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Sociologia di Alain Delon

Ci lasciava, l’altro ieri, Alain Delon. A ottantotto anni il divo francese si è congedato da una vita che, come lui stesso diceva, da tempo gli era diventata estranea e pesante.

Immediatamente i social si sono messi in moto. Celebrazioni, ricordi, considerazioni politiche, estetiche, cinematografiche.

Era fascista, leggo su molti post. E quindi? Mi domando. Fascisti, anzi nazisti, erano Céline, Ezra Pound, Leni Riefenstahl, Von Karajan, Heidegger.

E decisamente reazionari e conservatori furono e sono Errol Flynn, Charlton Heston, il grandissimo Clint Eastwood.

Walter Chiari, Giorgio Albertazzi, Carlo Dapporto, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni e persino Cesare Pavese – che scrisse due lettere di stima e sottomissione al Duce – furono iscritti alla Repubblica Sociale.

La Sofia nazionale è zia niente di meno che della Mussolini. E non è certo una sinistrorsa. Neanche un esempio di virtù cardinali o artistiche per la verità. Potrei andare avanti ma non credo sia necessario.

Era omofobo e maschilista Delon, scrivono ancora in molti. Beh, trovatemi un uomo degli anni Trenta del secolo scorso che non lo fosse. Persino Che Guevara lo era. Era la cultura del tempo.

Picchiava le donne ed era un pessimo padre. Certo, aspetti deplorevoli e finanche vergognosi. Ma qua se andiamo di morale dovremmo impiccarci tutti.

A cominciare dai cattolici. Per proseguire con comunisti e anarchici. «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» diceva un tale che di queste cose se ne intendeva.

Ma soprattutto, se vogliamo utilizzare la matita rossa e blu del politically correct non solo non campiamo più. Ma l’arte tutta dovremmo metterla in un cesso.

Come purtroppo in questo arbitrario delirio antidialettico contemporaneo sta spesso accadendo.

A maggior ragione se l‘arte la giudichiamo in relazione alla vita suoi creatori. Da Rimbaud a Mozart. Da Picasso a Modigliani. Da Brando a Bette Davis. Da Bukowski a Carmelo Bene.

Fino a quello sregolato soggetto geniale che fu l’artista pallonaro Maradona. Gente per lo più pessima nella vita privata.

Una cosa che non perdono però a Delon è l’aver sparato sui vietnamiti in quanto legionario nella guerra di Indocina.

Ciò detto, stiamo ai fatti. E soprattutto stiamo al Cinema.

Era bellissimo Alain. Non discuto. Anche se a me non diceva molto. Troppo carino. Troppo effeminato.

Come bellezza maschile preferivo Marlon Brando. Che quanto a carisma, fascino e soprattutto bravura attoriale se lo fumava arravogliato dentro ad uno spinello.

Anche come “maledetto” Delon era poca cosa. Vuoi mettere l’angelo luciferino Helmut Berger che girava col pippotto per la cocaina appeso al collo?

Ma Delon piaceva indiscutibilmente ad uomini e donne. A mia madre no. Diceva che era na meza femmena”.

A lei, oggi novantenne, piacevano e piacciono uomini più alti e maschi. A me però m’ha fatto curto. Curto ma bello. E maschio. E sì, oramai me lo dico da solo. Che tristezza!

Insomma, a mammà piaceva Rock Hudson. Che quanto a virilità era piuttosto discutibile. E immaginate dunque come ci rimase quando seppe che era gay. Una tragedia.

Ad ogni modo Delon lavorava soprattutto perché di evidente apolinnea bellezza. E perché di lui si innamoravano tanti registi. Oltre ovviamente a tantissime donne e partner sul set.

E allora diciamola tutta. È morto un sogno. E i sogni, si sa, svaniscono all’alba. Lasciando impercettibili, confuse sensazioni.

È morta una leggenda. Ma una leggenda da rotocalco. Un’icona, dicono molti. Piuttosto un’immagine incendiata sulla celluloide, dico io. Come le statue filiformi di Giacometti.

Una storia da gossip in un cinema mitico. Una visione sgranata dal tempo. La visione contemplata dentro uno specchio infranto, che il narciso Alain non seppe ricomporre.

È morto un riflesso d’estate. Una forma plagiata da Apollo. Non certo l’incubo suscitato dal conturbante Dioniso della rinascita. Lo strazio della poesia che lacera l’anima e l’intelligenza, fino a desiderare la morte.

Le sue interpretazioni “memorabili” sono il frutto del lavoro di grandissimi registi. Visconti, Antonioni, Melville, Duvivier, Malle. Non certo della sua raffinata arte recitativa.

Con Delon se ne va, insomma, la bambola Barbie versione maschile del cinema d’oltralpe.

Gli attori, gli artisti, la bellezza crudele che sanguina sono un’ altra faccenda.

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