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Il commercio dell’anima

Da qualche settimana è in atto un’appassionata discussione sulla nuova pubblicità di Esselunga, intitolata “La Pesca”, che rappresenta una famiglia con due genitori separati.

Al centro della scenetta ambientata nel supermercato vi è una bambina, la quale prima chiede alla mamma di comprare una pesca e poi la porta al papà dicendogli: «Te la manda la mamma». È chiaramente un tentativo di far riavvicinare i genitori, da cui traspare il carico di sofferenza che grava sulla bimba a causa della loro separazione.

La scenetta è tratta dalla vita quotidiana, ma fornisce una rappresentazione diversa (e quindi sorprendente) rispetto a quella, oleografica ed eutimica, della classica famiglia sorridente unita attorno ad un tavolo, che è il ‘leitmotiv’ di tanti altri messaggi pubblicitari.

Così, catalizzata da questo tipo divergente di pubblicità, si è accesa, nel mondo della comunicazione sociale e dell’opinione pubblica, una ‘querelle’ che divide, da un lato, coloro che giudicano inappropriata e fonte di sofferenza per le famiglie separate la scenetta in questione e, dall’altro, coloro che invece ne hanno apprezzato il messaggio (laddove fra questi ultimi vi sono i maggiori esponenti dell’attuale governo). 

Sennonché per situare nella giusta prospettiva il significato di quel messaggio pubblicitario e della reazione che ha suscitato, è bene tener presente che lo scopo che caratterizza (anche se in modo indubbiamente originale) la produzione, la circolazione e il consumo di quel messaggio è il perseguimento del massimo profitto da parte di una importante azienda della grande distribuzione organizzata.

Parimenti, per quanto riguarda la reazione di massa al suddetto messaggio va considerata l’enorme quantità di stimoli pubblicitari di natura ripetitiva e subliminale, molti dei quali legati alla ingluvie [il ‘deposito temporaneo del cibo in eccesso’, in insetti e uccelli, ndr], alla competizione, al narcisismo o al sesso, che, irradiata nei molteplici canali dei ‘mass media’, inonda e intride la nostra vita sociale penetrando in ogni anfratto della stessa vita domestica.

Orbene, di fronte a questa valanga ininterrotta di ‘distrazioni’, illusioni e deviazioni con cui il potere dominante si assicura un consenso di massa, costituisce una misura minima di igiene mentale riflettere sul fatto che oggi il controllo della sfera pubblica passa innanzitutto attraverso il controllo e il dominio della sfera privata e del fòro interiore delle persone, ridotte a monadi capaci di comunicare e di interagire fra di loro, a livello sia psicologico sia etico, soltanto attraverso lo scambio mercantile.

È in tal modo che l’individuo viene ridotto a merce, avendo interiorizzato a livello profondo, subliminale, il messaggio dominante.

La razionalità strumentale, con la correlativa esclusione degli scopi (che sono obbligatori e indiscutibili) e l’enfasi sui mezzi (che sono molteplici, opzionali e disponibili), è la sola ammessa, e questa pervade, nelle società del capitalismo monopolistico contemporaneo, ogni piega della vita umana: dal contesto lavorativo a quello sociale, relazionale, affettivo e sessuale.

Per questo oggi è lecito parlare di una forma di dominio sociale che ha la necessità di controllare non solo ogni spazio dell’agire umano, ma l’essere umano stesso: è l’essere umano stesso che deve diventare merce e deve interiorizzare il fatto di essere esso stesso merce.

Ecco, quindi, come la ‘forma merce’, il “feticismo delle merci” analizzato da Marx nel “Capitale”, raggiunge nella fase storica attuale il suo apice. Il controllo e il dominio della sfera privata, del fòro interiore delle persone, è oggi più importante e determinante del controllo della sfera pubblica.

Fino a un secolo o due secoli fa non era così, perché nel momento in cui una persona passava tra le dieci e le dodici ore in una fabbrica davanti ad una macchina di cui era sostanzialmente un’appendice, il controllo sociale era già in atto e non vi era la necessità di penetrare e controllare la sua psiche.

Oggi, da tempo, la situazione è mutata, poiché, come aveva ben compreso e dimostrato Herbert Marcuse nel suo classico saggio “L’uomo a una dimensione” (1964), la costruzione e la produzione del consenso al potere dominante passa innanzitutto attraverso il controllo e la manipolazione della sfera psichica delle persone.

Pertanto, in attesa che, come ha suggerito argutamente Leonardo Pieraccioni, la Coop – che è la maggiore concorrente di Esselunga nel campo della grande distribuzione – metta a punto “un contro-spot” ancora più tenero di quello in discussione, vi è da augurarsi che lo sfruttamento dei buoni sentimenti nel campo della pubblicità commerciale trovi il suo limite nella consapevolezza critica che, se è vero, come una volta si usava dire per giustificarla, che la pubblicità è l’anima del commercio, oggi è ancor più vero che il commercio dell’anima, autentica essenza del messaggio qui discusso, non può giustificare nulla di etico e di sociale tanto agli occhi dei favorevoli quanto a quelli dei contrari, tranne la legge del profitto per cui quel messaggio è stato concepito, prodotto e diffuso.

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9 Commenti


  • Eros Barone

    Premetto che la colpa è mia se mi sono permesso di usare un arcaismo letterario (ma la nostra lingua è talmente bella e così ricca di vocaboli che attingere al patrimonio delle voci desuete può anche essere, oltre che lecito, utile), preciso che il significato esatto del vocabolo ‘ingluvie’ è quello di voracità e ingordigia. Volete una prova? Contate il numero di ‘spot’ dedicati al consumo di cibo e di dolci che affollano la pubblicità televisiva e potrete verificare perché “i consumisti mangiano i bambini”…


    • Redazione Contropiano

      ci eravamo in effetti rivolti alla Treccani… 🙂


  • Mauro

    Non so se ci avete fatto caso ma nel 90% delle pubblicità delle colazioni pranzi e cene con lettura finale al bambino/a di una fiaba prima di dormire è sparita la mamma… c’è solo il papà…


  • Giancarlo Staffo

    Tutta la pubblicità è “molestia emotiva ingannevole”, modello ideologico diseducativo, tassa sul prezzo delle merci, andrebbbbe abolita a cominciare dal divieto di usare i bambini nella pubblicità. Ma servirà una rottura rivoluzionaria totale. Critiche come quella di Barone
    sono sempre importanti


  • Stefano De Stefano

    Non me n’ero nemmeno accorto di questo spot pubblicitario e, in verità, non capisco il clamore e l’importanza che gli state dando. Pubblicità = profitto, da sempre, anche un secolo fa. Oggi le aziende sono in grado di individuare modalità originali per piazzare i loro prodotti: ma che è una novità? Solo che loro, le aziende, studiano la società e si aggiornano sui meccanismi evolutivi e modulano gli interventi di vendita in maniera finalizzata al profitto, senza badare troppo a etica e moralismi d’accatto. È lotta di classe, l’hanno imparata sul campo …… e noi?


    • Redazione Contropiano

      Fosse stato solo Pubblicità = profitto non ne avrebbe parlato nessuno. Siamo sommersi di pubblicità… Non vedere quel che accade e dirsi che è sempre “tutto uguale” rende miopi…


  • Eros Barone

    “Non vedere quel che accade e dirsi che è sempre ‘tutto uguale’ rende miopi…”. Questa avvertenza metodologica è fondamentale ai fini della corretta impostazione della lotta teorica e ideologica, e la ragione è di carattere logico. Infatti, i teoremi marxisti sono costituiti da proposizioni universali (proposizioni, per attenerci al caso specifico, del tipo seguente: “Il fine di tutti i messaggi pubblicitari concepiti, prodotti e diffusi in una società capitalistica è quello di ridurre le persone [quindi non solo i valori d’uso] a merci [ossia a valori di scambio]”). Orbene, una proposizione universale concernente una classe di enti può essere confutata, in sede logica, da un solo caso contrario (è questa la base del principio popperiano di falsificabilità): ecco perché è necessaria – e ha da essere incessante – la lotta ideologica e teorica contro le molteplici negazioni di questa proposizione, le quali non sono affatto eguali l’una all’altra e richiedono perciò una critica di carattere specifico sia sul piano logico (lotta di classe teorica) sia sul piano ideologico (lotta di classe per l’egemonia).
    Chiaramente, quello che io ho operato è un rovesciamento dialettico (tecnica che ho appreso alla scuola di Hegel e di Marx): dalla pubblicità che è l’anima del commercio al commercio dell’anima che è l’essenza della pubblicità. In termini più tecnici, si potrebbe sviluppare, seguendo l’Adorno dei “Minima moralia”, la traccia teoretica contenuta nell’aforisma secondo cui “il tutto è il falso”, sicché anche la dialettica può configurarsi come parte del falso in quanto è l’ontologia della condizione falsa. Del resto, in ciò sta sia la sua verità che la sua falsità: essa è vera nella misura in cui dice la verità sul falso, ovvero è critica immanente [nel caso specifico è l’approccio realistico alla crisi delle unioni coniugali e, più in generale, della famiglia, che costituisce il ‘merito’ dello spot di Esselunga]; ma falsa perché la verità sul falso ancora non è il vero [sia nel senso che, fermo restando che “il tutto è il falso”, la legge del profitto, cui è funzionale quello ‘spot’, deforma e distorce quanto di sano e di autentico vi è in esso, sia nel senso che non può indicare, se non in modo regressivo e mitologico, un’alternativa a quella crisi della famiglia di cui proprio la legge del profitto, su cui si fonda la società capitalistica, è la madre sempre incinta].


  • Ciccio

    scopo della pubblicità è quello di attirare l’attenzione per vendere un prodotto, una merce, un prodotto. evidentemente chi ha curato la campagna della Esselunga lo sa bene e vedo che è riuscito benissimo ad attirare l’attenzione e quindi lo spot è andato a buon segno. ma dico compagni è una vita che la pubblicità utilizza i simboli e i valori della società, sfrutta il corpo della donna, i buoni sentimenti e i casi meno meno umani che mai…di cosa vi meravigliate? non riesco a capire.


    • Redazione Contropiano

      siamo sommersi dalla pubblicità, tutti i giorni a tutte le ore…
      Se una “buca” l’attenzione, è meglio provare a capire, invece che rinchiudersi nel “non voglio capire” cosa sta succedendo…

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