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Spagna. Ripresa intensiva della mobilitazione

 

 

Gli indignados riaprono Puerta del sol
Luca Tancredi Barone
BARCELLONA
Secondo i promotori del movimento 15-M che ha ispirato mezza Europa e che si è distinto per il suo metodo partecipativo, efficace e soprattutto pacifico – anche se a Barcellona sono stati sgomberati dalla polizia in maniera violenta – le ragioni per scendere in strada oggi continuano a essere forti.
«Uno degli insegnamenti del 15-M è stato quello di cominciare a pensare di più a quello che abbiamo in comune che a quello che ci separa, non dimentichiamocene», scrive il giovane deputato di Izquierda Unida Alberto Garzón sulla sua pagina di facebook, pensando forse alla Grecia, dove la sinistra con la maggioranza dei voti non troverà un accordo per governare. La mobilitazione degli indignados ha reinventato la protesta e ha saputo canalizzare la frustrazione sociale che in Spagna sta montando.
Giocando con l’assonanza, il quotidiano Público, che continua a pubblicare online nonostante la chiusura con uno zelo alla manifesto, ha raccolto 15-Motivi per continuare a protestare. Fra i punti troviamo l’educazione, falcidiata dai tagli del ministro Wert per più di un quarto del suo budget, con classi che potranno arrivare a 35 alunni, tasse universitarie alle stelle e tagli alle borse di studio; la sanità, dove per la prima volta si chiede ai pensionati di pagare parte delle medicine e il taglio dei fondi è stato quasi del 10%; gli immigrati, i nuovi paria, che secondo il governo abusano del sistema sanitario e che dall’autunno se non lavorano non potranno accedere al sistema di salute pubblica, il tutto mentre gli aiuti allo sviluppo si riducono di ben due terzi; le leggi sull’ordine pubblico che il governo sta preparando per criminalizzare i manifestanti, in cui si punirà persino la resistenza passiva e la convocazione online di manifestazioni; la riforma del lavoro che toglie diritti ai lavoratori e rende facile e conveniente licenziare, in un paese con 5 milioni di disoccupati (24%, un record) e dove il 50% dei giovani sotto i 25 anni sono senza lavoro; i salari, che, come non si stancano di sottolineare gli economisti critici, non fanno che diminuire in valore assoluto da più di un decennio e che spingono il paese alla recessione, il tutto mentre aumentano trasporti, luce, gas, e dal 2013 l’Iva (il secondo aumento in 2 anni); l’amnistia fiscale, varata poche settimane fa, che come succede in Italia da sempre, premia i grandi evasori e castiga duramente tutti gli altri; le «iniezioni» di denaro pubblico alle banche (di questa settimana la notizia di Bankia, che il governo ha parzialmente nazionalizzato per coprire gli «attivi tossici» immobiliari nascosti).
Dopo essere stato sgombrato dalle piazze, il 15-M scomparve dai media, ma come fanno notare molti attivisti nelle interviste che sono uscite in questi giorni per l’anniversario, è stato meglio così: «le assemblee moltitudinarie non erano operative, mentre ora siamo pochi e con molta voglia di fare», raccontano all’ABC. Quest’anno il 15-M ha lavorato lontano dal clamore, bloccando migliaia di sfratti e intervenendo sul disagio sociale locale in tutta la Spagna. I gruppi hanno continuato a mantenersi in contatto attraverso le pagine di facebook e la rete (a proposito, l’hashtag per twitter oggi è #12M15M).
Anche il mondo politico non ha potuto ignorarli. Nel dibattito sono entrate parole come «dación en pago», la possibilità per chi ha un mutuo di estinguerlo restituendo la casa, cosa che la legge spagnola non prevede. Persino il governo Rajoy ha proposto per la prima volta una legge sulla trasparenza amministrativa.
Sulla pagina tomalaplaza.net questa settimana sono state pubblicate le 14.600 proposte raccolte l’anno scorso nella Plaza del Sol durante i giorni dell’accampamento, su politica (33%), economia (22%), ambiente (15%). Fra le più gettonate la riforma della legge elettorale, che in Spagna è particolarmente iniqua soprattutto verso la sinistra, e che da sempre prevede solo liste chiuse; il miglioramento delle condizioni di lavoro, la riforma del sistema finanziario, l’uso delle energie rinnovabili (campo in cui fino a 3 anni fa la Spagna era leader in Europa assieme alla Germania), l’introduzione di referendum (non previsti dalla costituzione) e persino l’eliminazione della monarchia.
Oggi vedremo se il movimento è ancora forte. Il governo ha accordato un’occupazione di sole 96 ore fra oggi e martedì della emblematica Plaza del Sol a Madrid, mentre a Barcellona gli indignati promettono di mantenere ininterrottamente l’occupazione di Plaça Catalunya fino a martedì.
Nel vuoto è caduta la richiesta degli avvocati del 15-M che gli agenti di polizia rispettino la legge e siano identificabili da un numero. A ogni buon conto, online si trova un «manuale pratico per manifestare la tua indignazione il 12 maggio» pieno di consigli (pacifici) per affrontare l’eventuale (e indesiderato) intervento della polizia.

Sembra ieri, ma è passato già un anno. Nel frattempo sono cambiati, più o meno democraticamente, i governi in Spagna, Italia, Francia, Grecia, Portogallo. È caduto il conservatore governo olandese e persino in Belgio c’è un governo nel pieno delle sue funzioni. L’Eta si è arresa dopo più di 30 anni di attentati. In Spagna sono state varate tre leggi di bilancio, due riforme finanziarie, una riforma del lavoro «medievale» e sono stati tagliati decine di miliardi in sanità, educazione, ricerca scientifica.

 
da “il manifesto”
 
«Con gli “acampados” sindacato e movimenti ora si parlano»
Jacopo Rosatelli
MADRID
Miguel Arana, alla Puerta del sol dalla prima notte

Il 15 maggio 2011 cominciò con una manifestazione indetta da organizzazioni semi-informali come Juventud sin futuro e Democracia real ya!, che risultò partecipata ben oltre le attese. E terminò con un’azione simbolica capace di convertirsi nell’inizio di una ribellione inarrestabile. Miguel Arana, dottorando in fisica di 28 anni, è tra quelli che occuparono dalla prima notte, a Madrid, la Puerta del sol: «nessuno di noi pensava che il nostro gesto avrebbe avuto la ripercussione enorme che poi ebbe. Anche se, non lo nego, sognavamo di ripetere l’esperienza della primavera araba, di piazza Tahrir: per questo creammo già quella notte le pagine web della acampada, in spagnolo e in inglese».
Miguel, qual è il bilancio del movimento 15-M, un anno dopo?
Molto positivo. È stato sempre attivo, anche se in forme meno visibili di quel primo mese: si è lavorato moltissimo, in gruppi tematici e di quartiere. Io ho seguito nel corso dei mesi la commissione internazionale, e posso dire che anche al di fuori della Spagna la vitalità è enorme, e non solo a Londra o negli Stati Uniti: in questi giorni ci sono acampadas persino in Russia, per chiedere una vera democrazia contro le elezioni-farsa di Vladimir Putin.
Uno scettico potrebbe rimproverarvi, però, di non avere ottenuto nulla di ciò che rivendicate…
L’intero sistema politico ed economico non si cambia dall’oggi al domani. Ma dei risultati concreti li abbiamo ottenuti. Qua in Spagna, ad esempio, grazie al movimento 15-M molte famiglie abitano ancora nelle loro case, malgrado pendano su di loro ingiunzioni di sfratto. Sono quelle che non riescono più a pagare il mutuo: un problema sociale enorme, che rappresenta bene ciò che significa la crisi nel nostro Paese. Ora se ne parla sui giornali e, soprattutto, le persone coinvolte non sono più lasciate sole al loro destino: ogni volta che veniamo a sapere di uno sfratto, ci presentiamo in decine davanti all’abitazione e impediamo che si realizzi. Inoltre, siamo riusciti a mettere al centro del dibattito politico la questione della riforma della legge elettorale e, in generale, della qualità della democrazia spagnola, soffocata dal bipartitismo Pp-Psoe. Non mi sembra poco.
Il problema è che il Pp ha vinto le elezioni, lo scorso novembre: sei sicuro che la società vi segua?
Anche dopo il maggio ’68 in Francia, nelle urne vinse De Gaulle, ma nessuno può dire che il movimento di allora non abbia inciso in profondità nella mentalità e nei rapporti sociali… Il Pp ha la maggioranza assoluta in Parlamento grazie alla legge elettorale, ma non ha l’appoggio della maggioranza reale dei cittadini: e per noi il campo di battaglia è la società, non le istituzioni. Vogliamo svegliare le coscienze, rendere le persone capaci di pensiero critico, riuscire a trasformare i loro comportamenti quotidiani. E se osserviamo le lotte in corso, possiamo notare che le cose stanno cambiando.
In che senso?
Nell’ultimo sciopero generale, a fine marzo, era evidente la presenza di gruppi e persone che i sindacati, da soli, non sarebbero riusciti a mobilitare. È stato uno sciopero diverso da quelli del passato. Le città erano piene delle iniziative più diverse: biciclettate, pranzi popolari in piazza, animazioni per bambini, caceroladas… Le lotte nel mondo dell’istruzione lo dimostrano ancora meglio. Senza l’impulso del 15-M, ben difficilmente le organizzazioni tradizionali sarebbero riuscite ad attivare tante energie: gli insegnanti sono in agitazione dall’inizio dell’anno scolastico. Si è diffuso un metodo assembleare e sono saltate certe barriere che c’erano tra sindacati e movimento: un’ibridazione interessante e, soprattutto, necessaria.

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