Il presidente israeliano, Shimon Peres, commentando l’uccisione a Teheran di Mustafa di Ahmadi-Roshan, ha dichiarato che Israele è estraneo alla morte dello scienziato nucleare iraniano.
“Sul piano dell’intelligence, quest’ultima uccisione è stata di grande effetto, specie considerando che è la quarta uccisione che avviene contro uno scienziato iraniano nel giro di due anni. Oltretutto fa seguito a una serie di misteriose esplosioni registrate in varie parti dell’Iran, una delle quali lo scorso novembre ha causato la morte di un alto generale delle forze missilistiche delle Guardie Rivoluzionarie. Se dietro a tutti questi attacchi c’è la stessa organizzazione, ciò significa che essa è riuscita a stabilire una rete operativa estesa ed estremamente sofisticata sul territorio iraniano senza farsi scoprire. Negli anni scorsi sono circolate notizie circa una cooperazione fra Cia e Mossad insieme al MEK (Mujahedeen del Popolo), un gruppo che da anni si batte per abbattere il regime” così scrive invece Yakoov Katz sul quotidiano israliano Jerusalem Post del 12 gennaio. Non solo, l’autore ritiene che
il principale interrogativo, tuttavia, “è se le uccisioni e i sabotaggi sono in grado di impedire del tutto agli iraniani di dotarsi della bomba atomica. Secondo la valutazione dell’intelligence israeliana e americana, gli iraniani hanno ormai appreso tutta la tecnologia necessaria per costruirla. L’unica cosa che devono fare, ora, è prendere la decisione di procedere. Tenendo a mente questo fatto, è difficile immaginare che una sequela di uccisioni possa fermare gli iraniani per sempre”.
Secondo l’autore israeliano questo però potrebbe non essere l’obiettivo principale. “Forse quello che hanno in mente coloro che hanno deciso le uccisioni è di ritardare il programma iraniano più a lungo possibile, con l’obiettivo di offrire una finestra di opportunità alla diplomazia e/o alle sanzioni (unitamente all’opposizione interna iraniana) perché facciano la loro parte per arrivare al risultato desiderato”.
Il cinismo del commentatore del Jerusalem Post fa da contraltare ad altre notizie e indiscrezioni che arrivano sul teatro di crisi. Secondo l’agenzia israeliana Y Net news, che riporta dichiarazioni di alti funzionari israeliani “il rinvio delle manovre militari congiunte fra Israele e Stati Uniti, inizialmente previste per maggio, è legato alla volontà di non aumentare le tensioni con l’Iran. Dato il periodo delicato in cui viviamo, non è opportuno infiammare gli animi”.
Diversamente invece il New York Times riporta alcune notizie provenienti dalla Marina Militare statunitense. Dato l’allarmante aumento delle tensioni con l’Iran, la U. S. Navy ha preparato opzioni militari per tenere aperto lo Stretto di Hormuz. L’amministrazione americana ha messo in guardia l’Iran e direttamente il suo leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha detto al New York Times, e non esiterebbe a ricorrere alla guerra per impedire la chiusura di questo punto essenziale per il transito internazionale del petrolio.
Anche se non sono noti i dettagli di queste azioni, gli esperti militari ed ex funzionari di queste tematiche hanno assicurato che il Pentagono ha preso in considerazione diverse alternative per l’utilizzo delle sue forze navali nel Mar Arabico ed è convinto della sua capacità di distruggere la marina iraniana e facilitare così la navigazione nello stretto. In viaggio alla volta di quelle acque ci sono attualmente due flotte portaerei degli Stati Uniti.
L’Iran intanto ha fatto sapere che risponderà, «se necessario», alla lettera inviata lo scorso 13 gennaio dall’amministrazione Usa in cui si metteva in guardia la Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, dal chiudere lo Stretto di Hormuz, minacciando un’azione americana. Lo ha annunciato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast. Il portavoce ha spiegato che la Repubblica Islamica «sta verificando la questione» e ha ribadito che farà «tutto il possibile per garantire la sicurezza» nell’area dello Stretto, da cui transita il 30% del commercio marittimo mondiale di petrolio. «Lo Stretto di Hormuz – ha affermato – è una rotta strategica per la fornitura di energia per tutto il mondo». Mehmanparast ha quindi rivelato che la lettera dell’amministrazione Obama è stata consegnata al governo iraniano attraverso tre canali. Una copia è stata recapitata all’inviato iraniano presso le Nazioni Unite, Mohammad Khazaei, dall’ambasciatore Usa all’Onu, Susan Rice. Un’altra è giunta al ministero degli Esteri di Teheran attraverso l’ambasciata svizzera che cura gli interessi degli Stati Uniti in Iran dal 1979. Una terza copia è invece stata recapitata a Teheran dal presidente iracheno, Jalal Talabani. Infine, tra le notizie diffuse in questi giorni, compaiono anche quelle curiose come l’uso dei delfini per sminare l’eventuale minamento dello Stretto di Hormuz. “Se l’Iran decidesse di chiudere lo Stretto di Hormuz, gli Stati Uniti potrebbero inviare i delfini per garantire il transito di un quinto del petrolio mondiale” ha detto alla National Public Radio (NPR) l’ammiraglio Usa Tim Keating. «Sono sorprendenti per la loro capacità di individuare gli oggetti sott’acqua», ha aggiunto. Spetterebbe poi alle forze americane disinnescarle.
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