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Alla ricerca dei Paesi Baschi

Il testo che presentiamo in traduzione dal castigliano (http://www.javierortiz.net/ant/otrasvoces/sarrionandia.htm) (in basco http://eibar.org/blogak/iturri/354) è un estratto dall’articolo “Alla ricerca dei Paesi Baschi”, che l’intellettuale basco Joseba Sarrionandia pubblicò sul quotidiano Euskaldunon Egunkaria, nel 1998, in concomitanza con la tregua di Eta. Si tratta di uno dei suoi rari interventi, non direttamente letterari, recuperabili in spagnolo. Alcuni passaggi poco chiari sono stati risolti con la consulenza dell’amica Ainhoa Ayerbe Zabaleta. Nel testo, ogni volta che l’autore si riferisce ai Paesi Baschi parla di Euskal Herria, ovvero l’insieme delle provincie che si sentono basche, comprese quelle francesi e la Navarra, e solo in un caso parla di País Vasco, come il mondo mediatico e politico spagnolo tende a definire la Comunidad Autonoma Vasca che comprende solo tre dei sette territori che compongono Euskal Herria. 
Il testo risente del momento storico in cui fu scritto, ma allo stesso tempo, afferma un’idea di autodeterminazione e nazionalismo che, ci sembra, ancora valga la pena sia discussa.
Joseba Sarrionandia Uribelarrea è tra i più noti e importanti intellettuali e poeti contemporanei baschi. Arrestato e condannato a 28 anni di carcere nel 1980 perché sospettato di essere un militante di Euskadi Ta Askatasuna, scappò rocambolescamente dalla prigione insieme al detenuto Joseba Picabia nel 1985. Da allora vive e scrive in clandestinità.
Per le notizie bio-bibliografiche in italiano rimandiamo  al sito http://www.inventati.org/irrintzi/articoli/Politica/Sarrionandia.htm, che ci pare offra una delle sintesi più complete sull’autore.
In italiano attualmente troviamo solo due suoi titoli, entrambi tradotti da Roberta Gozzi. Il primo, il romanzo “L’amico congelato” (Lagun izoztua) gli valse nel 2001 il Premio nazionale della Critica di narrativa in lingua euskera, assegnato dall’Associazione Spagnola dei Critici Letterari (il libro è scaricabile gratuitamente sul sito della casa editrice Libe http://www.libedizioni.it/autore/joseba-sarrionandia/); il secondo è la raccolta di racconti “Lo scrittore e la sua ombra”, http://www.tranchida.it/sec_new.php?op=viewseries&artid=465%25ss879%25ss466&page=2.

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Alla ricerca dei Paesi Baschi 

Autodeterminazione 

La parola “autodeterminazione” è alquanto bizzarra. Sembra sia un diritto naturale, però i diritti non sono naturali, quanto piuttosto conquiste delle persone, conseguite con sangue, dolore e lacrime. Se non ci identificassimo come tali e non avessimo il desiderio collettivo di dotare i Paesi Baschi di una struttura politica, noi baschi non avremmo il diritto all’autodeterminazione. Ovvero, non avremmo diritto all’autodeterminazione se non ci autodeterminassimo quotidianamente.

In ultima istanza, la nazionalità non si può basare su nient’altro che non sull’autoidentificazione o l’autodefinizione. Chiunque si senta basco lo è e basta. In tutti i centri politici mondiali, l’Antropologia e la Storia hanno fatto un enorme lavoro per raccogliere, modellare e reinventare fonti storiche e culturali dei popoli. Non bisogna negare la creatività e la saggezza degli antropologi e degli storici, ma risulta assurdo lasciare gli attuali problemi politici nelle mani dell’erudizione speculativa, dal momento che, nel pieno del secolo XX, le persone sono sufficientemente colte e intelligenti.

Lasciamo quelli di El País ai loro racconti millenaristi e ai miti che inventano per demistificare i desideri dei baschi. Perché siamo baschi? Per una semplice ragione: perché ci sentiamo parte di una comunità invisibile e inaudita chiamata Paesi Baschi, invece di sentirci parte delle comunità chiamate Spagna o Francia.

Il principio democratico è semplice, ma lo capiranno i democratici spagnoli o francesi. Storicamente gli spagnoli e i francesi, avendo la possibilità di essere spagnoli e francesi, non hanno inteso come possano esistere quelli che scelgono di essere un’altra cosa. Fiammingo? Portoghese? Bretone? Quechua?  Algerino? Tagalo? Saharaui? Basco? Lo vedi! Dovrai fornire una quantità di spiegazioni allo spagnolo, allo spagnolo verace, ovvero, uno spagnolo normale, per fargli capire che tu non sei spagnolo. Com’è possibile, povero tagalo! – ti dirà lo spagnolo comune – scegliere l’anormalità potendo scegliere la normalità? Molte volte, in quanto baschi, verremmo presi per stupidi, perché non è normale che potendo fare un grande falò si preferisca accendere un fuocherello

L’autodeterminazione non è una formula nazionalista, dal momento che il vero nazionalista potrà ammettere unicamente una nazione unita e indipendente. Gli indipendentisti devono riuscire a integrare l’unamunismo in questa formula politica comune che dobbiamo trovare come popolo. L’autodeterminazione non è solo una formula nazionalista. L’autodeterminazione, per dirlo in parole povere, consiste nell’organizzare la democrazia dal basso verso l’alto. Fino a questo momento a noi baschi hanno imposto dall’alto tutti i regimi, incluso questa democrazia spagnola. L’autodeterminazione è una formula democratica non nazionalista; con l’autodeterminazione le due tradizioni dei Paesi Baschi, l’indipendentismo come il “dipendentismo”, si pongono sullo stesso piano.

Comprenderanno, per esempio, i democratici del PSE questa ovvietà? O continueranno a agitare i loro cartelli nascondendosi sotto l’ala di Millán-Astray? Con l’atteggiamento difensivo nei confronti dell’autodeterminazione, e senza le scuse utilizzate fino a questo momento, si vede bene chi è il vero nazionalista intransigente. I nazionalisti baschi in generale, e questo credo sarà dimostrato con il tempo, sono dei nazionalisti dilettanti in confronto a tanto spagnolismo pseudo-universale. 

Il fuoco della Repubblica basca 

Autodeterminazione non vuol dire che come baschi conseguiremo un unico stato nazionale formato da sette province. Noi baschi, quelli che abbiamo in mente questa Repubblica basca (Euskal Errepublika), dovremo cominciare a costruirla dal basso verso l’alto. Nella maggior parte delle province basche predomina l’identificazione spagnola, e questo non si cambia da un giorno all’altro. Secondo me ciò in cui dobbiamo riuscire è che gli spagnoli e i francesi si accorgano che esiste una comunità chiamata Paesi Baschi, e che rispettino questa comunità in termini culturali e politici, e che quindi noi baschi possiamo avere il diritto di scegliere le strutture politiche corrispondenti.

Il separatismo dei Paesi Baschi, deriverà dalle decisioni dei baschi stessi, oppure, nelle zone  dove prevale il “dipendentismo” verso Francia e Spagna, si dovrà rispettare questa situazione e noi dovremo continuare a lavorare per la territorialità e l’indipendenza, così come i baschi favorevoli alla Spagna dovranno rispettare il progetto di una Repubblica basca indipendente…

Oggi il nazionalismo del diciannovesimo secolo non ha senso. Non credo che l’intenzione dei baschi sia la creazione di un deforme stato nazionale del tipo della vecchia Spagna o Francia. Con la costituzione dell’Europa stanno cambiando le forme di sovranità. Nel contesto europeo risulta complicato, però ogni volta sarà più naturale e possibile la costruzione dei Paesi Baschi come di una comunità nazionale.

Io credo sarebbe importante che i Paesi Baschi, nel loro piccolo, fossero capaci di accendere un loro proprio fuoco in Europa. Nel mondo attuale, con le forti tendenze alla globalizzazione e all’uniformazione, si stanno spegnendo le luci dei piccoli popoli. Ogni volta che si perde uno di questi modi propri di essere persona, perdiamo qualcosa come cittadini del mondo, la vera cultura universale perde qualcosa.

Faremo un favore al mondo se, invece di attizzare il fuoco dei grandi, accendiamo e manteniamo il nostro proprio fuoco, questo se come popolo saremo capaci di creare valori universali. 

Guerra e pace 

Gli ultimi vent’anni hanno rappresentato un periodo oscuro per i Paesi Baschi, perché con la fine del franchismo sono fallite le speranze politiche e perché, successivamente, con la guerra e la pace, questo fallimento si è perpetrato.

Si è imposta come democratica una Costituzione che i Paesi Baschi non approvarono e che aveva come garante Millán-Astray. Sotto la sua ala si schierarono alcuni che con manifesti e cartelli che inneggiavano alla democrazia.

Ma non è solo questo. Con lo Statuto derivato da questa Costituzione, il PNV [Partito nazionalista basco] e i suoi seguaci chiamarono Autonomia dei Paesi Baschi (País Vasco) il regime di Vascongadas,   riducendo il popolo basco ad una delle sue parti.

Già lo aveva detto Fernando Pessoa: “La civiltà consiste nel dare a qualcosa un nome che non è il suo, e poi sognare sul risultato…”

Continuò la lotta armata, perché doveva continuare. Perché molti baschi, di fronte all’imposizione e alla repressione, non trovarono nessun’altra strada se non quella della resistenza.

In questi vent’anni di “guerra e pace” si sono fatte più fanfaronate, crudeltà e insensatezze di quelle che si possono raccontare. L’ottimista era mal informato o sembrava stupido, mentre il pensiero critico per molto tempo è sprofondato nel pessimismo.

In questi vent’anni, in generale, noi baschi non abbiamo fatto altro che perpetrare gli errori. Non siamo stati capaci, né gli uni né gli altri, di proporre valori universali per il nostro popolo.

Il nostro compito, quello di tutti i baschi, sia degli indipendentisti sia dei “dipendentisti”, consiste nel tirare conclusioni su quello che è accaduto, affinché non si ripetano gli errori e i danni. I partiti e i movimenti sociali che si sono presentati alla riunione di Estrella-Lizarra pare abbiano tratto conclusioni. Successivamente, Eta ha dimostrato umiltà e onestà senza pari conferendo il protagonismo al popolo e  mettendosi da parte.

Senza dubbio è stata l’azione più bella ed efficace compiuta da molto tempo. Da parte loro, le Forze armate di Spagna e Francia non hanno decretato la tregua e non hanno intenzione di disarmarsi; inoltre, hanno dalla loro diversi decreti che gli permettono di per andare contro il nostro diritto di baschi ad organizzare politicamente il nostro popolo. Ma questo è il male minore. Nella misura in cui i partiti politici e i movimenti sociali acquisiranno protagonismo si compirà il vecchio motto della militanza: “Diamo tutti qualcosa, perché qualcuno non debba dare tutto”. Per il futuro non abbiamo altro se non un consiglio di saggezza minima: “Aspettarsi il meglio, prepararsi al peggio”.

La fine dell’estate ha gettato una nuova luce all’orizzonte del nostro popolo. È arrivato il momento per noi baschi di mostrare agli altri la nostra forza, sincerità e unità. È nata un’enorme speranza, ma che questa speranza non sia il desiderio del popolo che vogliamo, bensì il desiderio di fare il popolo che vogliamo.

                                                                                      (trad. dal castigliano A. Reccia)

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