La notte di Giovedì 9 agosto Rai Tre, all’intero di Doc 3 – un programma di Fabio Mancini con la consulenza di Luca Franco – manderà in onda il documentario uscito nel 2017: “Le Pagine Nascoste” di Sabrina Varani, co-prodotto da AAMOD, B&B Film e Istituto Luce Cinecittà.
La telecamera segue la scrittrice Francesca Melandri, autrice del romanzo “Sangue Giusto”, pubblicato da Rizzoli nel 2017, durante le sue meticolose ricerche su Franco Melandri, il padre dell’autrice la cui storia ispira il personaggio d’invenzione protagonista del romanzo: Attila Profeti, partito volontario per l’Abissinia durante il fascismo per combattere la guerra coloniale del Regime nel Corno D’Africa.
Le riprese da un lato seguono la ricerca della verità sull’effettivo passato del padre che è stato celato alla famiglia, dall’altra ci guidano passo dopo passo nella scrittura del romanzo, un impegno che è durato cinque anni e che ha portato l’autrice stessa, con telecamera al seguito, nelle stesse terre dove era stato il padre, a intervistare chi l’aveva conosciuto e nei luoghi natii di un famoso criminale di guerra italiano…
Il documentario in questo intreccio tra storia e finzione letteraria ci permette da un lato di seguire il filo della ricerca storica alla scoperta di alcune delle pagine più buie e meno indagate della storia italiana, dall’altro ci permette di apprezzare lo sviluppo narrativo del romanzo.
Agghiacciante è come fosse esplicita la propaganda tesa a fare anche dei più giovani dei feroci assassini seriali.
Allo stesso tempo la vicenda familiare si intreccia con la Storia dell’Italia, dove un passato individuale sottaciuto a livello privato si inserisce in uno dei maggiori tabù collettivi della memoria civile: il colonialismo italiano in Africa ed i crimini perpetrati ai danni delle popolazioni civili e dei resistenti al dominio mussoliniano.
In questo senso si tratta di una storia esemplare di rottura di un meccanismo psicologico dentro l’”invenzione della tradizione” degli Italiani Brava Gente che quasi continuamente viene riproposto in varie vesti; e non solo dalle formazioni dell’estrema destra.
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Il 5 agosto del 1938 uscirà il primo numero di “La Difesa della Razza”, aprendosi con i dieci punti del cosiddetto: Manifesto del razzismo in Italiano, pensato da Mussolini, scritto da Guido Landra e sottoscritto da una decina di scienziati e docenti universitari.
L’antropologia italiana avrà un ruolo determinante nella fissazione della politica segregazionista fascista, mentre “La Difesa della Razza” diventerà il massimo vettore ideologico dell’espansionismo fascista. Come scrive Nicoletta Poidimani in “Difendere la ‘Razza’. Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini”, pubblicato da Sensibili alle Foglie nel 2009:
La Difesa della Razza come strumento ideologico del regime ebbe un ruolo attivo anche nel ridefinire la funzione dell’antropologia. La “purezza razziale”, a parere degli antropologi razzisti, non andava cercata nel passato, ma doveva invece essere un progetto per il futuro.
Veniva così a delinearsi un’antropologia di taglio politico che guardasse all’avvenire.
Franco Melandri, che fino all’ultimo prenderà posizione in favore della Repubblica Sociale Italiana, firmando a proprio nome articoli che sostenevano il regime collaborazionista creato da Benito Mussolini a sostegno dell’occupante nazista, è ascrivibile a questa élite intellettuale votata a portare avanti il progetto razziale mussoliniano, caratterizzato dall’uso di armi chimiche contro la popolazione locale, l’uso sistematico del terrore contro i residenti per combattere la resistenza, il genocidio dell’intellighenzia locale e lo sfruttamento sessuale delle minorenni…
Un passato con cui l’Italia non ha mai voluto fare seriamente i conti, né nella dimensione collettiva né in quella privata, “riscattata” in questo caso dal lavoro di scavo da parte dell’autrice e della regista, in una sicuramente non facile prova di confronto con il proprio passato familiare.
“Una generazione scomoda”, per ricordare il titolo di un libro relativamente recente edito dalla Mimesis, costituito dalle memorie di Alessandro Boaglio – partito per l’impero come sergente maggiore di un reparto chimico – sul colonialismo italiano in Etiopia e in particolare sulla strage di Zeret: Plotone Chimico. Cronache abissine di una generazione scomoda.
In questi anni non sono mancati gli studi che dai lavori pioneristici di Angelo del Boca sul colonialismo italiano, e di quelli di Giorgio Rochat sull’imprese belliche del regime, hanno coinvolto una nuova generazione di storici e un rinnovato interesse per questi filoni; ma ciò che è stata assente – considerando tra l’altro la sostanziale impunità di chi commise le peggiori atrocità nei confronti dei popoli colonizzati – è la riflessione pubblica tout court proprio lì dove, sul rimosso della “nostra” storia coloniale che ha lasciato tracce profonde nella cultura del nostro paese, si è innestata una forma mentis neo-coloniale che fa del “razzismo” l’imprinting culturale che giustifica tuttora il dominio di razza, genere e classe anche all’interno dei confini del Belpaese.
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Invitando alla visione del documentario che sembra avvalersi dei “consigli” dati dal grande storico e resistente Marc Bloch in “Apologia della Storia”, sull’importanza dell’intelligibilità del processo di ricerca storica, è bene ricordare come la censura sia stata il metro con cui finora erano stati affrontati i temi posti da questo documentario in Italia.
Il primo caso riguarda il kolossal sulla figura del patriota libico Omar Al-Muhktar, del regista siriano naturalizzato statunitense Moustapha Akkad: “Il Leone del Deserto”, voluto da Gheddafi all’inizio degli anni ’80 e realizzato con un cast d’eccezione, in cui l’eroe della resistenza libica alla colonizzazione italiana è interpretato da uno strepitoso Antony Queen, con Ralf Vallone nei panni del criminale di guerra Rodolfo Graziani.
Nel 1982 fu l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti a vietarne la proiezione perché “danneggia l’onore dell’esercito”; censura che è terminata soltanto l’11 giugno del 2009,quando Sky l’ha mandato in onda in contemporanea con la visita del leader libico in Italia, che si presentò appunto con appesa al petto una foto che ritraeva Omar Al-Muhktar.
Il secondo caso riguarda invece un documentario della BBC, uscito a fine anni Ottanta, “Fascist Legacy”, ovvero “l’eredità del fascismo”, realizzato da Micheal Palumbo con la regia di Kin Kirby, che indaga nella prima parte i crimini commessi dal fascismo in differenti contesti coloniali e. nella seconda parte. il mancato “giudizio” dei criminali di guerra italiani. Acquistato dalla RAI non venne mai proiettato fino a che “La Sette” non ne proiettò ampi stralci nel 2004.
Entrambi sono ora reperibili in rete…
Concludiamo con le parole finali di Angelo del Boca nella premessa del suo libro più celebre e diffuso, Italiani, Brava Gente?:
L’obiettivo di “Fare gli italiani”, in un paese che per secoli ha conosciuto la massima frantumazione della società e l’influenza quasi continua di altri popoli, sempre nelle vesti di dominatori, era sicuramente legittimo, per non dire irrinunciabile. Ma i mezzi impiegati non sono stati sempre quelli idonei. In qualche periodo questi mezzi sono stati addirittura nocivi, capaci di produrre, anziché cittadini virtuosi e soldati disciplinati, terrificanti strumenti di morte, come avremo modo di vedere.
E quella stessa pedagogia reazionaria producente “terrificanti strumenti di morte” e che legittima la guerra tra poveri e promuove la guerra tout court sembra prepotentemente tornata in auge.
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Walter Gaggero
Purtroppo il razzismo d’elite è molto piu vecchio che quello populista di Mussolini.