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De Martino e la letteratura

Negli ormai quasi sessant’anni dalla sua scomparsa, l’importanza delle ricerche e delle formulazioni teoriche di Ernesto De Martino. non solo per l’antropologia ma per la cultura italiana nel suo insieme, è stata valorizzata da un’imponente quantità di pubblicazioni nate in diversi ambiti disciplinari.

Tuttavia, negli ultimi anni, si assiste a un’ulteriore ripresa degli studi demartiniani, non solo con la riedizione con nuove curatele, da parte di Einaudi, di due delle sue opere fondamentali come La fine del mondo e Morte e pianto rituale, ma anche con pubblicazioni volte a indagare aspetti specifici del lavoro dello studioso napoletano e i suoi rapporti con settori della cultura italiana.

Di queste ultime fa parte De Martino e la letteratura, a cura di Paolo Desogus, Riccardo Gasperina Gironi e Gian Luca Picconi che hanno raccolto attorno a loro i contributi di un nutrito gruppo di studiosi provenienti da diverse università italiane e straniere (Carocci editore, 286 pagine, € 28).

Infatti, il testo si compone di ben sedici saggi più una corposa introduzione, tanto che non è semplice darne un resoconto complessivo, anche a fronte del fatto che esso è suddiviso già dai curatori in tre parti che affrontano sfaccettature diverse del rapporto tra De Martino e la letteratura.

La prima parte discute le fonti letterarie che hanno ispirato il lavoro di De Martino, la seconda i rapporti che egli ebbe con alcuni scrittori e scrittrici italiane (Pavese, Scotellaro, Pasolini, Cases, Fortini, Morante e Rosselli), mentre la terza parte comprende cinque saggi di lettura di testi demartiniani pubblicati successivamente alla sua morte.

Procedendo quindi per spunti e suggestioni, una questione che emerge da questo libro è l’importanza che De Martino attribuì alla letteratura come fonte di conoscenza.

Tra gli autori più importanti, anzi forse il più importante in questo senso, Carlo Levi, che De Martino conobbe già alla fine degli anni quaranta dopo l’uscita di Cristo si è fermato a Eboli. Il lavoro di Carlo Levi non si può definire solo un romanzo, poiché è in realtà anche un testo che pone problemi che De Martino affronterà nelle sue ricerche.

Mi riferisco alla valutazione del cattolicesimo in una visione sociologica che ne prenda in esame gli aspetti popolari e legati al folklore mettendo in crisi l’analisi positivista delle pratiche culturali religiose del meridione come “sopravvivenza” di antichi rituali pagani o “decadenza” di antichi riti delle classi dominanti.

De Martino affronta invece la questione in termini di sincretismi tra cattolicesimo e mondo magico nel rapporto tra cultura egemone e classi subalterne e impiegando nella propria analisi strumenti e suggestioni diverse, non esclusa la psicanalisi.

Lo studio delle fonti letterarie contribuì a formare in De Martino la concezione del “folklore progressivo” che si pone in continuità con Gramsci arricchendone però le formulazioni e ampliandone il perimetro. Inoltre De Martino, come spiega Fabio Moliterni nel suo contributo, seppe cogliere da Cristo si è fermato a Eboli anche alcune suggestioni sul rapporto dialettico tra la cultura del ricercatore e quella degli “informatori”.

Se ho voluto soffermarmi, per ragioni di evidenza culturale ma anche di affezione personale, sul contributo della lettura di Carlo Levi da parte di De Martino, il libro rende anche conto dell’ampiezza delle frequentazione della letteratura europea che l’antropologo napoletano seppe integrare nelle sue ricerche sul mondo delle classi subalterne, comprendendovi Dostoevskij, Proust, Kafka, Sartre per tornare all’italiano Moravia.

Anche da un autore come Proust (saggio di Roberto Dainotto) le cui tematiche narrative immediate sono lontane dal mondo delle classi subalterne, De Martino coglie il messaggio per cui le biografia personale racchiude un’immensa storia umana in un rapporto tra “biografia personale” e ciò che è “comunitariamente condizionato” dell’io e quindi la presenza nel soggetto di una coralità che lo lega al punto della terra e della storia che occupa.

Non meno interessante la parte dedicata ai rapporti tra De Martino e gli scrittori, primo tra tutti Rocco Scotellaro, con cui De Martino coltivò una intensa amicizia, sino alla morte prematura, nel 1953, del poeta e sindaco socialista di Tricarico, ma anche il contrastato seppur fruttuoso confronto con Pavese.

Nel testo, Riccardo Gasperina Geroni ricostruisce le fasi della non facile collaborazione dei due alla condirezione della “Collana viola: collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici”, edita da Einaudi nel dopoguerra. Una collaborazione non scevra da contrasti che sono riassunti peraltro in un testo edito alcuni anni fa da Bollati Boringhieri che raccoglie le lettere scambiatesi in merito alla collana da De Martino e Pavese.

Gasperina Geroni rivisita, alla luce di alcune discussioni sul Ramo d’oro di Frazer e della pubblicazione della raccolta Lavorare stanca di Pavese, le relazioni culturali tra Pavese e De Martino attraverso categorie non ancora esplorate andando oltre alle già note contraddizioni tra “l’irrazionalismo” del primo e l’opposta volontà del secondo di contestualizzare e verificare scientificamente.

La terza sezione raccoglie, come ho scritto, cinque saggi su diversi aspetti dell’opera di De Martino e sulle irradiazioni che essa ha avuto sul lavoro di altri intellettuali, come per esempio i documentaristi Cecilia Mangini e Gianfranco Mingozzi, autori di film etnografici di grande rilievo che hanno la loro origine nelle ricerche di De Martino sulla cultura delle classi subalterne del meridione.

Nel libro di cui scrivo si discutono in particolare Stendalì. Suonano ancora, documentario sulle prefiche della Grecia salentina, realizzato da Cecilia Mangini con testo di Pier Paolo Pasolini, e La Taranta girato sulle orme delle spedizioni demartiniane da Gianfranco Mengozzi, con testo di Salvatore Quasimodo. (Per il lettore che volesse vederli sono entrambi disponibili gratuitamente sulla piattaforma Youtube).

Un libro, questo De Martino e la letteraura che arricchisce dunque significativamente gli studi sul pensiero dello studioso napoletano e sulla sua influenza nella cultura italiana anche al di là dello specifico delle sue importanti ricerche etnografiche nel meridione d’Italia.

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