La Casa Bianca e i leader del Congresso raggiungono in extremis – pocho minuti prima dellìapertura dell borsa di Tokyo – un accordo sull’aumento del tetto del debito. Una soluzione che non è quella che il presidente Barack Obama voleva, ma che «mette fine alla crisi che Washington ha imposto all’America» ed «evita di ritrovarci in una crisi simile fra 6, 8 o 12 mesi». Non è affattp detto che sarù così, ma per il momento l’esplosione di tutti i problemi sistemici rappresentati dal debito Usa sono rinviati ad altra data. O occasione.
Ma non potevano permettersi, con un mancato accordo, che oggi le borse mondiali conoscessero un terremoto da far rimpiangere il 1929 e di cui gli Usa avrebbero portato per intero, agli occhi del mondo, la responsabilità.
Il presidente annuncia l’accordo 10 minuti prima dell’apertura della borsa di Tokyo, per rassicurare i mercati dopo un fine settimana convulso. E, ammette Obama, «non è ancora fatta». «Mancano voti importanti», quello della Camera e quello del Senato, e non sarà facile. Il Congresso voterà probabilmente in giornata sull’accordo. Il leader dei democratici alla Camera, Nancy Pelosi, si è riservata di decidere se appoggiarlo o meno dopo averlo esaminato. Il leader dei democratici in Senato, Harry Reid, avrà bisogno di voti repubblicani per l’approvazione. Il peso raggiunto dagli estremisti del Tea Party segnala anche che la capacità di governo dei partiti tradizionali è oggi fortemente compromessa, entrando il balia di “pazzi furiosi” che ragionano in trermini ideologici precapitalistici, solleticando paure antiche e profonde. Gente secondo cui persino l’istruzione è solo un costo, “gli insegnanti non producono nulla”.
«I leader dei partiti, di tutte e due le camere, hanno raggiunto un accordo che ridurrà il deficit ed eviterà il default, che avrebbe avuto un effetto devastante sulla nostra economia – afferma Obama -. La prima parte dell’accordo taglierà le spese di 1.000 miliardi di dollari in dieci anni. Il risultato sarà il livello più basso di spesa nazionale da quando Dwight Eisenhower era presidente, ma a un livello che ci consentirà ancora di fare investimenti per creare occupazione in settori come l’istruzione e la ricerca. I tagli non avverranno velocemente, per non pesare sulla fragile economia».
L’accordo assicura a Obama un aumento del tetto del debito di 2.100 miliardi di dollari, «eliminando la necessità di ulteriori aumenti fino al 2013», scacciando lo spettro del default e rimuovendo l’incertezza dall’economia.
Ma è la seconda parte dell’accordo quella centrale. Obama, con una stoccata a repubblicani e democratici, ribadisce che «agli americani più ricchi e alle grandi aziende va chiesto di pagare il giusto, rinunciando agli sgravi fiscali e alle speciali deduzioni». Sono anche necessari «aggiustamenti modesti a programmi come il Medicare, per assicurare che resistano per le prossime generazioni». «È per questo che la seconda parte dell’accordo è così importante – ha detto il presidente – È prevista la creazione di una commissione bipartisan del Congresso che dovrà avanzare entro novembre una proposta per ridurre ulteriormente il deficit, proposta che sarà sottoposta al Congresso per il voto. In questa fase tutto sarà sul tavolo. Per renderci tutti responsabili dell’attuazione di queste riforme, tagli profondi andranno automaticamente in vigore se non agiremo». Quindi tutto lo scontro su chi dovesse pagare il costo di questo aggiustamento si è risolto con una ricetta di soli tagli alla spesa pubblica (ovvero dipendenti pubblici, pensioni, scuole), senza alcun aumento delle tasse per i più ricchi e le grandi società.
«È questo l’accordo che preferivo? No – ha commentato Obama – Ritengo che avremmo potuto fare subito le dure scelte richieste sul welfare e sulla riforma del sistema fiscale, invece che con una commissione speciale. Ma questo compromesso è un anticipo sulla riduzione del deficit di cui abbiamo bisogno, e offre a ogni partito l’incentivo per un piano bilanciato entro la fine dell’anno».
«È un accordo storico che mette fine a un’impasse pericolosa», evidenzia anche il leader democratico del Senato, Harry Reid. «Non è l’accordo migliore del mondo – osserva lo speaker repubblicano della Camera, John Boehner – ma mostra come i repubblicani siano riusciti a cambiare i toni del dibattito».
Ancora nella notte sono proseguiti gli incontri per mettere a punto i dettagli.
Il leader dei democrarici in Senato, Harry Reid, ha dato la sua approvazione all’accordo in attesa dell’ok dei democratici in Senato. L’accordo prevedrebbe, secondo indiscrezioni riportate dal Wall Street Journal, un auemnto del tetto del debito di 2.400 miliardi di dollari in tre fasi e tagli di eguale entità. La prima fase di tagli sarebbe da 900 miliardi di dollari. La seconda fase da 1.500 miliardi di dollari sarebbe determinata da una commissione bipartisan. La corsa è contro il tempo per evitare il default: la scadenza del 2 agosto si avvicina e il mondo guarda agli Stati Uniti con «trepidazione, ansia e preoccupazione» afferma il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Christine Lagarde. La Gran Bretagna e il Giappone mettono in guardia dal «severo impatto» che un mancato accordo potrebbe avere sull’economia mondiale. «Siamo molto vicini» ha detto nelle ultime ore il leader dei repubblicani in Senato, Mitch McConnell. «Sono cautamente ottimista» gli fa eco il leader dei democratici in Senato, Harry Reid. Le negoziazioni vanno avanti alla Casa Bianca per raggiungere un accordo in extremis e rassicurare i mercati, che domani potrebbero innervosirsi sull’impasse di Washington. Un accordo rappresenterebbe un «sollievo» evidenzia l’amministratore delegato di Pimco, Mohamed El-Erian, avvertendo che non scongiura comunque il rischio di un downgrade. Un accordo farebbe bene all’economia: allontanerebbe l’incertezza – mette in evidenza Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics – e aiuterebbe il mercato del lavoro. Il Senato è riunito ma in pausa dopo il voto sul piano di riduzione del deficit e del debito da 2.400 miliardi di dollari di Reid. Il Senato lo ha respinto ma lo stop è temporaneo e, se un accordo definitivo sarà raggiunto, potrebbe essere usato come veicolo per avanzarlo in Congresso. Reid «spera» di votare in nottata l’accordo sull’aumento del tetto del debito.
Al momento, uno schema riassuntivo sembra questo.
L’accordo sull’aumento del tetto del debito assicura una riduzione del deficit immediata di 1.000 miliardi di dollari e un aumento del tetto del debito di almeno 2.100 miliardi di dollari.
Taglio immediato delle spese di 1.000 miliardi di dollari. – Il presidente è autorizzato ad aumentare il tetto del debito di almeno 2.100 miliardi di dollari, «eliminando la necessità di ulteriori aumenti fino al 2013». – Il piano prevede la creazione di una commissione bipartisan per determinare ulteriori tagli per 1.500 miliardi di dollari. la Commissione dovrà avanzare le proprie raccomandazioni entro il 23 novembre prossimo. Il Congresso dovrà votarle entro il 23 dicembre prossimo. – Se la commissione non determinerà i tagli, scatteranno dei meccanismi automatici di riduzione delle spese a partire dal 2013.
L’accordo intende rimuovere l’incertezza fino al 2013, placando i venti contrari all’economia: «assicurando un aumento del tetto del debito di almeno 2.100 miliardi di dollari, l’accordo rimuove lo spettro del default e offre un’importante certezza all’economia in un momento delicato». I meccanismi automatici di taglio alle spese non inizieranno prima del 2013, per evitare di rallentare la ripresa.
L’accordo prevede oltre 900 miliardi di dollari di risparmi in 10 anni, con un tetto alle spese discrezionali. Queste ultime sono ridotte ai minimi da quando era presidente Dwight Eisenhower.
L’accordo prevede la creazione di una commissione che dovrà determinare ulteriori 1.500 miliardi di dollari di tagli e considererà la riforma del welfare e del sistema fiscale: «Questo significa che le priorità dei partiti saranno sul tavolo, anche la riforma del welfare e un aumento delle entrate con la riforma delle tasse».
Il piano prevede che se la commissione fallirà nel determinare ulteriori tagli per 1.500 miliardi di dollari, scatteranno meccanismi automatici che assicureranno tagli per almeno 1.200 miliardi dollari. «I meccanismi sono un forte incentivo per i partiti per sedersi al tavolo».
Qui di seguto, le prime reazioni della stampa italiana alla notizia.
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da Repubblica
Debito Usa, Obama annuncia: “C’è l’accordo”
aumento del tetto e tagli, no a nuove tasse
L’intervento del presidente: “Evitato il default”. Il voto, prima al Senato e poi alla Camera, dovrebbe avvenire in giornata. L’accordo prevede l’innalzamento del tetto e tagli di spesa in fasi successive. Accelerano le borse asiatiche dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
NEW YORK – L’incubo-default è finito, i mercati esultano, la minaccia che incombeva sull’economia mondiale si dissolve. Sono le 20.40 a Washington (le 2.40 del mattino in Italia) quando Barack Obama dà l’attesa notizia alla nazione, al culmine di una domenica di spasmodica attesa: “Mancano ancora delle importanti votazioni al Congresso, ma voglio annunciare che i leader dei due partiti, nelle due Camere, hanno raggiunto un accordo che ridurrà il deficit ed eviterà il default, un default che avrebbe avuto un effetto devastante sulla nostra economia. Comincia a diradarsi l’incertezza che pesava sulla nostra economia”.
Il capo dei democratici al Senato, Harry Reid, parla di “storico compromesso bipartisan che mette fine a uno stallo pericoloso”. Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, attribuisce al suo partito una sostanziale vittoria: “Non c’è nulla in questo accordo che contraddica i nostri principi. Abbiamo ottenuto che non ci siano nuove tasse”.
Nelle prime reazioni c’è già una sintesi di bilancio politico: per Obama è un successo perché è stata evitata una catastrofe, il suo talento di negoziatore è premiato, si conferma la sua immagine di statista che mette l’interesse della nazione al di sopra dei calcoli di parte; ma la destra ha avuto partita vinta su molti contenuti. L’America rovescia completamente il segno della politica economica che aveva adottato con Obama durante la recessione del 2008-2009, dalle manovre di sostegno alla crescita passa a drastici tagli di spesa, inaugura l’èra della grande austerità.
I mercati reagiscono subito positivamente, con un rialzo delle Borse asiatiche, le prime ad aprire mentre giunge la notizia dell’accordo di Washington.
Il primo effetto dell’intesa – sempre che oggi ottenga i voti necessari alla Camera e al Senato – è di rialzare il tetto del debito pubblico, giusto in tempo perché il Tesoro sia autorizzato a lanciare nuove emissioni di titoli pubblici. Non s’interromperà il regolare pagamento di stipendi, pensioni, cedole sui titoli di Stato, come rischiava di accadere da stasera. Il rialzo del tetto del debito da parte del Congresso – una condizione necessaria negli Stati Uniti in virtù di una legge del 1917 – è previsto in due tempi. Una prima tranche di aumento, pari a 900 miliardi di dollari, deve scattare subito, accompagnata da immediati tagli di spese pubbliche pari a 917 miliardi.
La seconda tranche di aumento del tetto del debito, tra i 1.100 e i 1.500 miliardi, è condizionata a nuovi tagli di spese per un ammontare equivalente, che devono essere definiti da una commissione paritetica nominata dai quattro leader democratici e repubblicani di Camera e Senato. Qualora quella commissione non arrivi a un accordo in tempo utile, scatteranno tagli automatici suddivisi per il 50% sulle spese di difesa e per il 50% su spese sociali incluso il Medicare (assistenza sanitaria agli anziani).
Insieme al sollievo per lo scampato pericolo, nelle prime reazioni spiccano i malumori di molti parlamentari delle due frange più radicali: l’ala sinistra del partito democratico e alcuni esponenti della destra anti-tasse che fa riferimento al Tea Party. Questi ultimi avrebbero voluto una norma costituzionale sull’obbligo di pareggiare il bilancio.
Ma è soprattutto a sinistra che i malumori si fanno sentire. Nancy Pelosi, capogruppo dei democratici alla Camera, non ha voluto fare previsioni sull’esito del voto di oggi: “Esaminerò la proposta legislativa col mio gruppo parlamentare, per vedere quale livello di sostegno possiamo raggiungere”. In quanto al presidente della Camera, il repubblicano Boehner, deve riuscire a raccogliere almeno la metà dei suoi 240 deputati.
Oltre che nel segno di una manovra economica fortemente restrittiva, e senza nuove tasse, la destra è vittoriosa anche per il metodo: è riuscita a creare un precedente, trasformando in uno strumento di ricatto sul presidente quell’autorizzazione di aumento del debito pubblico che in passato era un atto dovuto e di routine, visto che il debito è la risultante di leggi di spesa già approvate dallo stesso Congresso.
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Da Repubblica
Debito Usa, Obama annuncia: “C’è l’accordo”
aumento del tetto e tagli, no a nuove tasse
L’intervento del presidente: “Evitato il default”. Il voto, prima al Senato e poi alla Camera, dovrebbe avvenire in giornata. L’accordo prevede l’innalzamento del tetto e tagli di spesa in fasi successive. Accelerano le borse asiatiche dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
Obama durante l’annuncio del raggiunto accordo
NEW YORK – L’incubo-default è finito, i mercati esultano, la minaccia che incombeva sull’economia mondiale si dissolve. Sono le 20.40 a Washington (le 2.40 del mattino in Italia) quando Barack Obama dà l’attesa notizia alla nazione, al culmine di una domenica di spasmodica attesa: “Mancano ancora delle importanti votazioni al Congresso, ma voglio annunciare che i leader dei due partiti, nelle due Camere, hanno raggiunto un accordo che ridurrà il deficit ed eviterà il default, un default che avrebbe avuto un effetto devastante sulla nostra economia. Comincia a diradarsi l’incertezza che pesava sulla nostra economia”.
Il capo dei democratici al Senato, Harry Reid, parla di “storico compromesso bipartisan che mette fine a uno stallo pericoloso”. Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, attribuisce al suo partito una sostanziale vittoria: “Non c’è nulla in questo accordo che contraddica i nostri principi. Abbiamo ottenuto che non ci siano nuove tasse”.
Nelle prime reazioni c’è già una sintesi di bilancio politico: per Obama è un successo perché è stata evitata una catastrofe, il suo talento di negoziatore è premiato, si conferma la sua immagine di statista che mette l’interesse della nazione al di sopra dei calcoli di parte; ma la destra ha avuto partita vinta su molti contenuti. L’America rovescia completamente il segno della politica economica che aveva adottato con Obama durante la recessione del 2008-2009, dalle manovre di sostegno alla crescita passa a drastici tagli di spesa, inaugura l’èra della grande austerità.
I mercati reagiscono subito positivamente, con un rialzo delle Borse asiatiche, le prime ad aprire mentre giunge la notizia dell’accordo di Washington.
Il primo effetto dell’intesa – sempre che oggi ottenga i voti necessari alla Camera e al Senato – è di rialzare il tetto del debito pubblico, giusto in tempo perché il Tesoro sia autorizzato a lanciare nuove emissioni di titoli pubblici. Non s’interromperà il regolare pagamento di stipendi, pensioni, cedole sui titoli di Stato, come rischiava di accadere da stasera. Il rialzo del tetto del debito da parte del Congresso – una condizione necessaria negli Stati Uniti in virtù di una legge del 1917 – è previsto in due tempi. Una prima tranche di aumento, pari a 900 miliardi di dollari, deve scattare subito, accompagnata da immediati tagli di spese pubbliche pari a 917 miliardi.
La seconda tranche di aumento del tetto del debito, tra i 1.100 e i 1.500 miliardi, è condizionata a nuovi tagli di spese per un ammontare equivalente, che devono essere definiti da una commissione paritetica nominata dai quattro leader democratici e repubblicani di Camera e Senato. Qualora quella commissione non arrivi a un accordo in tempo utile, scatteranno tagli automatici suddivisi per il 50% sulle spese di difesa e per il 50% su spese sociali incluso il Medicare (assistenza sanitaria agli anziani).
Insieme al sollievo per lo scampato pericolo, nelle prime reazioni spiccano i malumori di molti parlamentari delle due frange più radicali: l’ala sinistra del partito democratico e alcuni esponenti della destra anti-tasse che fa riferimento al Tea Party. Questi ultimi avrebbero voluto una norma costituzionale sull’obbligo di pareggiare il bilancio.
Ma è soprattutto a sinistra che i malumori si fanno sentire. Nancy Pelosi, capogruppo dei democratici alla Camera, non ha voluto fare previsioni sull’esito del voto di oggi: “Esaminerò la proposta legislativa col mio gruppo parlamentare, per vedere quale livello di sostegno possiamo raggiungere”. In quanto al presidente della Camera, il repubblicano Boehner, deve riuscire a raccogliere almeno la metà dei suoi 240 deputati.
Oltre che nel segno di una manovra economica fortemente restrittiva, e senza nuove tasse, la destra è vittoriosa anche per il metodo: è riuscita a creare un precedente, trasformando in uno strumento di ricatto sul presidente quell’autorizzazione di aumento del debito pubblico che in passato era un atto dovuto e di routine, visto che il debito è la risultante di leggi di spesa già approvate dallo stesso Congresso.
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dal Corriere della sera
L’annuncio di Obama: “C’è l’intesa
sui tagli al deficit e contro il default”
Accordo su 2,1 trilioni di dollari di aumento del debito e 2,5 trilioni di tagli in 10 anni. Il presidente tradisce amarezza per i cedimenti fatti: “Non è questo l’accordo che avrei preferito”. Ora Camera e Senato alla prova del voto. Resistenze da parte del Tea Party e dei progressisti “Voglio annunciare che i leader dei partiti democratico e repubblicano, alla Camera e al Senato, hanno raggiunto un accordo per ridurre il deficit ed evitare un default che avrebbe avuto effetti devastanti per la nostra economia”. Sono le 20,40 ora di Washington, le 2,40 in Italia, quando il presidente americano Barack Obama parla dalla Brady’s Room della Casa Bianca per far sapere che l’intesa sul debito fra Casa Bianca e Congresso è stata raggiunta. L’orario non è casuale perché coincide con l’apertura delle contrattazioni a Tokio, la prima delle Borse asiatiche ad aprire, e punta dunque a scongiurare panico ed incertezza sui mercati internazionali. Pochi attimi prima è stato John Boehner, presidente repubblicano della Camera, a chiamare a Obama confermando l’accordo. D’intesa con il presidente si muovono Harry Reid e Mitch McConnell, leader democratico e repubblicano al Senato, che intervengono in aula per dire che “l’accordo c’è”. E’ Obama stesso che lo illustra. “La prima parte riguarda il taglio di 1 trilione di dollari di spesa nei prossimi 10 anni che porterà la spesa pubblica ai livelli più bassi dai tempi di Dwight Eisenhower” mentre “nella seconda si stabilisce la creazione di una commissione bipartisan del Congresso che entro novembre farà ulteriori proposte per ridurre il deficit” di altri 1,5 trilioni di dollari. In complesso dunque la riduzione del deficit sarà di 2,5 trilioni di dollari in 10 anni a fronte di un incremento del limite del debito di 2,1 trilioni, eliminando la necessità di ulteriori incrementi fino al 2013 ovvero dopo il termine dell’anno elettorale.
Obama non nega un certo disappunto per come il lungo negoziato si è concluso, a causa delle numerose concessioni fatte ai repubblicani. “E’ questo l’accordo che avrei preferito? No, ma questo compromesso include i necessari anticipi della riduzione del debito e garantisce ad ogni partito incentivi forti per arrivare ad un piano bilanciato entro la fine dell’anno”. Per “piano bilanciato” Obama intende l’equilibrio fra tagli e entrate che al momento non c’è per via del cedimento ai repubblicani, che hanno ottenuto l’eliminazione di ogni incremento di imposte. L’annuncio di Obama punta a far sapere al mondo intero che Casa Bianca e Congresso sono d’accordo su come scongiurare il default alla vigilia della scadenza del 2 agosto. Ma “ancora non è finita”, come lo stesso Obama dice al termine, perché Camera e Senato devono votare un identico testo prima che possa essere promulgato dalla firma del presidente. Da questa mattina riprende dunque la maratona di negoziati a Capitol Hill, dove il voto favorevole del Senato appare meno incerto rispetto alla Camera perché tanto i deputati repubblicani del Tea Party che quelli democratici del gruppo progressista manifestano palesi dissensi che potrebbero mettere a dura prova l’intesa.
Maurizio Molinari
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