La mostra ”Il lungo viaggio della popolazione palestinese rifugiata”, in corso presso il Museo Diffuso della Resistenza di Torino, è una mostra di eccezionale valore morale, culturale e politico. É una storia di verità, basata su una quantità notevole di fotografie straordinarie e su alcuni video, della epopea del popolo palestinese, cacciato dalla sua terra, derubato delle sue case e delle sue proprietà, una storia iniziata il 29 novembre del 1947 con la risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU.
Si è scatenata contro la Mostra una campagna di stampa violenta e mendace, alimentata da dichiarazioni della Comunità Ebraica di Torino che sembrava addirittura intenzionata a chiedere la chiusura della mostra. La direzione del Museo si è prodigata e contraddetta in dichiarazioni, secondo le quali sembrerebbe che la mostra sia arrivata a Torino per caso.
Ancora una volta a Torino, dopo l’esperienza di Settembre Musica e di Torino Danza si è fatto strame del principio dell’autonomia della cultura, come documentato nel dossier di ISM-Italia all’indirizzo www.ism-italia.org/?p=4267.
Per tener conto delle proteste della Comunità Ebraica di Torino era stata anche organizzata (e poi annullata) una tavola rotonda su L’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA), un titolo generico che non ne lascia neanche capire l’oggetto, se non fosse per i nomi dei relatori, il sindaco della Città di Torino, Piero Fassino, Filippo Grandi, già Commissario Generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’impiego dei rifugiati palestinesi del Vicino Oriente (UNRWA); Claudio Vercelli, ricercatore di storia contemporanea presso l’Istituto di studi storici “Gaetano Salvemini” di Torino, indicato, secondo il presidente del Museo, dalla Comunità Ebraica di Torino. Modera l’incontro: Lucia Goracci, inviata a Gaza per RaiNews24, introduce: Pietro Marcenaro, Presidente del Museo Diffuso della Resistenza. Ma un ultim’ora della direzione del Museo informa testualmente: “La tovala (sic!) rotonda è stata rinviata Il Museo comunica che, per ragioni di ordine organizzativo, la tavola rotonda sull’attività dell’UNRWA e sul l’assistenza ai rifugiati, prevista per il 2 dicembre alle ore 18, e stata rinviata. Si comunicherà la nuova data appena possibile.”
Una ulteriore conferma del degrado morale, culturale e politico della città di Torino.
A conferma della violazione del principio dell’autonomia della cultura e, contemporaneamente, del servilismo delle istituzioni politiche e culturali torinesi verso l’arroganza della Comunità Ebraica, recentemente, all’ingresso delle sale della mostra, è stato affisso questo comunicato:
«La mostra, che il museo ospita, che è stata inaugurata a Roma nei locali della Camera dei Deputati, è stata curata e organizzata dall’UNRWA. Dell’UNRWA i contenuti della mostra riportano lo sguardo e il punto di vista. È giusto che i visitatori siano informati che la Comunità Ebraica Torinese, che è tra i soci del Museo e che ne ha sempre costituito una componente viva ed essenziale, ha espresso una indignata protesta contro i contenuti della Mostra criticandone il carattere unilaterale, fazioso e pregiudizialmente anti-israeliano. Di fronte a questo contrasto il Museo non può che proporsi come spazio d’ascolto, di dialogo e di comprensione tra posizioni diverse. L’amicizia per Israele e la difesa del suo diritto alla sicurezza e il riconoscimento del popolo palestinese a un proprio Stato non si escludono l’una con l’altro. È bene ricordarlo in un momento in cui il terrorismo rinnova la sua minaccia in Israele e in tutto il Medio Oriente».
Il comunicato è, con tutta evidenza, il frutto di un compromesso tra il Museo e la Comunità: noi non chiediamo la chiusura della mostra, ma il Museo deve informare i visitatori della nostra indignata protesta. Nulla viene detto sulle ragioni per le quali la mostra avrebbe un carattere unilaterale, fazioso e pregiudizialmente anti-israeliano. Si tratta di accuse gravissime che, nella loro gratuità, vanno respinte. Dato e non concesso che la comunità ebraica torinese abbia il diritto di interferire con una iniziativa culturale che deve godere, per definizione, di piena autonomia, sta a questa stessa comunità l’onere della prova. L’onere di provare appunto la faziosità e l’unilateralità dei contenuti della mostra. Un compito forse impossibile da assolvere perché la verità – per chi vuole vederla – è sotto gli occhi di tutti. Ma per questo non è affatto necessaria una tavola rotonda. Questa testimonia piuttosto la subalternità delle istituzioni politiche e locali nei confronti della comunità ebraica. E a queste ci rivolgiamo per conoscere le ragioni per le quali lo Stato di Israele dovrebbe godere – unico al mondo – di una ‘extraeticità’, un diritto a sottrarsi alle sue responsabilità nei confronti di un popolo che ha estromesso dalle sue terre a partire dal 1948. Questa extragiuridicità non risulta sancita da nessuna norma di diritto, nazionale o internazionale.
* Sezione italiana dell’International Solidaruty Movement
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