Menu

Antonio Gramsci alla “Capanna Mara”

Tra il 1924 e il 1926, il rifugio sulle Prealpi comasche fu sede di alcune riunioni clandestine del PCd’I che videro protagonista l’intellettuale sardo

La Capanna Mara, situata a 1125 mt. s.l.m., è uno tra i diversi rifugi raggiungibili dall’Alpe del Viceré ed è una delle mete preferite dei gitanti della Brianza e dell’area comasca e milanese.

L’Alpe del Viceré è una nota località sopra Albavilla, situata alla base del Triangolo Lariano, a una decina di chilometri da Como, a cui si perviene oggi in pochi minuti in auto percorrendo una serie di tornanti.

Dal grande parcheggio a pagamento si giunge al “Rifugio Cacciatori”, dove termina la strada asfaltata, e da lì, in 45 minuti lungo un sentiero che alterna tratti più ripidi acciottolati e cementati ed altri sterrati pianeggianti, si arriva agevolmente alla “Mara”, aperta tre giorni alla settimana (mercoledì, sabato e domenica) per offrire ristoro ai viandanti (servizio bar e ristorante, tel. 392 892 6865).

Proseguendo il cammino, in meno di un’ora è possibile raggiungere il Rifugio Riella o la sommità del monte Bolettone e da qui, passando dal monte Boletto, spingersi fino a Brunate, sopra Como.

La Capanna è un edificio storico all’interno del quale, oltre ai caratteristici arredi tipici delle baite di montagna e ai tavoli e alle sedie per la ristorazione, sono presenti numerose foto d’epoca, oltre ad immagini più recenti che ritraggono visitatori noti, tra i quali citiamo Giovanni Storti, che due mesi fa ha presenziato davanti ad un numeroso pubblico per la presentazione dei suoi tre libri dedicati alla corsa scritti a quattro mani con Franz Rossi.

Andrea Lanfri, ex atleta paralimpico della Nazionale di atletica leggera, durante un evento tenutosi al rifugio ha invece raccontato dell’impresa che lo ha visto raggiungere la vetta dell’Everest l’anno scorso, da lui descritta nel volume “Over”.

Non ci sono tracce o cimeli, invece, di un illustre ospite, Antonio Gramsci, che tra il 1924 e il 1926 prese parte a diversi incontri clandestini del PCd’I insieme a molti altri esponenti del partito stesso che si tennero in questa località, scelta perché poteva offrire la garanzia della segretezza per tenere riunioni “camuffate” da gite sociali.

Troviamo cenni alla presenza del politico in questo luogo nelle sue biografie, tra le quali “Gramsci, un uomo sconfitto” di Laurana Lajolo, ed. Art&Print, 2017.

Importante è poi la testimonianza di Camilla Ravera, che fu presente a molti di questi convegni e ne riporta memoria nel suo monumentale “Diario di trent’anni 1913-1943” (Editori Riuniti, 1973).

L’arrivo dell’intellettuale sardo sulle Prealpi erbesi viene registrato per la prima volta nel maggio 1924. Il 6 aprile 1924 si tennero le elezioni politiche e Gramsci venne eletto deputato al Parlamento. Egli ebbe così la possibilità di tornare dall’esilio a Vienna grazie all’immunità parlamentare.

A questo punto i vertici del PCd’I decisero di tenere una Conferenza nazionale per determinare una nuova linea politica, in previsione del V° congresso dell’Internazionale Comunista a Mosca. Era pertanto necessario individuare un luogo sicuro dove tenere le riunioni, sfuggendo ai controlli della polizia. Non è dato sapere come venne individuata la Mara a questo scopo, ma presumibilmente il suo gestore era un simpatizzante del partito.

Il compito di trasferire i convenuti, provenienti da tutta Italia, viene affidato alla federazione comunista comasca. Il ritrovo era la stazione di Como Lago delle Ferrovie Nord Milano.

I partecipanti arrivarono in orari diversi, per evitare assembramenti sospetti. Aveva l’incarico di accoglierli la ventunenne Anita Pusterla (condannata al confino nel 1926 e in seguito, nel ‘processone’ del 1928, a 9 anni, 8 mesi e 20 giorni di reclusione dal Tribunale Speciale, insieme a molti altri membri del partito tra cui lo stesso Gramsci.)

La ragazza, con molta prudenza, guidò i compagni verso la stazione della funicolare per Brunate. Da qui, con una lunga camminata lungo il percorso a cui si accennava prima (dal centro abitato a San Maurizio e da qui ai monti Boletto e Bolettone fino alla bocchetta di Lemna) si poteva scendere alla capanna Mara in circa 2 ore e 30 minuti.

Furono ben 67 coloro che si cimentarono in questa impresa: tra i tanti ricordiamo Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Alfonso Leonetti, Amadeo Bordiga, Umberto Terracini e Angelo Tasca.

Lajolo riporta che, come tutti gli altri partecipanti, Gramsci si fingeva un impiegato in gita per non insospettire la polizia: “Tutto il giorno”, scrisse in una lettera indirizzata alla moglie Julia, “discussioni sulle tendenze, sulla tattica e durante il pasto, alla casa rifugio piena di gitanti, discorsi fascisti, inni a Mussolini, commedia generale per non destare sospetti e non essere disturbati nelle riunioni tenute in bellissime vallette bianche di narcisi”.

Camilla Ravera non era presente: come riporta infatti nel proprio diario (op. cit.) a pag. 185, ella ebbe l’incarico di rimanere presso la segreteria centrale del partito. Dopo la conferenza, la maggior parte dei delegati partì per Mosca per partecipare al V° Congresso dell’Internazionale Comunista.

Nel 1925 la Mara, date le garanzie di sicurezza e segretezza che offriva, ospitò più volte le riunioni dell’esecutivo del partito. Fortunatamente, le autorità fasciste non si accorsero di nulla; dopo alcune indagini motivate dal sospetto di attività illegali sul territorio, infatti, il prefetto di Como comunicò al Ministero dell’Interno che nella sua provincia non c’era traccia di adunanze comuniste.

Tuttavia non tutto filava liscio: come riporta Ravera a p. 218, “In agosto la polizia occupò l’ufficio clandestino di Milano; Terracini fu arrestato. Venne convocato il Comitato centrale per esaminare la situazione… e studiare nuove misure di difesa dell’apparato clandestino”.

Così prosegue l’autrice: “Le riunioni del CC, sebbene dovessero avvenire clandestinamente, erano frequenti in quel periodo: Gramsci esigeva un funzionamento reale e collettivo del massimo organismo dirigente del partito”.

La Capanna continuava a costituire un punto di riferimento. Questo il racconto di Ravera, che mette in evidenza anche gli aspetti affettivi e più autenticamente umani di quei ritrovi: “Io vi arrivavo con Gramsci tra i primi. Lungo i sentieri che salivano alla capanna Gramsci gustava lietamente la passeggiata, fermandosi a osservare le erbe, i fiori, le pietre, gli insetti, i colori.

Gli piaceva gareggiare con il compagno che ci era di guida a lanciar pietre in punti stabiliti e sempre più lontani: un gioco, diceva, che usava fare in Sardegna con i ragazzini suoi compagni di scuola, esplorando la campagna intorno alla sua casa. Raccontava storie e leggende udite dalla gente di quei luoghi, a cui era profondamente, a momenti nostalgicamente, legato”.

Camilla continua nel suo racconto rievocando anche la figura di Giacinto Menotti Serrati: “Nella capanna una donna ci accoglieva, offrendoci grandi scodelle di latte fresco. Poi arrivava Serrati, un po’ stanco. Sedeva accanto all’ampio camino, giocherellava con le molle, la cenere e la brace, là sempre viva. Diceva di essere esperto nell’attizzare e mantenere il fuoco”.

Il Comitato Centrale decise poi in quel periodo di istituire delle scuole di partito per la preparazione politica dei militanti, di cui però Ravera non riporta traccia nel proprio diario.

Un rapporto della Sezione Agitazione e Propaganda della Federazione di Parma del 15 luglio 1925 dichiara che gli iscritti alla scuola erano circa 582 in tutta Italia; non tutti, ovviamente, presero effettivamente parte agli incontri.

Dopo aver ricevuto delle dispense preparatorie, gli aspiranti vennero infatti selezionati per partecipare alle lezioni che si sarebbero tenute proprio alla Capanna Mara. Preziosa è la testimonianza, a questo proposito, di Ferruccio Rigamonti, riportata nel volumeGramsci vivo nelle testimonianze dei contemporanei” (Feltrinelli, 1977) curato dalla nipote dell’intellettuale Mimma Paulesu Quercioli.

Rigamonti, nato nel 1902 e morto nel 1979, era un rilegatore, dirigente prima dei giovani socialisti e poi dei giovani comunisti milanesi tra il 1920 e il 1927. Nel 1929 fu condannato a 18 anni di reclusione ma grazie ad un’amnistia fu scarcerato dopo sette anni di prigione.

Durante il secondo conflitto mondiale fu attivo nella Resistenza e, dopo la Liberazione, militò nel PCI milanese. Il suo racconto dell’esperienza della scuola di partito è molto vivido e ricco di particolari.

Ecco le sue parole: “La scuola ebbe luogo, nella settimana di ferragosto del 1925, alla Capanna Mara, ben nota ai milanesi perché meta di molte gite domenicali. Era situata in una posizione comoda, facilmente raggiungibile e allo stesso tempo abbastanza isolata per essere poco notata dalla polizia che allora già cominciava a perseguitarci…

Eravamo più di una ventina, tutti sui vent’anni, alloggiati alla garibaldina; anche perché si viveva già in piena clandestinità. Mantenevano i collegamenti, facendo la spola tra la Capanna e Milano, Pietro Secchia col nome di battaglia di ‘Bottecchia’ (perché correva sempre in fretta) e Edoardo D’Onofrio”.

Rigamonti rievoca l’efficacia delle lezioni e, soprattutto, dei relatori:

Le lezioni cominciarono subito. Ci si allontanava un po’ dalla Capanna e su un prato ci si sedeva a semicerchio attorno a Gramsci ed a Longo. Longo, infatti, fungeva da supplente e si alternava con Gramsci nell’insegnamento.

Che ci fosse tanto bisogno del loro aiuto ci accorgemmo subito, in quanto le lezioni di Gramsci battevano in breccia le convinzioni che fino allora ci eravamo formate… Non avrei mai creduto che in solo otto giorni di scuola avrei dovuto fare piazza pulita di un bagaglio ideologico immagazzinato in quasi un quinquennio!

La politica di Gramsci relativa alle strategie che il PCd’I avrebbe dovuto utilizzare non lascia spazio a dubbi: “La funzione del partito era essenziale per portare le masse alla lotta e alla vittoria. Ma per ottenere questo risultato era indispensabile non una valutazione generale e generica del problema ma una acuta e minuta analisi della società italiana; l’individuazione dei suoi diversi strati sociali; la necessità di saper trovare per ciascuno di essi parole d’ordine e programmi d’azione atti ad interessarli e a mobilitarli, portandoli nella sfera di influenza del nostro partito…

Gramsci ci proponeva un partito che deve andare verso le masse, deve guidarle nella lotta, ma essere avanti a loro di un passo e non di due, in modo da non staccarsi mai dalla loro mentalità e dalla loro capacità di intendere”.

Il militante si sofferma ampiamente anche nel descrivere lo stile di vita dei partecipanti alla scuola, oltre che il luogo in cui esse si svolgevano, i pasti ed altri aspetti “pratici”:

Le lezioni duravano tutto il giorno e si protrassero per otto giorni consecutivi. Al mattino si faceva colazione tutti assieme con un po’ di pane, polenta e latte sul lungo tavolo nel salone. La Capanna era infatti una capanna montana con una grande sala, due o tre stanzette al piano di sopra e un ampio fienile dove dormivamo tutti noi e anche quelli che venivano per le gite domenicali.

Distaccato dal corpo centrale c’era una specie di capanno dove si raccoglieva il fieno nel periodo di raccolta e al quale si accedeva per una scala di quattro o cinque gradini.

Era questo uno dei luoghi di riunione: sul primo gradino in alto sedeva Gramsci con a fianco Longo, sui gradini più bassi tutti noi con le nostre matite e un quaderno sul quale prendevamo gli appunti. La lezione del mattino durava tre ore, tre ore e mezzo, poi si interrompeva per il pasto.

Anche a mezzogiorno si mangiava sul grande tavolo, tutti insieme, senza tovaglia; arrivava il piatto con la polenta calda e, dato che eravamo tutti giovani con molto appetito, non aspettavamo certo che venisse fredda.

Anche Rigamonti, come altri convenuti alla Mara, non manca di sottolineare la componente affettiva che legava tra loro Gramsci e i partecipanti alle lezioni, che si manifestava anche durante il tempo libero, tra giochi e passatempi:

Finita la colazione, si andava fuori per una mezz’ora di ricreazione e li si esprimeva tutta l’umanità di Gramsci. Non era molto più vecchio di noi, anche rispetto al più giovane del gruppo ci superava di appena dieci anni, poteva essere un fratello maggiore, e come tale si comportava. Non si dava arie, scherzava e giocava; ci dava ‘lezioni’ sul lancio dei sassi.

Ricordava le scene della sua Sardegna dove i pastori lanciano i sassi alla pecora riottosa che si stacca dal gregge per costringerla a rientrare. Egli lanciava i sassi dal sentiero che conduce alla Capanna Mara con una tale precisione e una tale forza da superare tutti noi che pure eravamo fisicamente molto più robusti di lui.

Si facevano anche altri giochi di forza: per esempio, al ‘braccio di ferro’ aveva una mano che pareva una tenaglia, stringeva il polso dell’avversario in modo tale da costringerlo a mollare. Poi si raccontavano le barzellette, noi e lui, e si rideva di gusto.

Vivevamo dei momenti veramente lieti e, anche se eravamo tutti giovani, non sentivamo minimamente i disagi dell’isolamento; poi devo dire che aveva­mo piena coscienza di assistere a delle lezioni che sareb­bero state di grande utilità per noi tutti”.

Così si concludevano le giornate di studio:

Finita la ricreazione si riprendeva a studiare, e in ogni lezione veniva dato largo spazio alle domande, ai chiarimenti. Senza che mai Gramsci perdesse la pazienza… Alle cinque, quando comincia­va a venir buio, bisognava rientrare perché non avevamo mezzi di illuminazione.

Si consumava il pasto della sera, quando eravamo soli, cioè quando non erano presenti altri escursionisti, allo stesso tavolo si continuava a discutere. Il proprietario era quasi un compagno, sapeva chi eravamo e in sua presenza si poteva parlare liberamente”.

Il racconto si conclude con espressioni di profonda stima nei confronti del leader politico, che dimostra grande competenza nelle spiegazioni, ma soprattutto rappresenta un autentico modello di coerenza da seguire:

La maggior parte dei giovani compagni che partecipa­rono al corso della Capanna Mara, furono arrestati. Ma anche nelle prigioni fasciste continuò la lezione di Gram­sci: sapevamo che era stato arrestato ma tutte le notizie che ci pervenivano su di lui erano di un comportamento esemplare, fiero, di grande serietà politica e morale”.

Nel 1925-26, a causa dei controlli della polizia nella stazione di Como, i militanti che si recavano alla Mara seguivano un percorso diverso e più agevole.

Venne infatti utilizzata la linea ferroviaria Erba – Asso: chi doveva salire fino al rifugio scendeva alle fermate di Ponte Lambro o Caslino d’Erba, dove i controlli erano meno severi, e si confondeva con gli operai di ritorno dalle tessiture per poi raggiungere l’Alpe di Caslino e da lì salire alla Capanna.

Purtroppo, durante uno dei convegni ebbe luogo un drammatico episodio: Serrati, colto da un attacco cardiaco, morì proprio mentre stava percorrendo il sentiero. Ne dà testimonianza, ancora una volta, Camilla Ravera.

Il giorno 11 maggio 1926 si riunì nella Capanna Mara il Comitato centrale del partito per esaminare l’attività svolta in quei primi mesi seguiti al congresso, le prospettive e i nuovi possibili compiti. Era, tra l’altro, in preparazione il viaggio nell’Unione Sovietica di una delegazione operaia…

Ed era previsto, dopo la riunione del CC, un incontro, nella stessa Capanna Mara, coi segretari interregionali, per discutere, oltre i vari problemi del momento, il modo concreto di formazione di quella delegazione”.

Ma proprio mentre i convenuti si apprestavano ad un piccolo rinfresco, giunge una terribile notizia: “Nella Capanna Mara già erano presenti tutti i componenti del CC: la padrona di casa collocava sul grande tavolo, di fronte alle sedie allineate, grosse scodelle di latte fresco.

Entrò Tasca, ansante come per una corsa forzata, col viso pallido e alterato: ognuno di noi pensò a qualche incidente grave, al possibile sopraggiungere dei fascisti o della polizia. Tasca s’avvicinò a Gramsci e gli disse piano poche parole”.

Antonio impallidisce e poco dopo riferisce ai compagni che Serrati è morto, a causa di un malore improvviso, mentre stava salendo alla Capanna con Tasca, Roveda e D’Onofrio.

Viene subito organizzato il trasporto della salma a Milano, ma il luogo esatto del decesso verrà per molto tempo tenuto nascosto per non compromettere la segretezza delle riunioni. Il ritrovo si scioglie e tutti, a gruppi separati, si allontanano dal rifugio per rientrare nel capoluogo lombardo ed organizzare il funerale. “Furono ore tristissime per tutti” è la mesta conclusione di Ravera.

In seguito alla morte di Serrati e all’ondata di arresti seguita all’attentato di Anteo Zamboni a Bologna contro Mussolini nel novembre 1926, la capanna Mara non venne più utilizzata per riunioni clandestine.

Antonio Gramsci fu arrestato ai primi di novembre del 1926 e morì il 27 aprile 1937. Termina qui, dunque, la funzione del rifugio come luogo di ritrovo clandestino dei membri del PCd’I. Nel territorio erbese si combatté poi la Resistenza partigiana… ma questa è un’altra storia

A distanza di quasi un secolo dalla presenza di Gramsci, la sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia “Luigi Conti” – Monguzzo e Territorio Erbese ha dichiarato la capanna Mara “luogo della memoria” e, da qualche anno, organizza un “pellegrinaggio” sulle orme dell’intellettuale sardo, giunto alla quinta edizione.

Lo scorso 17 giugno un numeroso gruppo di persone, circa una sessantina, si è recato “in montagna con Gramsci”, nell’ambito di un evento commemorativo che ha visto l’intervento di Manuel Guzzon, presidente provinciale dell’ANPI e del segretario della sezione Marco Rigamonti con il “commento” musicale di Alessio Lega e, naturalmente, un momento conviviale che avrà presumibilmente ricondotto i presenti, con il pensiero, a quando Antonio e i suoi compagni di partito erano seduti alle medesime tavole sorseggiando ciotole di latte e consumando frugali pasti, mentre organizzavano la loro attività politica in uno dei momenti più complessi e drammatici della storia del nostro Paese.

 * Marynowhere.com

 

Bibliografia essenziale

  • Lajolo, Laurana: Gramsci, un uomo sconfitto, ed. Art&Print, 2017 (edizione originale: Milano, Rizzoli, 1980)
  • Ravera, Camilla: Diario di trent’anni 1913-1943, Editori Riuniti, 1973
  • Paulesu Quercioli, Mimma (a cura di), Gramsci vivo nelle testimonianze dei contemporanei, Milano, Feltrinelli, 1977

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

4 Commenti


  • Nadia Pelizzola

    È un articolo molto interessante che mi ha permesso di ritrovare e ricordare Uomini e Donne, Camilla Ravera ,coraggiosi che ho conosciuto dai loro scritti. Andrò a fare visita .
    Sarei contenta di ricevere da Voi altri articoli di questo valore


  • Aldo

    Al convegno interregionale del 1924 la stragrande maggioranza dei delegati di federazione si espressero contro il nuovo corso Stalinista della direzione del PCdI anche lei imposta dalla centrale di Mosca. Gramsci e Togliatti videro il Partito ancora scherato sulle posizioni di Livorno 1921


  • Noemi

    Ricostruzione dettagliata e documentata molto interessante, grazie!


  • Noemi Ghetti

    Bellissima ricostruzione, dettagliata e documentatissima, di una scuola di partito giovanissima per dirigenti di partito, di cui sapevamo qualcosa da Camilla Ravera. Uno scorcio prezioso sull’attività di Gramsci negli anni 1924/26, quando fu arrestato, e sul suo metodo di conduzione del PCd’I. al ritorno dalla lunga trasferta russa e infine dal soggiorno viennese, in attesa di poter rientrare in Italia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *