Fra il 19 e il 21 di giugno, diverse realtà politiche italiane, Noi Restiamo, Genova City Strike, Rete dei Comunisti, Militant, CUMA e Cortocircuito, Zenti Arrubia hanno ospitato una serie di iniziative dal titolo “Catalunya Ara!” (Catalogna ora!), per parlare del processo politico indipendentista della Catalogna, che avrà come prossima tappa il referendum unilaterale per l’indipendenza il 1 ottobre. In questa quattro giorni di iniziative, partita a Torino e proseguita a Genova, Bologna e Roma, hanno partecipato due ospiti direttamente da Barcellona, un rappresentante della SEPC (Sindacato degli studenti catalano) e della CUP (candidatura d’unità popolare). Pubblichiamo qui l’intervista realizzata da Radio Città Aperta a Icar Iranzo (SEPC) e a Mireia Vehì, deputata della CUP.
Buon pomeriggio a tutti. Abbiamo con noi ospiti oggi Mireia Vehì, deputata della Cup al Parlamento catalano e Icar Iranzo della Sepc. E’ con noi anche Marco Santopadre, della Rete dei Comunisti. Buon pomeriggio a tutti.
Buon pomeriggio.
Con loro vogliamo parlare di cosa sta accadendo in Catalogna e anche cosa si può pensare che accadrà, in previsione del referendum sull’indipendenza che è stato annunciato per il primo ottobre. Icar, puoi farci un quadro intanto della situazione?
Certo. Innanzitutto grazie per averci invitato. Rispetto a quello che è il processo di indipendenza della Catalogna dobbiamo pensare che è un processo che inizia, più o meno, nel 2009, con le consultazioni popolari organizzate in diversi paesi che hanno fatto agglutinare le forze politiche pro-indipendentiste e le hanno portate all’avanguardia politica. Ha avuto anche un altro elemento fondamentale che è stato la soppressione dell’Estatut, la legge sull’autonomia più importante in Catalogna, da parte della Corte Costituzionale che è una Corte influenzata politicamente dal governo. Tutto questo più la gestione economica dello stato spagnolo negli ultimi anni, dall’inizio della crisi, questa gestione economica neo-liberale, ha portato buona parte del popolo catalano a identificare lo stato spagnolo come un soggetto oppressore, un ente, uno stato centralizzatore, che minaccia i diritti sociali, i diritti del popolo e tutto questo per assicurare i privilegi delle èlite statali, delle borghesie spagnole e anche degli establishment ed èlite europei. Dal 2010 a oggi, ogni 11 settembre, 1,5-2,5 milioni di persone sono scese in piazza in diversi modi per chiedere ai propri rappresentanti politici catalani una risposta. Questo vuol dire che più o meno un 20% della popolazione del nostro paese è stata mobilitata in maniera massiccia. Tutto questo terremoto politico ha fatto muovere l’establishement politico catalano, che si è visto costretto a tenere il passo con questa società mobilitata e ha dovuto cambiare buona parte dei suoi discorsi, della sua retorica e anche delle sue posizioni politiche che, storicamente sono sempre state catalaniste ma non indipendentista o più orientate al compromesso con lo stato per ottenere qualche migliora più o meno sostanziale. A tutto questo noi riteniamo che i lavoratori catalani sono stati la forza motrice di questo processo che sebbene la borghesia ha avuto, e ancora ha, la capacità di influire non riesce a controllare tutto questo movimento politico popolare anche perché l’alta borghesia catalana sviluppa i suoi rapporti commerciali, i suoi rapporti di classe con l’alta borghesia dello stato spagnolo e anche la borghesia basca. Per questo un’irruzione di un movimento politico che vuole rompere con lo stato spagnolo per loro è piuttosto un problema che un’opportunità. Noi crediamo che questo processo, che come sapete è stato portato dalla mano del popolo, è una delle rotture più grandi che si stanno svolgendo in Europa, è un attacco frontale allo stato spagnolo, che noi riteniamo che è ancora una monarchia nata dal regime di Franco, che non ha avuto nessun processo di epurazione di responsabilità politiche, dove i magistrati, le istituzioni poliziesche ancora sono le stesse, dove la corruzione è impunita e anche premiata, e dove sono state portate avanti delle politiche neo-liberali che sono state cattivissime per la nostra popolazione. Dopo questi anni, più di 5 anni di manifestazioni continue, il governo chiama ad un referendum non vincolante che si svolge il 9 novembre del 2014, dove 2.305.290 persone vanno a votare, quindi più o meno un 40% delle persone con diritto di voto. E i risultati sono abbastanza chiari, sebbene la domanda era un po’ confusa. La domanda era: volete che la Catalogna sia uno stato? Sì o no. E, in caso affermativo: volete che questo stato sia uno stato indipendente? E i risultati danno 91,1% dei voti al primo sì e anche un 80,9% dei voti al secondo sì. Con questo referendum riteniamo che c’è legittimità di avanzare in questo processo di rottura con lo stato spagnolo, ma che [per poterlo fare, ndr] ci saremmo dovuti esprimere anche in forma legale [attraverso un riconoscimento legale del risultato, ndr]. Per questo che si chiama una elezione plebiscitaria in Catalogna dove due colazioni, diciamo indipendentiste, si accordano su un punto in comune che è portare la Catalogna verso una rottura con lo stato spagnolo entro la prossima legislatura. Queste due coalizioni sono Junts pel Sì, che è una coalizione trasversale che va dal centrodestra, dalla destra liberale nazionalista al centro sinistra socialdemocratico e tante altre persone un po’ del campo politico e culturale un po’ indipendente, e un’altra coalizione che è la Cup, la candidatura di unità popolare, che come molti di voi sanno, si dichiara apertamente anticapitalista, anti europeista e anche femminista. Queste due coalizioni indipendentiste agglutinano un 62 dei 135 seggi del parlamento, mentre le candidature non indipendentiste ne hanno 52 su 135. Con questo risultato riteniamo che il parlamento catalano ha una maggioranza indipendentista chiara e quindi un mandato di rottura diretta con lo stato. In questa legislatura, poi la compagna Mireia ci può spiegare meglio, hanno portato avanti la creazione di strutture statali e anche la costruzione di un referendum, questa volta veramente vincolante. Abbiamo visto che la posizione dello stato spagnolo fino adesso è stata molto chiara, di rifiuto frontale, di non voler neanche parlare dell’opportunità di fare un referendum legale, nonostante i ripetuti tentativi del governo e della popolazione catalana di raggiungere un accordo. La sua strategia invece è solo quella della repressione, sia di bassa che alta intensità, nei confronti dei rappresentanti indipendentisti democraticamente eletti e anche verso i movimenti popolari. Con questa situazione che viviamo adesso, come sapete, poco tempo fa è stato indetto un nuovo referendum il 1° ottobre, che sarà un referendum unilaterale, perché la posizione dello stato spagnolo è molto chiara rispetto a questo, e anche vincolante. Il 1° ottobre noi riteniamo che possano succedere alcune situazioni un po’ complicate, come potrebbe essere la sospensione dell’autonomia catalana da parte del governo spagnolo, o anche l’azione diretta per impedire il voto della popolazione da parte di certi settori della polizia o dell’esercito spagnolo. Comunque il popolo catalano si è organizzato con diverse organizzazioni di massa e siamo tutti disposti e tutti pronti a mettere in campo tutto quello che sia necessario per portare avanti il nostro diritto di autodeterminazione e rispondere a questo atteggiamento antidemocratico dello stato spagnolo.
Vorrei chiedere a Mireia Vehì, deputata della Cup, di spiegarci – anche se brevemente – cosa significa l’autonomia che c’è ora nella regione catalana.
Come diceva già Icar, nel ’78 non c’è stata una rottura con il franchismo, c’è un patto tra diverse èlite che porta ad un passaggio di poteri, ma non a una rottura. Quindi non solo non c’è stata una rottura dal punto di vista delle istituzioni politiche, giudiziarie o di polizia, ma c’è stato anche un ridisegno dello stato con un intervento sui territori che all’epoca venne definito «il caffé per tutti», cioè una creazione di varie entità territoriali. Per noi il regime del ’78, il regime uscito dall’autoriforma del regime del ’78 genera un livello di corruzione strutturale, che quindi non è legata a singoli episodi, a singoli uomini politici ma fa parte della gestione dello stato. Un regime che di fatto impedisce la partecipazione popolare quindi prevede istituzioni che sono legittimate al di là della legittimità popolare, attraverso una legge che di fatto è fatta apposta per sostenere il bipartitismo e per impedire l’irruzione nelle istituzioni di forze politiche che possono realmente rappresentare gli interessi popolari o dei territori. Questo regime del ’78 sostiene, di fatto, il potere, il dominio vero e proprio di ambienti finanziari che non sono degli ambienti fantasmagorici, sono degli ambienti reali, concreti, di èlite finanziarie spagnole che fanno il bello e il cattivo tempo. Il regime del ’78 ha generato la rottura, la partizione, di un’entità territoriale storica, politica, culturale ed economica che noi riconosciamo come paesi catalani di cui la Catalogna è una delle parti insieme al paese valenziano, alle isole Baleari e alla Catalogna del nord, cioè quella sotto amministrazione francese. Ovviamente esiste un certo grado di autonomia, però l’autonomia concessa al parlamento, al governo catalano, non possono intervenire sul piano legislativo quasi mai. In realtà quando questo accade c’è il Tribunale costituzionale spagnolo che interviene, ad esempio sulla legge per il diritto alla casa, che fu votata, varata dal governo catalano ma che poi venne sospesa dal Tribunale costituzionale perché ogni volta interviene su quelle leggi catalane che ritiene eccedenti rispetto al grado di autonomia che lo stato spagnolo riconosce alla Catalogna. Oltretutto c’è un fatto. Che storicamente, negli ultimi decenni, da quando esiste l’autonomia non c’è mai stato un governo progressista. Il governo è nelle mani della destra catalana che, ovviamente, difende i privilegi fiscali, difende i privilegi economici e quindi c’è un doppio impedimento ad una reale autodeterminazione, ad una reale autonomia di fatto. Nell’ultima legislatura il tema è stato cercare di attaccare i privilegi fiscali e i privilegi economici delle èlite, delle classi alte. Non ci si è riusciti e per la Cup, che è un partito, una coalizione apertamente anticapitalista, ovviamente è un limite che quello scarso grado di autonomia che teoricamente esiste, in realtà non si possa neanche mai raggiungere a pieno perché ci sono impedimenti di carattere politico a priori, quindi una sorta di blindatura su certi temi, temi importanti.
Una cosa che prima ha detto Icar sulla Cup. Le caratteristiche anticapitaliste e poi ha parlato di femminismo. In che senso?
La Cup è un progetto politico che sta partecipando nelle istituzioni, è presente nelle istituzioni in diversi gradi, ma che è un movimento eminentemente municipalista, che – come dicevamo – sono 30 anni che porta avanti le sue battaglie. Ovviamente per noi il livello istituzionale è uno dei tanti livelli di battaglia politica come il movimento studentesco, il movimento popolare e altri movimenti però sappiamo che il livello istituzionale è un campo di gioco truccato, perché è blindato dalle èlite. Abbiamo tre grandi assi di intervento. Uno sono le istituzioni, un’altra è il movimento popolare poi l’asse delle istituzioni propria, cioè di contro istituzioni attraverso le quali costruire non solo l’intervento politico ma anche l’intervento culturale, il tempo libero, il divertimento, l’identità, quelli che è una rete capillare di atenei e casali, che sono poi le denominazioni di queste strutture territoriali. La Cup, come diceva prima Mireia Vehì, è una parte dell’ampio movimento popolare indipendentista, è una formazione apertamente anticapitalista, e una delle campagne più forti che le municipalità gestite dalla sinistra indipendentista catalana sta portando avanti è quella per il recupero, per la municipalizzazione dei servizi pubblici locali, che sono stati privatizzati durante gli anni. Ha citato l’acqua, l’elettricità, la pulizia, le nettezza urbana che essendo considerati beni pubblici si pretende che vengano ripubblicizzati come meccanismo di riconsegna ai cittadini e ai lavoratori di un bene pubblico di cui si è appropriato il capitale. Il femminismo è una caratteristica, un segnale di identità non solo della sinistra indipendentista dei vari fronti come quello studentesco, giovanile ecc. ma di tutto il movimento popolare catalano. La logica è semplice e complessa allo stesso momento, perché per noi l’obiettivo è recuperare sovranità popolare su tutto, rimettere la vita al centro, quindi eliminare e il dominio del capitale o della logica di produzione, sviluppare eguaglianza tra tutti e tutte e decidere liberamente chi amare in casa o nella strada, permettere a chiunque di sviluppare la propria identità sessuale, quindi una liberazione completa. La logica del recupero della sovranità su tutti i livelli della vita stiamo cercando di svilupparla nel livello municipale attraverso campagne per la sovranità alimentare o per il recupero dell’acqua, perché noi pensiamo che debba essere la cittadinanza a decidere che la vita debba entrare all’interno delle istituzioni, che non devono spazi escludenti, chiusi, ma perché la politica – secondo noi – deve essere al servizio della vita e del benessere delle persone, quindi un po’ la logica del buen vivir anima alcune delle esperienze progressiste in America Latina, quindi noi ci piacerebbe essere gli zapatisti del Mediterraneo.
Per chiudere volevo chiedere a Icar intanto il Sepc che io ho come sindacato studentesco dei paesi catalani. E’ così? Siete diffusi in zone diverse?
Sì. Il Sepc è un sindacato impiantato in quasi tutte le università pubbliche dei paesi catalani e anche in tantissime licei, in tantissime scuole tecniche. E’ stato e vuole essere ancora uno degli agenti politici più importanti nel processo per l’indipendenza. Per esempio adesso si è lavorato per una campagna che si chiama “Università per il referendum”, dove si è provato di agglutinare diversi professori, capi dell’università, studenti, lavoratori di tutte le università catalane pubbliche, nella domanda comune di portare avanti un referendum per questioni meramente democratiche, per questioni meramente del nostro diritto alla sovranità.
Non so se vuoi aggiungere qualcosa Mireia. Volevo chiedere gli incontri di questi giorni in Italia. Il 21 giugno a Bologna, il 22 a Roma. Come è andata?
Per noi è un piacere, è un’opportunità poter spiegare a militanti di sinistra di altri paesi, al di fuori della Catalogna e dello stato spagnolo, cosa succede da noi, che la nostra non è una lotta per il nazionalismo ma per l’autodeterminazione e dare anche il nostro punto di vista sulla situazione dell’Unione europea che secondo noi è un’istituzione che secondo noi sta andando sempre più a destra e alla quale i catalani oppongono questo progetto che fa dell’indipendenza un punto centrale. Perché? Perché noi pensiamo che l’internazionalismo sia dare il proprio contributo nel proprio contesto, nella propria situazione, liberando se stessi e in questo modo anche dando anche un contributo alla liberazione generale.
Noi ringraziamo sia Mireia Vechì, deputata della Cup che Icar Iranzo della Sepc.
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