Nei giorni della ripresa di una “normalità vigilata”, dopo lo scorrazzare degli assassini prezzolati e degli autoblindo repressivi, gli uomini di Tantawi si ergono a difensori delle elezioni presidenziali. La vulgata diffusa da diversi media sostiene che il CSFA sarebbe intervenuto d’autorità a rovesciare una decisione della severissima Commissione Elettorale, la stessa che ha cancellato la partecipazione di candidati come il tycoon islamico Al-Shater, il salafita Ismail, i mubarakiani Seleiman e Shafiq. Questa nell’accogliere il ricorso d’una corte amministrativa del Delta del Nilo richiedeva la sospensione della consultazione del 23 e 24 maggio. La notizia sa molto di telenovela telepilotata dallo stesso ministero di piazza Abbassiya messo sotto assedio nei giorni scorsi. Vera o costruita che sia la Giunta usa la nota per rilanciarsi come garante della libertà dell’urna, sebbene in tanti nel Paese hanno chiaro che si tratta d’un esplicito mascheramento. Comunque la corsa per la presidenza è ripresa e ieri sera due pretendenti forti, Moussa e Aboul Fotouh, hanno dato vita al primo “faccia a faccia” trasmesso dalle emittenti ON TV e Dream. Ma la realtà dice altro.
Afferma che la casta militare conserva tuttora il controllo nelle decisioni chiave dalle quali è esautorato lo stesso Parlamento a maggioranza islamica, che difatti nulla può contro il governo Ganzouri sfiduciato ma inamovibile per la tutela offerta dai militari stessi. Loro hanno avallato il ricambio di queste ore e l’inserimento di tecnocrati nei ministeri della cultura, educazione, affari parlamentari. Hanno da settimane sciolto l’Assemblea Costituente, e l’eventuale Capo dello Stato eletto a maggio o a giugno dovrà fare i conti con una Dichiarazione Costituzionale tutta favorevole al ruolo dell’Esercito. La longa manus delle stellette che piacciono all’Occidente riappare non solo quando riarma i baltagayah seminatori di paura e morte, quando tiene in scacco la Fratellanza Musulmana dopo gli accordi pattuiti a Washington che garantiranno alla multinazionale delle Forze Armate una buona dose di dollari e petrodollari versati dall’estero, più una cospicua fetta di commesse sempre attese da un’economia interna che langue. Questo è un vero nodo scorsoio e può mettere in difficoltà più d’un candidato alla presidenza. Tutti, anche l’affaristica Fratellanza che è la componente finanziariamente più strutturata, avranno non pochi problemi a trasformare in fatti idee e promesse perché il terreno è indissolubilmente legato con la politica estera della nazione in un’area difficile e instabile.
Nei dibattiti impazzano naturalmente tematiche legate alla paura islamista. Sotto il fuoco delle accuse la componente salafita che con l’esponente escluso, Ismail, e altri leader aveva rivolto il desiderio di censura verso la degenerazione della pornografia in alcune espressioni artistica dal cinema alla fotografia. Il portavoce di Al-Nour interrogato sull’argomento non nega, sostenendo che l’arte deve servire per educare, esprimere principi morali e leali, naturalmente si ribella alle voci secondo cui il partito proporrebbe nel famosissimo Museo del Cairo di coprire le statue dei faraoni che mostrano parti del corpo ignude o i volti delle regine dalla folta capigliatura non velata (povera Nefertiti!). “Sono affermazioni ridicole prima che diffamatorie, come quella già diffusa su una nostra proposta di legge che permetterebbe al marito di avere atti sessuali con la propria moglie deceduta entro sei ore dall’avvenuta morte. E’ un’assurdità che nessun musulmano può concepire e risulta una volgare propaganda anti islamica”. Ma al di là delle effettive boutades soprattutto le attiviste laiche chiedono che ciascun candidato alla presidenza si pronunci sul tema dei diritti delle donne che potrebbero venir limitati se in Parlamento passassero proposte come quella avanzata proprio da una deputata: l’abolizione del divorzio.
Sui timori di attacchi ai diritti acquisti si sono già da settimane pronunciate militanti laiche; la mobilitazione ha rotto l’amalgama nato lo scorso dicembre dopo i pestaggi dei poliziotti a molte ragazze di Tahrir, fra cui una trascinata per metri e spogliata del chador. Allora islamiste e laiche avevano fatto fronte comune, oggi quest’ultime dicono “non ci fidiamo dei politici islamici, dicono una cosa e ne fanno un’altra”. Parlano con orrore non tanto di quei divieti sui bikini in spiaggia che probabilmente saranno solo formali perché in un momento di normalizzazione e rilancio del turismo, seconda entrata del Paese, anche i salafiti dovranno far buon viso alle tendenze del mercato. Sono assai preoccupate da altre bozze di legge, queste vere e non calunniose, con cui alcuni deputati salafiti propongono che un marito possa impedire alla moglie di lavorare in un ambiente di soli uomini. Ma poi possa decidere di unirsi in matrimonio con un’altra donna senza il consenso della precedente moglie. Più che affari di famiglia questioni di mentalità che agli occhi di almeno due generazioni di egiziane sembra regredire, come la proposta di creare settori divisi fra i generi nei luoghi di lavoro e nelle scuole. Più d’un deputato con la barba intervistato dai media locali, non smentisce ma parla di timori esagerati, in tanti sostengono che ci sia “una campagna dei liberali per spaventare i loro stessi elettori prima che i cittadini”. I dibattiti, accesissimi, proseguono.
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