Centinaia di contractor stranieri sono stati arrestati nelle ultime settimane in Iraq, dopo il ritiro a fine dicembre dei militari americani, ufficialmente per problemi con i documenti. Lo rivela il New York Times, precisando che la maggior parte degli arresti sono scattati all’aeroporto di Baghdad e ai checkpoint disseminati per le strade della capitale per problemi con visti, porto d’armi e autorizzazioni varie. Tra i contractors finiti in carcere, scrive il giornale statunitense, ci sono anche alcuni americani che lavorano per l’ambasciata di Washington a Baghdad. Solo per l’ambasciata americana a Baghdad, rivela il New York Times, lavorano cinquemila contractors (!) per garantire la sicurezza di 11mila dipendenti e addestrare gli iracheni all’utilizzo degli armamenti venduti dagli Usa. Il mese scorso, 15 dipendenti della compagnia privata per la sicurezza Triple Canopy, tra i quali due americani e 13 iracheni, sono stati fermati e trattenuti dalle autorità irachene per 18 giorni dopo che il convoglio su cui viaggiavano da Kalsu (a sud di Baghdad) a Taji (a nord della capitale) è stato bloccato rivelando problemi con i documenti.
Contro i mercenari stranieri non sono state sollevate fino ad ora accuse formali, e alcuni sono stati trattenuti per poche ore, mentre altri anche per tre settimane. Subito dopo la partenza dall’Iraq degli ultimi soldati americani, secondo il New York Times le autorità di Baghdad hanno «bloccato» l’emissione e il rinnovo di varie autorizzazioni, comprese quelle per il porto d’armi e così molti contractors si sono ritrovati con documenti scaduti. Inoltre, gli iracheni hanno imposto – secondo il New York Times – nuove limitazioni» per i visti e in alcuni casi ai contractor sono stati concessi dieci giorni per lasciare il Paese per evitare l’arresto.
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