma, strage di Cefalonia (117 vittime, 1 imputato).
da “il manifesto”
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Historicus
Il PM De Paolis ha detto a proposito degli ufficiali fucilati dai tedeschi: «Loro, così come tutti i soldati uccisi, erano a tutti gli effetti prigionieri di guerra e perciò garantiti giuridicamente a livello internazionale”
Di quale guerra si tratti lo dovrebbe spiegare perchè al momento dei fatti tra Italia e Germania NON esisteva alcuno Stato di guerra Dichiarato.
La Dichiarazione di guerra alla Germania avvenne infatti SOLO il 13 ottobre successivo e pertanto come fa il PM a qualificare i nostri Ufficiali PRIGIONIERI DI GUERRA con tutte le relative garanzie ?