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Palestina. Dallo scambio di prigionieri mancano Barghouti e Saadat

Qui di seguito gli articoli di Michele Giorgio sul Manifesto e Giorgia Grifoni sull’agenzia Nenanews


1027 contro uno: Shalit
Tanti saranno i palestinese liberati in cambio del militare israeliano Lo scambio forse già lunedì. Fra i liberati non ci saranno Marwan Barghouti nè Ahmad Saadat

 

Michele Giorgio*

 

Gilad Shalit potrebbe essere trasferito già lunedì prossimo in Egitto. Lo annunciavano ieri rappresentanti di Hamas. Altri prevedono tempi un po’ più lunghi. Nel momento in cui il caporale israeliano – catturato nel 2006 non lontano dal valico di Kerem Shalom da un commando palestinese e rimasto prigioniero a Gaza sino ad oggi – varcherà la frontiera, Israele inizierà a liberare 477 detenuti politici palestinesi che saranno ugualmente portati in Egitto e andranno poi nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah. Vi sono anche cittadini giordani tra i 1027 detenuti (mille uomini e 27 donne) che Israele libererà in cambio del rilascio di Shalit, come Elaham Tamimi. E palestinesi con la cittadinanza israeliana.
La seconda fase dell’accordo verrà messa in pratica tra due mesi, con il rilascio di altri 550 palestinesi. Con queste modalità dovrebbe svolgersi lo scambio di prigionieri tra Israele e il movimento islamico contenuto nell’accordo che le due parti hanno sottoscritto martedì al Cairo, con l’aiuto delle autorità egiziane e di un mediatore tedesco. Ma la procedura non è stata chiarita in tutti i particolari che vengono resi noti con il passare delle ore.
Sicuri che le cose «andranno bene», come ha promesso due giorni fa il premier israeliano Netanyahu, sono i genitori di Shalit che ieri hanno smontato la tenda eretta a Gerusalemme per tenere sotto pressione il governo, hanno incontrato e ringraziato il capo dello stato Peres e imboccato la strada di casa tra i festeggiamenti di migliaia di sostenitori.
Ma ieri hanno festeggiato per ore anche in Cisgiordania e Gaza. La gioia ha coivolto migliaia di palestinesi e non soltanto i famigliari dei detenuti che saranno scarcerati. Il primo prigioniero che farà ritorno a casa sarà Nail Barghouti, il «decano», che ha trascorso 34 anni dietro le sbarre dove è stato portato quando aveva 20 anni. Non verrà liberato invece un altro Barghouti, Marwan, il popolare segretario di Fatah in Cisgiordania. E neppure il segretario generale del Fronte popolare Ahmad Saadat. Sono i prigionieri più importanti, con un peso politico eccezionale che riescono a far sentire anche dalla cella in cui sono rinchiusi da 10 anni.
La loro mancata liberazione trova una spiegazione all’interno di quell’incrocio di interessi che è alla base dell’accordo raggiunto a sorpresa da Israele e Hamas dopo mesi di silenzio sullo scambio di prigionieri. Ed è chiaro che una delle due parti ha ceduto.
Su Hamas ha certamente pesato la necessità di rompere l’isolamento totale nel quale viene tenuto da anni, a causa del blocco attuato da Israele, nonché di recuperare consensi e di rispondere con un «successo» dal forte impatto nei Territori occupati alle recenti iniziative diplomatiche del rivale presidente dell’Anp Abu Mazen alle Nazioni unite che hanno raccolto molte adesioni anche a Gaza, roccaforte del movimento islamico. «E’ una vittoria, un risultato storico nazionale», ha detto il leader di Hamas, Khaled Meshaal ma a parlare di «vittoria» piuttosto dovrebbe essere il premier israeliano, che però non può farlo, per non urtare i sentimenti dei familiari delle vittime degli attentati e per non alimentare le polemiche con l’ultra-destra che lo accusa di aver venduto il paese ai «terroristi». Netanyahu, a ben guardare, ha ottenuto il soddisfacimento delle principali condizioni che aveva posto due anni fa facendo saltare all’ultimo momento l’accordo per la liberazione di Shalit e dei detenuti politici palestinesi. Il capo dell’intelligence (Shin Bet) Yoram Cohen ha preciato che 203 detenuti palestinesi non torneranno alle loro case: una quarantina andranno in esilio in vari paesi, gli altri verranno confinati a Gaza. E come chiedeva ancora Netanyahu, Hamas ha rinunciato anche alla scarcerazione di alcuni detenuti condannati per diversi attentati, Hassan Salameh e Jamal Abu Al-Hijja. Il movimento islamico comunque vivrà una nuova stagione di popolarità per essere riuscito a far uscire di prigione più di mille palestinesi in una sola volta. L’Anp lo sa, Abu Mazen è costretto a far buon viso a cattivo gioco e a dichiararsi «felice». Ma in queste ore il presidente palestinese ingerisce pillole contro il mal di stomaco.
Da parte sua Netanyahu, riportando Ghilad Shalit a casa, ricostruisce il rapporto con l’opinione pubblica israeliana dopo una estate di proteste popolari contro il carovita e la politica economica liberista del governo. Non solo, il primo ministro ritiene di aver migliorato in un colpo solo la sua immagine internazionale e di essersi segnalato come un leader «pragmatico» capace di fare «scelte dolorose» e di scendere a patti con i nemici del suo paese. Quanto gli basta per guadagnare tempo e continuare le pressioni all’Onu volte ad impedire che venga accettata la richiesta di adesione dello Stato di Palestina presentata il mese scorso da Abu Mazen al Palazzo di vetro.

 

* da Il Manifesto del 13 ottobre

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Il significato dello scambio di prigionieri

di Giorgia Grifoni*

In cambio del soldato israeliano ventiquattrenne Ghilad Shalit, verranno rilasciati più di mille prigionieri palestinesi. Una vittoria per Hamas, ma soprattutto per il governo Netanyahu.

“Un risultato nazionale”. Così il leader di Hamas Khaled Meshaal ha descritto lo storico accordo che il movimento per la resistenza islamica ha raggiunto con il governo Netanyahu: un israeliano per 1027 palestinesi. Sembrerà paradossale, ma è questo il valore dato ai prigionieri palestinesi. Come nel 1985, quando un migliaio di detenuti, tra cui il fondatore di Hamas -lo sceicco Ahmed Yassin, vennero liberati in cambio di tre soldati israeliani catturati dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Non va meglio per i libanesi: 199 prigionieri morti e 5 vivi vennero rilasciati nel 2008 a Naqura contro le salme dei due militari israeliani rapiti da Hezbollah nel 2006.

Sono prigionieri politici, ma Israele li chiama “detenuti di sicurezza” perché non riconosce l’occupazione dei territori palestinesi . Sono catturati in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est, ma per la maggior parte sono incarcerati all’interno della Linea Verde, fatto che già di per sé costituisce una violazione della Quarta Convenzione Internazionale di Ginevra che sancisce il diritto dei prigionieri a rimanere nel territorio occupato. Si stima che siano oltre 6.000 i prigionieri palestinesi detenuti da Israele e che almeno 1/5 degli abitanti dei territori occupati abbiano almeno transitato per le carceri israeliane. Circa 200 di loro sarebbero in “detenzione amministrativa”, soggetti alle autorità militari israeliane per tutta la durata della loro detenzione. Sono quelli senza capi d’imputazione né processi in corso: l’esercito decide di imprigionarli preventivamente per sei mesi, e ha il potere di estenderne il periodo di reclusione senza dover passare per un giudice. Per la legge internazionale, la detenzione amministrativa è applicabile solo in alcuni rari casi che concernono la sicurezza nazionale e i segreti di stato: per Israele, ovviamente, tutto concerne la sicurezza nazionale.

Non sono solo adulti, i detenuti. Circa 6.700 ragazzi tra i 12 e i 18 anni sono stati arrestati dalle autorità israeliane tra il 2000 e il 2009, in netta violazione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia. Nel 2010 erano 280 sparsi tra le carceri dello Stato ebraico e dei Territori occupati: sei di loro sono in detenzione amministrativa. Il numero delle donne palestinesi imprigionate ammontava invece a 36 all’inizio del 2011.

Secondo l’accordo firmato ieri al Cairo da Hamas e dal governo israeliano, tutte le donne e tutti bambini saranno liberati, assieme ai detenuti più vecchi e malati. La liberazione procederà per gradi: in una prima fase-si parla di una settimana a partire da ieri- 450 prigionieri saranno scarcerati assieme a Gilad Shalit, il soldato catturato nel 2006 da un commando palestinese vicino al valico di Kerem Shalom, nella Striscia di Gaza. Il resto di loro vedrà la libertà solo dopo un paio di mesi. Yoram Cohen, capo del Servizio di Sicurezza Interna (Shin Bet), ha spiegato nei dettagli la sorte dei prigionieri che saranno liberati nel primo gruppo: 203 di loro sono destinati all’esilio in mete ancora sconosciute, 110 torneranno alle loro case in Cisgiordania e a Gerusalemme est e 131 rientreranno a Gaza. Tra i prigionieri, ci saranno anche sei arabi israeliani. Non ci saranno però i prigionieri politici più cruciali: l’attivista politico Marwan Barghouthi, accusato di essere stato la mente della Seconda Intifada,e Ahmad Sa’dat, leader del Fplp incriminato per gli attentati compiuti dal suo movimento. Entrambi sono in prigione dal 2002.

Lo storico scambio di prigionieri non poteva avvenire in un momento migliore: per Hamas, per Netanyahu e anche per l’Egitto. E’ dal 2006 che i governi israeliani trattano con Hamas per la liberazione di Shalit: nel 2009 l’accordo era stato quasi raggiunto, ma saltò all’ultimo momento per l’irrigidimento di entrambe le posizioni sul numero dei prigionieri da liberare e sulla destinazione del loro rilascio. Anche allora, come ieri, in un primo momento si parlò della liberazione di Sa’dat e Barghouthi, voce in seguito smentita. Questa volta invece, entrambe le parti sembrano aver allentato la presa: Hamas l’ha spuntata sui nomi dei primi 450 prigionieri, mentre il restante sembra essere a scelta di Israele. Secondo il quotidiano Haaretz, i negoziatori israeliani avrebbero ridotto il numero di prigionieri con destinazione Gaza o estero rispetto a quelli che intendono rispedire in Cisgiordania, mentre Hamas avrebbe rinunciato a insistere sulla liberazione di alcuni prigionieri -di cui ancora non si sa il nome- che erano stati il punto fermo dei precedenti negoziati.

L’accordo firmato ieri e’ storico per Hamas: è riuscito a offuscare le recenti mosse diplomatiche del presidente palestinese Abu Mazen alle Nazioni Unite. L’iniziativa di settembre per l’adesione all’Onu dello Stato di Palestina, sembra ora essere passata in secondo piano. Eppure Hamas, nonostante la gloria di cui si tingerà per essere riuscito a far uscire di prigione più di mille palestinesi in una sola volta – una vittoria che distoglierà per un attimo lo sguardo dalle terribili condizioni in cui versa la Striscia di Gaza e magari ne rafforzerà il consenso in Cisgiordania – sembra aver ceduto troppo ai voleri israeliani. Troppi palestinesi in esilio, alcuni prigionieri abbandonati per strenua opposizione di Tel Aviv. Sembra che il movimento sia stato messo all’angolo: colpa di un momento in cui più di 400 detenuti palestinesi fanno lo sciopero della fame da sedici giorni interrogandosi sul perché Hamas non si unisca alla loro lotta?

Il padrone di casa, l’Egitto che ha ospitato e supervisionato le trattative, ne esce rafforzato. C’era chi lo definiva “fuori controllo” dopo la rivoluzione di gennaio: ha dimostrato di poter essere ancora il tramite tra israeliani e palestinesi nonostante il cambio di guardia, e soprattutto ha mostrato di voler essere un nuovo punto di riferimento nel “nuovo” Medio Oriente.

Il poker d’assi l’ha fatto invece Netanyahu. Alle prese con una forte contestazione interna,esposto all’opinione pubblica mondiale per le violazioni commesse dal suo paese nei confronti dei palestinesi che chiedono un posto all’Onu, è riuscito ha portare a casa il militare più famoso del mondo, in barba a tutti quelli -compresi i genitori di Gilad Shalit – che lo accusavano di non fare abbastanza. Ora ha dalla sua la commozione di un intero paese, oltre ai crediti per non essersi sottomesso alle richieste di Hamas ma al contrario, di essere uscito vincitore da questi negoziati. E a questi punti vanno ad aggiungersi quelli conquistati tra i coloni e gli ortodossi per aver deciso di legalizzare gli avamposti ebraici – illegali persino per la legge israeliana- realizzati su terre private palestinesi in Cisgiordania. Se prossimamente dovesse persino sedersi al tavolo delle trattative con Abu Mazen, entrerebbe nell’Olimpo degli eroi israeliani.

Riuscire a liberare un migliaio di detenuti palestinesi scambiandoli con un israeliano solo è davvero un risultato nazionale: peccato che questo sia l’unico modo di restituire la libertà a un gran numero di persone che, senza di esso, non vedrebbero mai rispettati i propri diritti.

* Nenanews

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