Giovedì 22 luglio sarà disponibile nelle librerie “Il Grande Gioco dell’Orchestra Rossa. Le Memorie del capo dei servizi segreti sovietici”, edito da Mimesis Edizioni. Il volume è l’autobiografia di Leopold Trepper – introdotta da Giacomo Marchetti – che fu a capo di una delle maggiori reti dell’intelligence sovietica nell’Europa occupata dalla Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale.
Tale progetto editoriale è in continuità la pubblicazione, alcuni anni orsono, del “Diario della Guerra di Spagna” di M. E. Kol’cov, e di “L’Orchestra Rossa. I servizi segreti sovietici nella guerra al nazifascismo”, editi entrambi da PGreco e ai quali ha collaborato sempre Marchetti.
Nell’introduzione alle memorie di Trepper, oltre ad essere collocata la vicenda dell’Orchestra Rossa e storicizzata la figura del suo capo – e la narrazione che ha fornito di sé -, viene ricostruito sinteticamente il ruolo che ebbero l’Unione Sovietica ed il movimento comunista nella sconfitta del nazi-fascismo.
Pubblichiamo alcuni brevi stralci riadattati della lunga introduzione al volume autobiografico.
***
“La lotta contro il nazismo doveva essere più che mai l’obiettivo dominante, esclusivo. E almeno mi sarei battuto in una lotta fondamentale. Avrei avuto la responsabilità dei gruppi che avrei creato, dell’organizzazione clandestina in cui avrei costruito gli ingranaggi: una volta messa in moto la macchina, nulla avrebbe potuto arrestarla”
Leopold Trepper
Il 21 ottobre del 1974, con un volo SK 365 che proviene dalla capitale danese e da Amsterdam, arriva all’aereo-porto parigino di Le Bourget un settantenne basso e tarchiato, dall’aspetto di un tranquillo pensionato senza segni particolari che lo distinguano dagli altri passeggeri.
Parla un francese comprensibile ma stentato, con un accento che tradisce le sue origini est europee, per la precisione polacche.
Niente di strano, considerato che la comunità polacca, insieme a quella italiana, erano tra quelle che avevano fornito più forza lavoro alla Francia dopo l’ecatombe della prima guerra mondiale.
Se non fosse stato preda dei fotografi ad attenderlo, avrebbe probabilmente conservato il suo anonimato, e sarebbe stato scambiato per un passeggero qualsiasi.
Quell’uomo però è Léopold Trepper, durante la Seconda Guerra mondiale è stato a capo di una delle tre maggiori reti spionistiche sovietiche nel Vecchio Continente. “Un rivoluzionario professionale” dagli anni Trenta, divenuto tale dopo la deludente esperienza in Palestina da immigrato – dove aderì al partito comunista locale – prima di recarsi in Francia.
La sua “rete” inviava messaggi costanti a Mosca dalla Parigi occupata dai nazisti dal giugno del 1940, contenenti preziose informazioni attinenti alle forze di occupazione naziste che nel giugno del 1941 avevano dato inizio all’”Operazione Barbarossa” contro l’Unione Sovietica, facendo entrare quest’ultima nella Seconda Guerra Mondiale.
Il controspionaggio nazista nominò questa rete di spie Orchestra Rossa (Die Rote Kapelle), e i suoi apparati repressivi gli diedero – insieme alle forze collaborazioniste di Vichy – una caccia spietata e meticolosa, terminata con il suo smantellamento ed il tentativo di utilizzarne i suoi uomini e le sue donne – una volta caduti tra le strette maglie degli apparati nazisti – in una operazione di disinformazione strategica nei confronti del “centro” moscovita, Funkspiel in tedesco.
Forse con un po’ troppa enfasi l’ammiraglio Canaris, capo del contro-spionaggio del III Reich, dirà ex post che le attività di questa rete sovietica: «è costata alla Germania la vita di duecentomila soldati».
Nell’ottobre del 1974 è da trent’anni che Trepper non mette piede nella capitale francese, da quando – fuggendo in maniera rocambolesca dalla sua prigionia dopo un anno di detenzione in mano ai nazisti in seguito al suo arresto nel 1942 – si era nascosto nell’Esagono.
Una latitanza finita nel 1945 quando riuscì a raggiungere nuovamente la capitale sovietica su quello stesso aereo che aveva riportato in Francia Maurice Thorez, l’allora segretario del Partito Comunista Francese.
In Unione Sovietica, accusato di tradimento, viene incarcerato per dieci anni fino al 1955, per poi essere liberato in seguito ad una amnistia e successivamente riabilitato. Poté successivamente rientrare in Polonia nel 1957, divenendo presidente dell’associazione degli ebrei polacchi.
Con la fine della “Guerra dei Sei Giorni” nel giugno del 1967, che vide contrapposti da un lato Israele e dall’altro Egitto, Siria e Giordania, iniziò una forte campagna anti-sionista tra le file della dirigenza comunista polacca allora sotto la guida di Gomulka, che stava attraversando in quel periodo una animata contestazione.
Trepper dovrà lasciare la presidenza dell’associazione.
La comunità polacca, composta da circa 30 mila persone, si ridusse sensibilmente negli anni successivi attraverso l’emigrazione in Occidente o in Israele.
Come molti ebrei polacchi, sua moglie ed i suoi bambini emigrano nello Stato ebraico. Ma Trepper dovrà attendere tre anni per lasciare il Paese.
Alla fine degli anni Sessanta Trepper – almeno in Occidente – esce dall’anonimato perché la storia dell’Orchestra Rossa viene raccontata dal famoso giornalista francese Gilles Perrault nel libro omonimo, pubblicato nel 1967.
Un altro libro, uscito quattro anni più tardi di quello di Perrault, contribuirà a informare il pubblico occidentale a informare il pubblico occidentale sullo spionaggio sovietico in tempo di guerra. L’autore è il famoso giornalista e storico tedesco Heinz Hölne.
Il testo, tradotto in italiano, verrà pubblicato da Garzanti ad inizio anni Settanta con il titolo: La vera storia dell’“Orchestra Rossa”.
Da allora Storia e Mito di quella Rete di intelligence hanno convissuto ed in parte si sono fuse.
Nell’ottobre del 1974, il ministro dell’interno Michel Poniatowski toglierà a Trepper il divieto di soggiorno in Francia, per permettergli di partecipare al dibattito televisivo “Dossiers de l’écran”, successivo alla mandata in onda dell’ultimo episodio del discusso feuilleton sull’Orchestra Rossa.
La trasmissione di questo sceneggiato a puntate – una produzione franco-tedesca che nell’intenzione degli autori (Peter Adler, Hans Gottschalk e Frank Peter Wirth) doveva essere un adattamento cinematografico del libro di Hölne – era già stata mandata in onda Germania, Olanda ed Italia. In Francia ha suscitato aspre polemiche. Il settimo, ed ultimo episodio, non verrà infatti trasmesso nell’Esagono.
Il giudizio di Trepper sulla fiction è netto, «la storia è stata falsificata» dirà allora al suo arrivo in Francia a Le Monde. La sua venuta è tesa a ristabilire la verità storica sull’Orchestra Rossa, «spesso non si è compreso perché è stata creata la rete».
Trepper, che è il primo a prendere parola, ed interviene più volte, annuncia subito e ripete in seguito che la sua versione complessiva degli avvenimenti la si potrà leggere nella sua autobiografia, che in effetti uscirà di lì a poco nel 1975, sette anni prima della sua morte avvenuta a Gerusalemme, dove visse per una decina d’anni.
(…)
Gli uomini e le donne dello spionaggio sovietico venivano reclutati per lo più all’interno del movimento operaio e comunista, il cui impegno nell’intelligence per il Paese dei Soviet era visto come naturale proseguimento della propria attività politica svolta.
Léopold Trepper, il capo di quella che verrà chiamata dal contro-spionaggio nazista “Orchestra Rossa”, ovvero la maggiore rete di spionaggio sovietico in Europa Occidentale, non fa eccezione.
Il suo curriculum vitae è simile a quello di molti altri che integrarono le tre reti di spionaggio, in particolare di quella porzione rilevante di comunisti e comuniste di origine ebraica provenienti dai paesi dall’Europa Orientale.
La repressione subita nei propri Paesi d’origine, la delusione per l’esperienza dell’Hachomer Hatsaïr in Palestina, l’impegno nelle comunità di immigrati in Francia, Belgio e Olanda tra le file di un proletariato multinazionale in cui il movimento comunista svolgeva un ruolo fondamentale, costituiscono i tratti comuni di una generazione che ha dato un contributo fondamentale alla lotta contro il nazi-fascismo attraverso l’intelligence sovietica o direttamente nelle file della resistenza armata.
L’altro elemento che caratterizzerà questa generazione di militanti sarà quello della partecipazione diretta alla guerra civile spagnola, come nel caso di “Kent”, il numero due dell’Orchestra Rossa.
Molti, anzi i più, pagarono con la propria vita questo impegno, spesso dopo essere barbaramente torturati durante gli interrogatori, vengono condannati e giustiziati, oppure si tolsero la vita per non far cadere i propri compagni.
Non poterono quindi scrivere la loro versione della storia, come fecero Trepper e Sàndor Radò – alias “Dora”, capo della Rete che trasmetteva dalla Svizzera1 – che condizionarono fortemente la rappresentazione dell’Orchestra Rossa in Occidente.
Solo molto più tardi Anatoli Gourevitch, alias “Kent”, – nel 1991 – riuscì a vedere riconosciuto il ruolo da lui svolto ed allontanare da sé il marchio dell’infamia e di principale responsabile della caduta della Rete dopo il suo arresto, così come erroneamente supposto da Trepper e Rado, e da Perrault che ha “sposato” la tesi del primo.
Le minuziose ricerche d’archivio hanno permesso poi di passare dal “gioco di specchi deformanti” della memorialistica degli agenti segreti sovietici sopravvissuti, teso a relativizzare i propri errori o a negare la propria effettiva collaborazione con il nemico – di cui Trepper è un maestro -, all’accertamento della verità storica.
Queste indagini sembrerebbero confermare quando sostenuto per tutta la vita da Anatoli Gourevitch (a lungo incarcerato) e relativizzando la narrazione del “Grande Gioco” che avrebbe condotto Trepper con i nazisti e di cui il “Centro” sarebbe stato a conoscenza. Le sue stesse ammissioni presenti nei verbali degli interrogatori sovietici consultabili con la fine dell’URSS mostrano la sua collaborazione con i nazisti, e ne legittimano di fatto la detenzione in URSS.
L’autobiografia di Trepper rimane comunque una testimonianza fondamentale per capire l’esperienza di una generazione di militanti internazionalisti cresciuti tra le due guerre e l’azione complessiva del movimento comunista d’allora.
Allo stesso tempo “Il Grande Gioco” è un esempio importante di come una particolare narrazione di una vicenda complessa, come fu quella dell’Orchestra Rossa, da parte di uno dei suoi sopravvissuti, sia scaturita più dalla necessità di piegare gli eventi alle proprie necessità di “riabilitazione”, di critica strumentale alla “stalinismo” e alle contingenze politiche del momento, che dal voler svolgere un servizio di ricostruzione della verità storica e rendere effettivo omaggio a coloro che per la maggior parte vennero ghigliottinati dai nazisti nel carcere di Plötzen, a Berlino.
Tra i condannati e poi giustiziati vi fu anche un italiano, Medardo Griotto, operaio comunista torinese emigrato in Francia, che lavorò nella fabbricazione di documenti d’identità falsi – e degli strumenti per produrli – per Orchestra Rossa, dopo una intensa attività politica-sindacale alla luce del sole.
Griotto è uno dei tanti nostri connazionali comunisti che combatterono il fascismo oltre ogni frontiera, e che sono ormai dimenticati dalla storiografia ufficiale.
Sta a noi colmare questo vuoto.
1 Sàndor Radò, Nome di battaglia “Dora”, 1972, La Pietra
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa