Prendendo a prestito da Ovidio il suo lamento su Tereo, potremmo dire oggi “O dei, che tenebra fitta c’è nelle menti dei mortali! Proprio mentre ordisce un crimine Boris è considerato buono e la colpa gli procura elogi”.
Oggi, fortunatamente, è difficile trovare qualcuno che abbia voglia di elogiare Boris Eltsin per la compartecipazione all’affossamento dell’Urss; anche i suoi padrini di allora, sembra preferiscano tacere. Quello che oltreoceano gli si era detto di fare lo ha fatto. Chiuso. Anche se la sua carriera “americana” era iniziata un po’ prima, grosso modo all’ombra della perestrojka gorbačëviana, il ruolo primario a lui universalmente riconosciuto è quello del “salvatore della patria” che aveva sventato il “putsch”, il “golpe conservatore” del 19-21 agosto 1991. Da allora sono passati 24 anni; una generazione è diventata adulta. Una generazione che, forse, appena qualche volta, di sfuggita, ha sentito RAI Storia parlare di Unione Sovietica, dei “crimini” commessi dai comunisti contro il popolo russo, della carestia “imposta coscientemente” per provocare il “genocidio” del popolo ucraino e poi, finalmente, della distensione e dell’apertura all’Occidente, che hanno dischiuso la via alla vittoria democratica, raggiunta definitivamente nell’agosto del ’91 grazie al buon Boris, l’unico “comunista” da elogiare che, ravvedutosi, ha dapprima impedito ai “conservatori” di “destra” di fermare la corsa gorbačëviana alle riforme di mercato, ha schiacciato per sempre la “dittatura comunista”, distruggendo sedi e strutture del PCUS e, pochi mesi dopo, nella sbornia della Belovežskaja Pušča” insieme ai leader di Bielorussia e Ucraina, Stanislav Šuškevič e Leonid Kravčuk, ha disfatto a tavolino lo spettro, l’Unione Sovietica, che da oltre 70 anni stava lì a dire al mondo capitalista “ricordati che devi morire”, che il tuo regno non è per sempre, che la tua è solo una fase nella storia dell’umanità.
Dunque, 24 anni sono passati da quel 21 agosto, allorché finì penosamente il tentativo, a dir poco goffo, dei membri del GKČP (Gosudarstvennyj Komitet po Črezvyčajnomu Položeniju), il Comitato statale per lo Stato d’Emergenza, di frenare la rotta di collo eltsiniana e gorbačëviana verso il disfacimento dello Stato plurinazionale fondato sull’Unione di 15 Repubbliche socialiste, la messa fuori legge del Partito Comunista e la trasformazione delle più che ventennali riforme economiche “liberali” in aperta restaurazione del mercato. Se fin da subito il ruolo di Tereo-Boris è stato aperto e plateale, ancora oggi qualcuno disserta su quello dell’ultimo Presidente dell’Unione Sovietica – se Gorbačëv sia stato davvero “fatto prigioniero” dai gekačepisti nella sua dača a Foros, in Crimea, o se invece abbia tenuto fino all’ultimo i piedi su due staffe, aspettando di vedere come sarebbe finita – quando invece le linee fondamentali della sua svolta erano già state apertamente definite sin dal 1985 e ufficializzate al XXVIII Congresso del PCUS nel 1990. Del resto, come scrisse già pochi anni dopo l’ex Presidente del Soviet supremo dell’Urss (poi arrestato insieme ai gekačepisti) Anatolij Lukjanov, <un piano contro i “golpisti”, precedentemente elaborato, nome in codice “Piano X”, era già nella cassaforte della Casa Bianca>. L’ambasciatore USA Matlock, il segretario di Stato Baker, il presidente Bush ne avevano informato sia Eltsin che Gorbačëv con largo anticipo. Proprio in questi giorni, in un’intervista a Segodnija, Matlock ha detto che gli USA sapevano da vari mesi ciò che sarebbe accaduto. Certo, per averlo messo a punto. E di ciò basti.
Nei giorni scorsi, sul sito di Sovetskaja Rossija, l’osservatore Dmitrij Agranovskij scriveva che <24 anni dopo la sconfitta del GKČP, Vladimir Jakovlev, fondatore del quotidiano Kommersant, uno dei simboli principali della nuova epoca vittoriosa, invitava i russi a lui più vicini per condizione sociale a fuggire dal paese> perché, a suo dire, in Russia si sta andando velocemente verso una gravissima crisi sociale. <Se ne avete la possibilità> scriveva Jakovlev <andatevene. Capisco che chi oggi ha 25-30 anni non percepisca un tale scenario. Anch’io, a quell’età, non lo percepivo, finché un giorno, tornando dalle vacanze, non mi accorsi che accanto a me, fermi al semaforo rosso, c’erano carri armati e altri mezzi militari>. Pochissimi, in realtà e guidati da equipaggi sonnolenti e sorridenti, come ben sa chi in quei giorni era a Mosca. Un bel strano “golpe”!
Come ricordava ieri il pubblicista del PC russo Jurij Emeljanov, i manuali di storia delle scuole russe, a dispetto dei 24 anni trascorsi, continuano tutt’oggi a scrivere di “putsch” a proposito dei fatti del ’91, associandoli così a tentativi fascisti (i noti putsch della storia tedesca degli anni ’20) di impadronirsi del potere da parte di forze minoritarie antistatali. Ma negli appelli del GKČP (il piano per la cui costituzione era già stato discusso da Gorbačëv nel marzo precedente) non si parlava di abbattimento del potere sovietico: al contrario, si chiamava a difesa dell’assetto statale sovietico e si informava il popolo dell’intenzione di disfare invece quelle strutture create negli ultimi due anni in violazione della Costituzione sovietica. I membri del GKČP – scrive Emeljanov – non si apprestavano a impossessarsi del potere, perché già occupavano posti di primo piano: vice Presidente dell’Urss, Primo ministro, Ministro della difesa, Ministro degli interni, Presidente del KGB, ecc.
E ora un’altra citazione da Interfax di questi giorni, scrive ancora Agranovskij: <I russi sono propensi a considerare il “putsch” del 1991 una tragedia per il paese; tuttavia, secondo i sondaggi del Centro Levada, non possono valutare in modo univoco se la Russia abbia poi seguito una strada giusta o meno>. Nel dettaglio, i risultati del sondaggio condotto a fine luglio dicono che il 41% (era il 33% due anni fa) degli intervistati giudica tragici e disastrosi per il paese e il popolo gli avvenimenti del 1991. Il 32% ritiene che il “putsch” non sia stato che un episodio della lotta per il potere. Il 10% considera il “putsch” una vittoria della rivoluzione democratica. Rispetto al 2014, è scesa dal 47 al 37% la percentuale di chi pensa che, dopo il ’91, il paese si sia mosso su una strada sbagliata e il giudizio opposto è dato dal 34% degli intervistati. La percentuale più alta (44%) di chi pensa che il paese abbia scelto la giusta direzione di sviluppo, si rileva ovviamente tra i russi con elevato status sociale. D’altro canto, secondo i sondaggi del VTsIOM, oggi il 73% dei russi guarda con avversione agli USA: erano il 25% nel 2008.
Dunque, gli obiettivi principali per cui, parafrasando Lenin “gli antibolscevichi si erano battuti”, sembrano sfumare alla luce della situazione economica e politica attuale. La stessa definizione usata da Interfax, scrive Agranovskij, per dire che le cose hanno preso una piega sbagliata dopo il “putsch”, rappresenta un tentativo di nascondere il fatto che la strada sbagliata era stata imboccata prima del 1991 e che nell’agosto di quell’anno fu invece fatto <un tentativo di invertire il corso di chi puntava tutto sull’Occidente, sull’eliminazione dell’industria e della sovranità nazionali, per mettersi alla coda dell’Occidente>, anche se oggi ognuno mira a incolpare di tutto ciò i propri avversari politici>. Evidentemente, dice Agranovskij, gli americani si sono spinti troppo in là, <con la minaccia alla sovranità e alla stessa esistenza della Russia, così da pregiudicare la propensione benevola dei russi verso l’America. Organizzando il colpo di stato in Ucraina, gli USA hanno posto il potere di fronte a tali condizioni, su cui non è possibile concordare, non è possibile capitolare con onore, non è possibile arrendersi serbando la faccia. E non appena abbiamo cercato di far valere i nostri diritti, si è chiarito che la tragedia non era stata soltanto negli avvenimenti dell’agosto 1991, bensì in tutti i 24 anni seguenti. Specchiandosi nei fatti di Majdan, il nostro paese è inorridito. Ultimamente, si leggono spesso nei media “liberal” servizi abbastanza isterici che valutano l’epoca attuale come “una vittoria strisciante del GKČP”. Detto da loro…!>.
Come ha scritto recentemente il deputato alla Duma per il PC russo Vladimir Pozdnjakov <Nonostante tutto, il potere continua a difendere gli interessi degli oligarchi. A chiunque entri nei negozi non c’è bisogno di spiegare quale sia la situazione del paese>. In effetti, a fronte di oltre 20 milioni di persone considerate ufficialmente sotto la soglia di povertà, di quasi altri 30 milioni che arrivano a malapena a fine mese e di super ricchi il cui numero si assottiglia in maniera inversamente proporzionale al crescere dei loro patrimoni, i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti in media, rispetto al 2014, dal 22 al 49%; il rublo cade e <non ci sono riserve valutarie per sostenerlo; ma il governo studia ogni modo per non indennizzare le pensioni dall’inflazione e non mette alcun freno all’esportazione di capitali> (52 miliardi di $ nei primi sei mesi dell’anno), scrive Pozdnjakov. L’imposta progressiva sul reddito è normale prassi internazionale, ma <il nostro governo liberale continua a rifiutarla, creando un paradiso fiscale per i milionari. Oggi, la scala uniforme di imposta sul reddito maschera in realtà una scala regressiva di contribuzione: più sei povero, più il tuo reddito è tassato. Alla Duma il PC insiste per l’introduzione di una tassa sul lusso; i ministri liberali vi si oppongono>.
I risultati sociali di 24 anni dal “salvataggio della patria” da parte di Tereo-Boris sono evidenti. Quasi a celebrare l’anniversario, in Ucraina, a Černigov (un centinaio di km a nord di Kiev) proprio in questi giorni è stato restaurato e rimesso al suo posto un monumento a Lenin: il primo dopo tutti quelli che i democratici di Pravyj sektor hanno buttato giù.
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