Non mi è facile scrivere di Giovanna Marini, ora che non c’è più, per almeno due ragioni. La prima, personale ed emotiva, è che non avrei mai voluto parlarne al passato; a dispetto del tempo che passava, dell’età e delle malattie, avrei desiderato che Giovanna restasse sempre con noi, a cantarci la vita delle classi subalterne con la sua voce acuta, decisa e forte quanto delicata e pietosa.
Il secondo è che è impossibile scrivere di Giovanna Marini senza dimenticare qualcosa della sua lunga e bella storia musicale e politica. Mi affiderò quindi al flusso dei ricordi, in un esercizio quasi autobiografico, poiché la sua voce ha accompagnato tutta la mia vita, da quando ho avuto l’età per ascoltarla.
Nel mio ultimo libro ho scritto che il Nuovo Canzoniere Italiano, di cui Giovanna fece parte a lungo, era capace, con i suoi concerti, di emozionare, convincere e far stare assieme, negli anni settanta, i giovani della FGCI e quella della “nuova sinistra”.
Credo che questa qualità di quel gruppo-collettivo, in cui sono passati per periodi più o meno lunghi, spezzati da dissensi e fratture politico-musicali, tutti i più importanti cantanti del folk revival e della canzone politica italiana, fosse dovuta al mettere in scena con semplicità, pari solo alla competenza e all’entusiasmo politico, la vita, le lotte, le aspirazioni delle classi popolari, rappresentate sia nei loro aspetti drammatici quanto in quelli ironici e satirici.
Dei componenti del Nuovo Canzoniere Italiano, tuttavia, Giovanna Marini era l’unica a provenire da una formazione classica. Figlia del compositore Giovanni Salviucci, diplomata al Conservatorio, allieva del grande Andrés Segovia avrebbe potuto avviarsi, e in parte lo fece, a una brillante carriera nel campo della musica “colta”. Tuttavia, come spesso capita, gli incontri, il destino e in questo caso anche la passione politica, la portarono altrove.
Nei concerti di Giovanna Marini il canto popolare si fondeva con le istanze di liberazione delle classi subalterne. Raccontava quando, invitata a tenere un concerto in una piccola città del centro Italia, fu interrotta da uno degli organizzatori che disse “Questa non è musica, questa è politica”. Costui evidentemente s’aspettava altro tipo di musica, quella facilona e popolareggiante dei complessi folkloristici che si limitano alla maldestra ripresa di qualche melodia locale.
Sicuramente, per Giovanna fu decisivo l’incontro con Giovanna Daffini, già mondina, cantante e cantastorie, con il marito, della provincia di Mantova. Fu proprio studiando il suo canto che Giovanna Marini apprese lo stile e le modalità di canto popolari, l’impostazione della voce che ripropose liberamente in seguito in tanti concerti e dischi.
Ricordo che rispetto al canto delle mondine della pianura padana, Giovanna diceva che per comprendere quale fosse l’impostazione dei loro canti sul lavoro, si dovesse osservare la loro posizione quando erano piegate a pulire il riso, quindi a capo chino, con una possibilità di emissione diaframmatica quasi nulla e quindi capire che il loro canto usciva “dagli zigomi”.
Così ha fatto Giovanna Marini per tutta la sua lunga carriera: il suo studio del canto popolare era sempre contestualizzato, approfondito, personale e non si basava sulle sole trascrizioni o registrazioni.
Il suo lavoro sul canto popolare l’ha portata a collaborare con tutti i ricercatori più importanti nel campo della musica folklorica italiana: Diego Carpitella, Roberto Leydi, ma anche con antropologi come Alberto Mario Cirese oppure con Luigi Nono quando quest’ultimo raccoglieva i canti popolari veneti.
Certa che la tradizione, le tecniche e il modo di far musica delle classi subalterne debba trovare continuità nelle giovani generazioni, Giovanna Marini è stata anche didatta. Fondò la Scuola Popolare di musica del Testaccio, che ha formato nella sua storia molti musicisti che al canto popolare fanno riferimento e presso la quale si è costituita un’orchestra che tiene concerti in tutta Italia.
Non sono mancate, nella vita di Giovanna Marini, le collaborazioni con alcuni tra i migliori cantautori, che ne apprezzavano l’impegno e la ricerca, primo tra tutti Francesco De Gregori. Così come sono stati anche numerosi i ritorni alla musica classica, come quando musicò Le Troiane di Euripide o quando presentò l’opera La bague magique, composta durante il suo periodo di vita a Parigi.
Anche la sua nota canzone Ragazzo gentile, dedicata a Pasolini, riprende un motivo dalla musica classica, quello di un Improvviso di Schubert. Il rapporto culturale e umano con lo scrittore friulano, a cui è dedicato anche il Lamento per la morte di Pasolini, è peraltro molto presente nella carriera di Giovanna Marini, basti ricordare che proprio su suoi testi si basa in gran parte il disco Correvano coi carri.
Infine, mi sembra importante ricordare Giovanna Marini come una cantastorie degli eventi e dei decenni di lotte popolari attraversati dalla sua vita, come, per citarne due: Il giorno in cui morì Zibecchi e I treni per Reggio Calabria, in cui si narra della grande manifestazione sindacale del 1972 che fece piazza pulita dei “boia chi molla” di Ciccio Franco.
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Sergio Binazzi
ciao Giovanna sarai sempre nel nostro cuore ❤️ cara compagna. in quei indimenticabili anni di dura lotta ci hai accompagnato e allietato con la tua musica meravigliosa e con la tua sempre cara presenza in ogni circostanza.