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Scappate da Milano finché siete in tempo

In questi mesi ci stiamo chiedendo cosa fare con l’enorme aumento di produttività messo in evidenza dal tele-lavoro. Si tratta di una partita importante. Alla fine della contesa si saprà quanto abbiamo contato nella storia.

Le spinte per il ritorno a uno stato ante-Emergenza sono forti, e non vengono solo dal Sistema. Il ritorno allo stadio antecedente è reclamato con forza anche dalla gente comune, la quale non vede l’ora di essere messa in libertà e nelle condizioni di riappropriarsi di ciò che aveva prima.

Ma cosa aveva e cosa desiderava prima?

Aveva o desiderava una casa di Design, magari modellata sul Nakagin Capsule Tower di Tokyo, uno dei pochi edifici costruiti nel 1972 dal movimento Metabolista, e composto da capsule attaccate a due guglie centrali, e contenenti il minimo indispensabile per vivere, almeno per un periodo breve. Gli appartamenti della Nakagin Tower hanno una finestra circolare, un televisore, uno stereo, una scrivania e un letto.

Chiamarli appartamenti è un’esagerazione, anzi, un insulto. Perché l’appartamento, come sapevano bene gli abitanti della Provincia e della Campagna, implica un’idea di vita prosaica, fatta di piatti sporchi e panni da stendere, di cameretta dei bambini e di pappe e biberon, di soggiorno e camera da letto con armadio a 4 ante – con specchio, per le trasgressioni coniugali.

La data di costruzione della Nakagin Tower non è casuale, coincide con l’inizio di una nuova era. Per noi che abbiamo maturato le nostre aspettative negli anni Ottanta, il 1972 – e non il 1989, o il 2001, o il 2007 – rappresenta una data fatidica. A metà degli anni Ottanta, quando ci siamo iscritti alle Superiori, credevamo di vivere ancora in quel mondo glorioso che proprio il 1972, come ci toccò apprendere nel nuovo secolo, aveva trasformato in un oggetto di curiosità storiografica.

Al suo posto era subentrato un nuovo mondo, i cui poli di attrazione, collegati tra loro da una rete rizomatica di cavi coassiali e fibre ottiche, non erano più gli Stati-nazione, ma erano le Città-Stato, dove a spiccare e a dettare le regole erano New York, Tokio e Londra – le città globali, come le definì Saskia Sassen. Città forti e prepotenti da riuscire a imporre il proprio modo di essere – il «Cappuccino lifestyle» – al resto del territorio nazionale e internazionale.

Questo modo di essere, che era più di uno stile, fu celebrato dalla «Chick Lit» e della «Chick flick» in I love shopping e Sex and the City. Opere, queste ultime, le cui eroine quarantenni, coraggiose e sfortunate, erano alla ricerca dell’amore, anche se preferivano il sesso, e il cui confidente era l’amico gay, e che perlopiù parlavano di mazze, scarpe e shopping, con quella verve post-femminsita – molto esibita – che avrà fatto rimpiangere a Betty Friedan di avere speso tante parole contro la «mistica della femminilità», contro quel modello di donna anni Cinquanta e Sessanta, tutta casa e parrucchiere, regina della sua villetta suburbana, con marito impiegato nella city, che 4 volte al mese beggiava la consorte, la quale, per celare l’umiliante depravazione, beveva o si faceva di psicofarmaci.

Le donne Chick Lit risiedono nella City, perlopiù in piccoli loculi trasformati in depositi di scarpe e lingerie (pardon: underwear) La Perla e Dildi Soft Paris o Lelo. Lavorano o aspirano a lavorare nel mondo del giornalismo o della pubblicità. Sentono la passione del fuori (La passion du dehors). Vivono nei bar e nei negozi, o sui pavimenti delle TAZ (Temporary Aesthetics Zone) dei loro toy boy.

Consapevolmente svampite e depresse, leggermente brille, sazie di ibuprofene, sempre a caccia, in coppia perfetta con i protagonisti della «Cock Lit», di cui «Mio cugino, il mio gastroenterologo» rappresenta (non storcete il muso) un modello insuperabile.

Calate in un eterno presente, reso verosimile dai pigmenti di Melon dollar baby blush di L’Oréal Paris, l’ironica ostentata come una O bag twist mini nera: Vivi ogni giorno della vita come se fosse l’ultimo, prima o poi avrai ragione 🙂

Di questo mondo spiccio e al tramonto, bagnato con Prosecco e Play Very Cherry Pleasure Gel, rimangono le immagini di quel condominio in Harzer Straße, nel quartiere di Neukölln, Berlino, dove gli onesti single dalla capitale hanno acquartierato il loro terzo mondo a portata di mano, fatto di badanti, colf, driver e loro prole.

Il dipartimento della salute ci ha detto di non uscire per 14 giorni, grida un uomo da un balcone (nordkurier.de). Perché nessuno ci chiede come stiamo, se abbiamo bisogno di acqua o cibo? Vengono tutti qui e ci fotografano come se fossimo animali in una gabbia. Una bambina gli sta accanto (benedetta assicurazione per single e cassa pensionistica!). “Mio padre parla male il tedesco” – dice. “Stiamo bene. Stiamo bene”, ripetono altri due ragazzi – quattro peli di barba in tutto. “Siamo in nove in un appartamento, l’acqua e il cibo sono finiti dopo due giorni”.

La polizia è schierata all’esterno. Televisioni e giornali assediano il palazzo. I residenti lanciano uova ai giornalisti. “Bisogna capirli”, dice l’edicolante, “sono chiusi dentro da 2 settimane”.

Prima o poi toccherà e te, scappa in campagna, rifugiati in montagna, la Storia è a una svolta.

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