Lo scorso gennaio erano state le ambasciate ucraine all’estero a chiedere che venisse bloccata la distribuzione di un film russo, il revival “T-34”, sostenendo che esso “diffonde apertamente l’aggressione russa nel mondo, di cui è vittima l’Ucraina”.
Dopo un primissimo periodo di furore, non sembra che la pellicola abbia poi riscosso un grande successo; dunque, la faccenda poteva esser lasciata tranquillamente cadere. Tanto più che il soggetto del film ripeteva (in peggio, a nostro modestissimo parere) il tema della Grande guerra patriottica dell’Unione Sovietica contro i nazisti, affrontato in maniera decisamente superiore in pellicole d’epoca sovietica e, quindi, poteva esser archiviato come “storia passata”.
Trascorsi nemmeno due mesi, la faccenda si ripete, con l’uscita della pellicola russo-serba “La linea balcanica”. E questa volta, a chiederne la proibizione, è nientemeno che il britannico The Times, con la “motivazione” che le “autentiche vittime della guerra in Jugoslavia furono i piloti della NATO”, mentre il film deformerebbe il contributo dato dall’Occidente alla “stabilità” nella regione e non sarebbe altro che “parte del subdolo piano di Putin per scatenare una guerra nei Balcani”.
Gli “eroi” della NATO si sono sentiti colpiti nel vivo: a differenza di “T-34”, il nuovo film non tratta dello scontro tra Armata Rossa e nazisti; è storia molto più recente e nella contrapposizione tra russi e “alleati”, pur se non arrivata allo scontro armato, è in gioco “l’onore” occidentale e, in particolare, quello britannico del KFOR.
Nel film, sostiene The Times, “i serbi, che avevano scatenato aggressione e genocidio, vengono presentati quali vittime, mentre i soldati russi, che interferirono con l’applicazione della giustizia, sono dipinti quali eroi. Tutto ciò è falso”.
Purtroppo il film, probabilmente grazie al successo che sta tuttora riscuotendo nelle sale, non è ancora disponibile in rete se non in versioni di scarsissima qualità. Interpretato da attori russi, serbi – c’è Gojko Mitic e una breve apparizione di Emir Kusturitsa – inglesi e americani, rievoca essenzialmente l’azione di un pugno di incursori russi che, nel giugno 1999, respingendo gli assalti dei terroristi dell’UCK, tennero l’aeroporto Slatina, a Priština, in attesa dell’arrivo della colonna blindata russa (contro gli ordini di Eltsin) che, con una corsa a più non posso dalla base SFOR in Bosnia, riuscì a battere sul tempo la colonna KFOR britannica.
“Se qualcuno ha fatto dei veri sacrifici, sono stati i piloti NATO” scrive The Times, “che durante 78 giorni di operazione aerea posero fine alle ingerenze di Miloševič contro gli albanesi del Kosovo. La Gran Bretagna svolse un ruolo di primo piano nelle azioni NATO. Si trattò di una campagna limitata e giusta per fermare l’aggressione. E fu iniziata non per rovesciare il regime di Miloševič o garantire l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, ma per difendere dal genocidio la popolazione del Kosovo”.
Il film inizia con sequenze sulla presenza russa in Bosnia nel 1995; si trasferisce poi a Belgrado nel 1998 e 1999 e rievoca brevemente il bombardamento della capitale jugoslava, e in particolare della clinica ostetrica. Quindi, fuggevoli immagini di repertorio; fine dei bombardamenti NATO e si arriva al giugno ’99. Ricalcando un prevedibile schema hollywoodiano, il capo del commando (l’attore russo Goša Kutsenko, che è anche produttore del film) recupera i vecchi compagni del 1995 per la missione all’aeroporto Slatina.
Non mancano scene macabre di massacri di civili serbi da parte dei terroristi del UCK, come pure le intese tra medici occidentali e UCK per il contrabbando di organi e di droga; e neppure, di contro, sequenze alla “Rambo” degli incursori russi. La missione (ufficialmente mai ordinata e mai avvenuta) termina con un finale alla “Ombre rosse”, quando gli ultimi sopravvissuti del commando stanno per suicidarsi, per non cadere in mano ai tagliagole kosovari: arriva la colonna blindata russa ed essi si dileguano in sordina. Nel titolo originale, “Balkanskij rubež”, si rimanda a una sfumatura del sostantivo (limite, linea, soglia) non solo geografica, ma, in questo caso, anche politica e morale.
Analizzando le argomentazioni della pubblicazione britannica, i sitoVzgljad le vede come l’inizio dell’ennesima campagna russofoba e osserva che “la cosa più interessante è che quanto affermato dalla redazione di The Times, non sono che bugie dalla prima all’ultima parola”. I principali media occidentali, scrive Vzgljad, si sono ridotti a “un foglio di battaglia collettivo, isterico nel tono, categorico nelle valutazioni, propagandistico nei contenuti… in questo periodo i giornalisti sono entrati in guerra. E non è poi così importante contro chi esattamente: Russia, Trump o euroscettici. Il nocciolo è che il loro esercizio quotidiano sono divenuti le bugie e l’aperto disprezzo per il fact checking, cose che, prima, i giornali con una certa reputazione, cercavano sempre di evitare”.
La pubblicazione britannica, osserva ancora Vzgljad, mente sui numeri e tace ipocritamente sulle atrocità NATO in Jugoslavia. In “La linea balcanica” non ci sono riferimenti né a bombardamenti di impianti chimici, né a proiettili a uranio impoverito, o ad altri crimini di guerra dell’Alleanza, tranne che per la bomba sulla clinica ostetrica e la posizione antibellicista del film.
“Per quanto riguarda altri “veri sacrifici dei piloti NATO”, non sono noti, a meno che, dopo il deliberato bombardamento di obiettivi civili, qualcuno di essi non sia caduto in depressione. E’ forse uno scherzo che siano morti come minimo (secondo Human Rights Watch) qualche centinaio di non combattenti, tra cui decine di bambini (compresi i non nati)?” scrive Vzgljad. “Ma è proprio questo che The Times definisce “giustizia”, anche se nessuno ha mai dato alla NATO il diritto di giudicare qualcuno”.
“La linea balcanica” fa giustizia dei massacri perpetrati dai terroristi kosovari contro la popolazione serba: è un film da vedere.
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