Dobbiamo cercare di leggere sotto la pelle viva del presente anche quella di un’origine remota, perché questa continua a scorrervi sotto altrettanto viva. E ciò anche quando tale origine è mitologica, perché il mito è all’origine stessa della civiltà occidentale, e in esso è rappresentata ed eternata simbolicamente la drammatica realtà umana.
Diciamo questo a proposito dell’assurda sentenza giudiziaria con cui il Tribunale di Bologna condanna la portavoce di Potere al Popolo, Marta Collot, e due dirigenti dell’Unione Sindacale di Base (USB), Fabio Perretta e Federico Orlandini. Condanna per blocco stradale, interruzione di pubblico servizio, resistenza a pubblico ufficiale con un totale di 4 mesi di reclusione.
Sentenza di primo grado, ossia appellabile, non eseguibile quindi fino al grado definitivo, ma solo apparentemente di lieve entità. Essa, infatti, ben oltre il dato quantitativo, manifesta la sua chiara qualità di atto vendicativo, rappresentando in tal senso un vero regresso della nostra civiltà.
La vicenda origina dall’uccisione il 14 settembre 2016 del delegato USB Abd Elsalam, travolto da un camion nell’atto di forzare il picchetto dei dipendenti nel corso di uno sciopero alla GLS, azienda leader del settore logistico di Piacenza. Nonostante le numerose e cogenti testimonianze sul fatto, nel 2020 i giudici competenti derubricano l’omicidio alla fattispecie di un incidente stradale, mandando assolto il camionista che ne è stato protagonista.
Un altro fascicolo giudiziario, però, è aperto contro chi attua una protesta il giorno successivo quell’aberrante violenza esistenziale. Fascicolo che il 12 luglio 2022 giunge a sentenza con l’altrettanto aberrante sentenza contro l’esistenza di Marta Collot, Fabio Perretta e Federico Orlandini.
Perché ci siamo riferiti qui a un mito fondante la nostra civiltà, e qual è questo mito? Il mito è quello dell’Antigone, rappresentato da Sofocle ad Atene nella sua celebre tragedia del 442 a. C. Ricordiamone la narrazione alla sua base.
La giovane Antigone decide di dare sepoltura al fratello Polinice, violando lo spietato e irrevocabile interdetto posto da suo zio, nonché nuovo re di Tebe, Creonte. Polinice, infatti, è stato considerato un traditore della patria, nello scontro mortale con suo fratello Eteocle.
Violando consapevolmente e lucidamente la regale dura lex sed lex, e addossandosene tutte le inflessibili conseguenze, Antigone si riferisce a una legge molto più profonda, ossia a quella superiore dello Zeus di sotterra, che costituisce il sottosuolo stesso dell’esistenza universale e la sorregge.
È la legge, infatti, del legame di fratellanza e sorellanza, non meramente umano, ma che unisce inscindibilmente ogni ente e aspetto di tutto ciò che subisce violenza da parte del potere, della sua diuturna proclamazione di forza e brutale volontà di potenza.
Essersi ribellati alla violenza omicida subita da Abd Elsalam, considerato traditore dell’imperante patria del profitto, e aver pubblicamente manifestato per onorare e conferire alta dignità alla sua fratellanza nella giustizia sociale e ambientale, costituisce indubbiamente il volto contemporaneo della scelta compiuta da Antigone, che già nel nome reca il significato di contrasto.
Antigone, però e non a caso, è punita anche perché donna, ossia concrezione, incarnazione fisica e simbolica vivente della debolezza soccombente, ossia di ciò che in maniera costitutiva, permanentemente strutturale deve essere tacitamente sottomesso all’imposizione tanto autoritaria quanto abusiva del regno della forza dominante.
Perché abbiamo parlato di un regresso della civiltà rappresentato da tale sentenza vendicativa? Proprio perché tutto l’antico teatro tragico greco traccia una soglia critica di passaggio dalla logica della faida tout court, a quella della giustizia, ossia di un giudizio non più fondato sulla vendetta del potere familiare e tribale. E lo fa proprio mettendo in scena l’istituzione di un tribunale. Lo fa Euripide che nello stesso teatro di Atene aveva rappresentato Le Eumenidi.
Non è questa solo una tragedia dal valore altamente artistico, ma rappresenta un vero e proprio passaggio di civiltà storica, indubbiamente anche per la sua elevata forma-sostanza poetica. Le Eumenidi, infatti, non sono altro che le Erinni, cieche, mostruose dee della vendetta, persuase da Atena ad accettare la necessità della transizione alla civiltà.
Certo, ogni tribunale non può che risentire in sé della forza gravitazionale della volontà di potenza dominante. Se esso, però, si toglie la maschera e torna a mostrare direttamente il volto osceno delle Erinni, ossia della vendetta spietata, allora ecco che siamo di nuovo sul ciglio di un baratro.
E l’intera vicenda che è alla base di tale sentenza, mette in scena, attraverso, ma anche oltre l’atto giudiziario vendicativo, proprio il dirupo di civiltà rappresentato dalla vasta lacerazione dello sfondo di giustizia sociale e ambientale oggi in atto.
Per questo, nell’istante stesso di essere nuovamente colpita, Antigone, con la sua originaria scelta contrastiva, torna sul proscenio dell’attualità viva del presente, in tutte le Marta Collot che non possono fare a meno, e lo fanno ancora più a ragione, di continuare a testimoniarla.
Foto di Patrizia Cortellessa
* da Stampa Critica
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Angela Manna
Concordo.
Il cammino della giustizia e del diritto umano è ancora sulla soglia della partenza,, imprigionato e inserito dalla forza bruta.
Angela