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La Spagna vota con lo spread alla tempia.

Il risultato elettorale di domani in Spagna annuncia poche incognite.
L’affermazione della destra è strasicura, in una dimensione che si annuncia storica. I Popolari di Rajoy potrebbero ottenere alle Cortes di Madrid una maggioranza assoluta debordante. L’unica incognita allo stato è quella riguardante il numero esatto di seggi e punti percentuali che separeranno il PP dai tradizionali avversari del PSOE.

Dopo aver strappato ai socialisti la stragrande maggioranza delle ‘comunidades autonomas’ alle scorse amministrative, Rajoy e i suoi potrebbero ritrovarsi domani sera una enorme fetta di potere nelle proprie mani. E con una opposizione di centrosinistra non soltanto sconfitta, ma anche umiliata. E divisa, con i vari colonnelli socialisti che già affilano le loro lame e preparano un cruento ricambio al vertice del partito. Zapatero si è dovuto già fare da parte prima della fine della legislatura e il suo vice Rubalcaba, se non riuscirà a convincere un po’ di elettorato deluso a votare comunque socialista per non permettere a Rajoy di fare l’en plein, farà una brutta fine. Ma per ora l’appello di Rubalcaba al voto utile non sta funzionando granché, almeno stando a numerosi sondaggi che prefigurano uno smacco storico per il PSOE che con il 30% circa prenderebbe solo 110 deputati contro i 200 che toccherebbero al PP, col 43-44% dei suffragi. Con una maggioranza così ampia nel Congresso Rajoy potrebbe cambiare la Costituzione oltre alla composizione dei principali organi dello stato.

Potere assoluto per Rajoy dunque? Niente affatto. Le sue ultime preoccupate dichiarazioni la dicono lunga su quale sarà lo scenario post elezioni. Rajoy si è rivolto ai mercati ed ha esplicitamente chiesto tempo: «Chi vincerà le elezioni ha diritto a un margine di tempo minimo, che deve essere più di mezz’ora».

Di fatto gli spagnoli domani voteranno con lo spread puntato alla tempia.

Alle elezioni anticipate di domani ci si è arrivati dopo un fallimento inappellabile del ‘socialismo dei cittadini’ di Zapatero e con lo spettro del fallimento. Ieri, nell’ultimo giorno di campagna, i cosiddetti mercati hanno mandato a candidati ed elettori un segnale inequivocabile, con lo spread tra i Bonos di Madrid e i Bund tedeschi oltre quota 500. I rendimenti dei Bonos hanno superato venerdì addirittura quelli dei BTP italiani. La Spagna va quindi al voto sotto la mannaia del default, del cosiddetto ‘debito sovrano’ in allarmante crescita, con un PIL al palo almeno per i prossimi due anni. I due candidati maggiori non hanno potuto neanche strumentalizzare a fini elettorali, come hanno sempre fatto i partiti spagnoli dal 1976 ad oggi, la cosiddetta lotta al terrorismo basco. La storica dichiarazione dell’abbandono delle armi da parte dell’ETA di un mese fa ha lasciato Rajoy e Rubalcaba senza argomenti, impedendogli di glissare sulle durissime condizioni in cui vivono quasi 36 milioni di ‘spagnoli’. La disoccupazione tocca ufficialmente quota 21.5%, e si prevede che il prossimo anno salirà ancora fino al 23% (45% tra i giovani di media, il che vuol dire ben oltre il 50 nelle aree depresse del sud e dell’ovest). In un paese in cui da anni la stragrande maggioranza dei posti di lavoro sono a tempo, precari, sottopagati. Contratti basura, ‘spazzatura’.

Nonostante i tagli draconiani ai servizi e al lavoro, l’aumento dell’età pensionabile e le privatizzazioni imposte dai socialisti (che però non sono bastati a mantenere in sella Zapatero), secondo le previsioni della Commissione europea la Spagna non centrerà gli obiettivi di riduzione del deficit nei prossimi 3 anni: nel 2011 il disavanzo si attesterà al 6,6%, sei decimi al di sopra di quello prefissato. I crediti a rischio insolvenza delle banche spagnole hanno raggiunto a settembre un nuovo livello record dal 1994 (dati della Banca centrale di Madrid) con un tasso del 7,16% del totale dei crediti, pari a 128 miliardi.

Cifre che hanno spazzato via l’illusione Zapaterista. E che domani sera potrebbero dare alla Spagna un governo eletto sì dai cittadini – al contrario di quello di Grecia e Italia – ma fortemente condizionato da quei poteri forti ai quali Rajoy si è rivolto apertamente in chiusura di campagna chiedendo tempo. Tempo che il nuovo premier non avrà; FMI, Commissione Europea e Banca Centrale ripetono che Madrid deve fare presto a formare un nuovo esecutivo che possa varare, entro la fine del 2011, un nuovo sanguinoso piano da decine di miliardi di euro di nuovi tagli. Rajoy ha garantito che rispetterà tutti gli impegni già presi da Zapatero con l’Ue e ha promesso lacrime e sangue: «taglieremo ovunque, meno che le pensioni». Una frase che riassume un programma elettorale declinato dal PP in maniera sempre vaga e sfuggente, per paura evidentemente di dire ad alta voce quali sono le sue intenzioni – e quelle di una Troika pronta a spodestarlo se non agirà rapidamente – e di perdere così preziosi consensi.

La maggioranza più ampia di cui ha mai goduto un premier nella Spagna tornata alla democrazia parlamentare – il 20 novembre è il 36mo anniversario della morte del dittatore Francisco Franco – corrisponde al minor grado di autonomia decisionale e al massimo grado di condizionamento da parte della speculazione e dei cosiddetti mercati.

Gli avvertimenti trasversali non sono mancati: la crisi del debito é tale che, come annotava il Wall Street Journal, «è improbabile che le elezioni possano curare i mali della Spagna» e il premier in pectore è accusato di «indeterminatezza» dal britannico The Times.

Rajoy è conscio di questa sua debolezza, tant’è che sta cercando di convincere il PSOE a dargli una mano e a  concertare insieme tagli e privatizzazioni in nome della ‘salvezza della Spagna’. Si vedrà già nei prossimi giorni se la cogestione tra PP e PSOE sarà fattibile: per quanto potrà fare in fretta Rajoy non potrà insediare il nuovo esecutivo prima del 20 dicembre e nel frattempo i suoi uomini dovranno gestire i cosiddetti ‘affari correnti’ con i ministri uscenti socialisti. Secondo il quotidiano di destra ‘la Razon’ Rajoy avrebbe previsto di affiancare subito all’esecutivo uscente un «pre-governo», che si coordinerebbe con i ministri di Zapatero. Da quello che hanno già fatto i governi regionali caduti in mano al PP si sa che il nuovo esecutivo interverrà soprattutto con privatizzazioni e tagli drastici ai servizi sociali e alle autonomie locali. Una scelta che gli costerà l’ostilità dei sindacati ma anche di tutte le forze politiche regionaliste, autonomiste ed indipendentiste schierate a difesa degli spazi di autogoverno finora appannaggio delle nazionalità non spagnole e delle regioni più in generale.

In questo quadro la campagna elettorale ha mobilitato e appassionato l’elettorato iberico assai poco; l’astensione è prevista in aumento, e anche il possibile buon risultato della Sinistra Unita (da 2 seggi passerebbe a 6-8) e dei Verdi non rappresenta un grande elemento di illusione e speranza all’interno di uno scenario che comunque vada prevede lacrime e sangue.

Proprio alla vigilia delle elezioni sono tornati in campo settori sociali e politici che si riconoscono nel ‘movimento 15M’ in molti casi al grido di ‘non ci rappresenta nessuno’. Alcuni indignados, rioccupando Puerta del Sol o Placa de Catalunya, hanno lanciato un messaggio apertamente astensionista e ‘antisistema’. Altri pensano che sia il caso di andare alle urne e depositarvi un voto in bianco o nullo, per dare un segnale di partecipazione ma anche di contestazione. Altri ancora – coccolati da alcuni media non sempre progressisti – hanno fatto appello a votare per chiunque, tranne che per il PP  e il PSOE (sigle contratte nella formula PPSOE). Una di queste proposte, denominata “AritmÉtica 20N. Matemáticas contra el bipartidismo” chiede di premiare in ogni collegio elettorale la forza politica con più possibilità di successo dopo PP e PSOE: il che vuol dire ‘Izquierda Unida’ in molte circoscrizioni, ma anche la centrista ‘Union por la Democracia y el Progreso’ a Burgos, o i verdi di ‘Equo’ a Soria, o ancora i democristiani regionalisti del PNV in Araba, o partiti di destra locali nel nord.

Scrive Miguel Romero in una sua analisi: “La crisi europea sta smentendo nettamente il mito utilizzato da diversi partiti e con formulazioni differenti in tutto il continente, secondo il quale: “il tuo voto decide”. Per quanto riguarda l’economia politica, che è la politica del qui ed ora al comando di tutte le altre forme di politica, il voto non decide proprio niente. Effettivamente, in Grecia e in Italia le elezioni non hanno deciso chi avrebbe governato, ma i due paesi si sono limitati a designare delle persone incaricate di ratificare i diktat dei ‘mercati’, personaggi definiti ‘tecnici’ perché si pongono esattamente al di sopra di ogni forma di suffragio elettorale e volontà popolare. Sono tutti, come dice il quotidiano Le Monde, membri del ‘governo (Goldman) Sachs’”

Insomma gli spagnoli dovrebbero essere addirittura contenti di potersi scegliere il boia attraverso ‘elezioni democratiche’. Ma quella che andrà in scena domani potrebbe essere esclusivamente una via elettorale al commissariamento di un paese ‘sovrano’ da parte della BCE. Rajoy infatti potrebbe essere affiancato da un ministro dell’Economia dettato da Bruxelles e Francoforte: nei giorni scorsi una voce parlava della prevista nomina, a capo del dicastero più importante, di José Manuel Gonzalez Paramo, attuale membro del comitato esecutivo della Bce.

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