E’ una delle fotografie più cliccate e riprodotte quando si parla di soluzione del conflitto israelo-palestinese. Una soluzione che, come la foto, dovrebbe partire da un incontro e da un accordo tra i palestinesi e gli israeliani. Una soluzione quasi mistica. Peccato che quella foto che ritrae due bambini abbracciati di spalle con Gerusalemme sullo sfondo, uno col copricapo ebraico e l’altro con quello arabo, sia falsa.
I due bambini ritratti sono infatti entrambi ebrei israeliani e anche l’abbraccio è stato la conseguenza dell’opera di una fotografa professionista.
L’ha confessato – con decenni di ritardo – la sua autrice, la fotogiornalista statunitense Ricki Rosen, autrice dello scatto realizzato nel 1993, a tre mesi dagli storici – e truffaldini, e inattuati – accordi di Oslo. Una foto artefatta costruita con l’intenzione di rappresentare l’intesa tra le due parti e gli sviluppi tra le future generazioni.
Nel frattempo gli accordi di Oslo sono diventati carta straccia e milioni di palestinesi, bambini compresi, hanno vissuto sulla loro pelle l’inasprimento dell’apartheid e dell’occupazione israeliana. Ma la foto ha continuato a girare, a rimbalzare di pagina in pagina, di sito web in sito web, di profilo facebook in profilo facebook.
“Era un ritratto simbolico – ha raccontato al quotidiano Haaretz la Rosen nel tentativo di giustificare il suo lungo e colpevole silenzio – e non ho mai supposto che fosse una foto documentaria”. Rosen ha raccontato che “l’opera” le fu commissionata da ‘Maclean’s’, un settimanale canadese, il cui art-director fu molto chiaro nella sua richiesta: un bambino in kippà e l’altro con la kefiah ripresi di schiena che camminano, con sfondo Gerusalemme, verso una lunga strada che doveva simbolizzare “la strada per la pace”. Una foto all’insegna della simbologia e dell’allegoria.
Così la fotografa chiese al suo amico e vicino di casa Haim Shapiro (un giornalista del ‘Jerusalem Post’) se suo figlio Zvi fosse disponibile per interpretare il bambino con la kippà in testa. E Shapiro padre accettò. Non era invece così facile trovare e coinvolgere un bambino palestinese (dimostrazione esplicita del carattere forzato e artefatto dell’istantanea in programma) e così fu un bambino ebreo, il piccolo Zemer Aloni, a mascherarsi da arabo.
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